SALA FIORENZO FIORENTINI
L’attività di regista, inizia nel
1968, quando matura in lui la decisione di iniziare ad essere lo sceneggiatore
di se stesso perché stufo di vedere quello che scriveva stravolto dal regista
di turno. Come abbiamo modo di dire per questa svolta fu proficuo l’incontro
Gianni Buffardi che produsse la sua prima opera
1968 FAUSTINA
Il film racconta la storia di
Faustina una donna di carnagione scura poiché figlia di un soldato nero e di
una donna romana. Vive insieme al manesco marito Quirino, che fa il tombarolo,
depredando le tombe etrusche nel territorio di Cerveteri e Tarquinia per poi
rivendere a facoltosi collezionisti stranieri i tesori ritrovati. Stanca delle
quotidiane violenze di Quirino, Faustina medita la fuga. L'occasione le si
presenta quando conosce il timido Enea, nuovo vicino di casa, stornellatore
senza un soldo in tasca ma dall'animo puro; tra questi e Faustina sboccia un
amore platonico. Dopo aver ingannato Quirino, Enea e Faustina decidono di
fuggire insieme, ma nel cercare alla svelta la valigia posta sotto al letto, i
due scoprono lì un fardello sospetto. Quello che a loro appare però come un
cadavere avvolto in un lenzuolo è in realtà una mummia etrusca trafugata da
Quirino, lì nascosta in attesa di un ricco compratore. I due amanti la
scambiano come prova di un omicidio commesso da Quirino, visto il suo carattere
violento. Allora Faustina, nonostante le angherie subite dal marito, prima di
fuggire pensa di aiutare Quirino gettando la mummia nel Tevere per eliminare la
prova del delitto. La notte dello stesso giorno però entrambi si pentono di
quella fuga d'amore e decidono di tornare sui loro passi.
Quando Quirino scopre che la
mummia non c'è più, la sua reazione è violenta: l'uomo manda Faustina
all'ospedale ridotta in fin di vita. Dopo essersi ripresa, Faustina decide di
vendicarsi: lega il marito ad una sedia e lo riempie di botte. Quirino però, subite
queste, decide di denunciare la moglie ai carabinieri per le violenze subite.
Faustina viene così arrestata e condannata a sei mesi di carcere. Dopo aver
scontato la pena, all'uscita dal carcere la sua pancia gravida rivela al marito
di essere incinta, Quirino però è convinto erroneamente che il figlio che
Faustina ha in grembo sia di Enea. Faustina assiste quindi per l'ennesima volta
anche al pestaggio di Enea da parte di Quirino, che al di là delle buone
intenzioni professate a parole non ha cambiato il suo carattere di uomo
aggressivo e violento.
1969: NELL’ANNO DEL SIGNORE
Dopo l’uscita di Faustina, dove
oltre ad essere sceneggiatore, Luigi Magni è per la prima volta regista, inizia
a scrivere la sceneggiatura de “Nell’Anno del Signore” che uscirà nelle sale
nel 1969. A mezzo secolo dall’uscita è ancora tra le cento pellicole italiane
campioni d’incasso. Si tratta di una vicenda proto – risorgimentale percorsa da
robusto spirito polemico contro la degenerazione dell’apparato temporale della
Corte papale giusto in connessione con i fermenti liberal – rivoluzionari
derivati appunto, dalla grande rivoluzione francese e dai sommoventi sociali –
politici ad essa conseguenti, in Italia e in tutta l’Europa. Qui in specie sono
evocate le figure dei patrioti Targhini e Montanari giustiziati a Roma da boia
Papalino nel 1825 e ancor oggi ricordati con una lapide in Piazza del Popolo.
Il racconto ha come perno la zona infida del risentimento popolare a cui da
voce il leggendario Pasquino, del ghetto ebraico del Portico d’Ottavia, delle
cerchie clericali più retrive dell’occulta repressione della polizia,
dell’arroganza oltraggiosa dell’aristocrazia nera.
Insomma un intrigo infernale
riscattato puntualmente dal corrosivo gusto ironico di una parlata romanesca
autentica e impietosa. Non a caso ha contrapposto le figure di Targhini e
Montanrari a quelle di Pasquino e Giuditta. Con Luigi Magni, collaborano alla
lavorazione del film la moglie Lucia Mirisola che in questa occasione cura solo
i costumi fatti realizzare poi dalla sartoria Tirelli. Lo scenografo fu
l’Architetto Carlo Egidi, le statue furono affidate alla Cinears della famiglia
De Angelis, scultori per il cinema da quasi un secolo. I luoghi scelti per il
film sono nella quasi totalità nel centro storico di Roma, tra Piazza Mattei a
ridosso del Ghetto, lo stesso quartiere ebraico, il palazzo dei cavalieri di
Malta alla salita del grillo. Magni voleva realizzare quest’ opera con tutti
attori sconosciuti come Faustina perché ancora non si sentiva sicuro.
Ma poi Bino Cicogna il produttore
gli chiese visto che lo conosceva di proporre una parte a Nino Manfredi che
accettò Cornacchia, da qui vennero poi chiamati tutti gli altri e si formò quel
cast eccezionale composto da Enrico Maria Salerno – Claudia Cardinale – Nino
Manfredi – Ugo Tognazzi Alberto Sordi. La parte francese della produzione
propose e poi vennero scelti per i ruoli di Targhini e Montanari Renaud Verlay
e Robert Houssein. Roma 1825. Alcuni affiliati alla carbonera complottano
contro il governo pontificio. Fanno parte della congiura il medico Leonida
Montanari e il fuoriuscito modenese Angelo Targhini. Cornacchia, un ciabattino
che si finge analfabeta ma che è in realtà Pasquino, l’anonimo autore di
invettive antipapaline, avverte i ribelli, attraverso la sua amante ebrea
Giuditta, che uno dei loro compagni, il principe Spada, li ha denunciati.
Montanari e Targhini, sorteggiati per uccidere il traditore, lo affrontano di
notte e lo feriscono; ma sospettati della polizia e noncuranti delle suppliche
di Giuditta, che vorrebbe farli allontanare da Roma, sono arrestati e
riconosciuti dal principe Spada.
Processati, vengono condannati a
morte. In prigione i due respingono con fermezza i tentativi di un frate che
vuole convertirli. I romani, anziché insorgere come si attendono i carbonari,
protestano per i rinvii dell’esecuzione, impazienti di godersi lo spettacolo.
Cornacchia, che ha trattato invano con il Cardinale Rivarola la consegna di
Pasquino in cambio della liberazione di Montanari, si ritira in convento. In
Piazza del Popolo, i due martiri vengono giustiziati. L’intervista
autobiografica concessa dal maestro a Marina Piccone è fonte preziosa per
conoscere alcuni retroscena legati a questo film. Lasciamo quindi che sia lo
stesso Magni ha raccontarceli: “quando preparai il cast, pensavo di utilizzare
tutti attori sconosciuti, come avevo fatto per Faustina. Ma Bino Cicogna che
produsse il film insieme ad una società francese, mi chiese di affidare una
parte a Nino Manfredi, visto che lo conoscevo.
Fulvio Frizzi allora direttore
commerciale dell’Euro International Film, che noi chiamavamo la Neuro
International colse la palla al balzo e disse.” Visto che abbiamo Manfredi,
chiamiamo anche gli altri” Così mettemmo insieme i migliori attori dell’epoca:
oltre a Nino, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Enrico Maria Salerno, Claudia
Cardinale. La coproduttrice francese ci indicò due attori Robert Hossein e
Renaud Verley che interpretarono i carbonari Leonida Montanari e Angelo
Targhini, decapitati dal Boia Mastro Titta. Hossein, in quel momento era famoso
per la partecipazione nella serie Angelica ed era amatissimo. Ricordo che
mentre giravamo al Ghetto, la gente lo guardava incantata e ci chiedeva “Ma che
sta a fa’ un’altra Angelica”.
Di Manfredi e di Tognazzi non gliene fregava
niente. Tentammo di coinvolgere anche Anna Magnani che però sapendo che la
protagonista sarebbe stata la cardinale, rifiutò. A dire la verità, il ruolo di
Giuditta l’amante del ciabattino che in realtà era Pasquino sarebbe dovuto
andare a Giovanna Ralli. Dopo il rifiuto di molti produttori, fu lei che portò
personalmente il copione alla Euro International. Ma Franco Cristaldi, che
partecipò alla produzione, impose Claudia allora sua moglie. Mi è dispiaciuto
per Giovanna, che ritengo una delle attrici più versatili e intelligenti del
nostro cinema e a cui sono davvero grato per il suo fondamentale apporto. In
seguito lavorammo insieme in Arrivano i Bersaglieri, ma Nell’Anno del Signore
era un’altra cosa ed io capisco il suo rammarico.”
Nel film c’è un grande Alberto
Sordi che interpreta il frate al quale è lasciato il compito di tentare di far
redimere i due condannati a morte. Ruolo che all’inizio Sordi non voleva
accettare, Magni racconta: “All’inizio
Alberto non voleva accettare. Secondo lui bisognava cambiare il finale.
I Patrioti Targhini e Montanari, sosteneva, si sarebbero dovuti pentire prima
di essere ghigliottinati. “Ma che cazzo stai a dì”? gli rispondevo. “Se quelli
se pentono famo n’antro film. La storia è su due carbonari che muoiono per la
libertà. Loro questo vonno fa’” Eh, ho capito” faceva lui “però non va mica
bene, perché se non si pentono vanno all’inferno. “E a te che te frega?”
replicavo io?”. Io ridevo: Peggio pè te” disse. Eravamo a cena in un ristorante
e ricordo che Bruno Cicogna mi dava i calci sotto al tavolo per invitarmi ad
essere più concialiante. Così, trovai un espediente che risolse la
controversia. Il frate corre sul patibolo per l’assoluzione ai due martiri ma
viene bloccato dalle guardie del Cardinale Rivarola, che, da lontano, gli fa
cenno di no, con la testa. E Alberto si palcò”
1971 : SCIPIONE DETTO ANCHE
L’AFRICANO
Nel 1971, esce nelle sale
Scipione detto anche l’Africano, un film molto particolare della filmografia di
Magni. Publio Cornelio Scipione detto l’Africano e suo fratello Lucio detto
l’Asiatico sono accusati in senato, da Catone il censore, di essersi
appropriati di 500 talenti, tributo di Antioco re della Siria. Da un uomo
integerrimo lo ha tal punto che la moglie Emilia stanca di tanta virtù, ha chiesto
il divorzio l’africano continua a proclamarsi innocente anche quando il Censore
esibisce trionfante una ricevuta del versamento fatto da Antioco firmata
Scipione A.: ma si tratta dell’Africano o dell’Asiatico ?. Scipione scopre che
ad appropriarsi dei 500 talenti è stato il fratello e lo denuncia a Catone.
Rendendosi conto che il nobile gesto dell’Africano può aumentarne il prestigio.
Catone trama per impedirglielo. Consapevole che la Repubblica non tollera ormai
uomini della sua levatura morale, Scipione si accusa davanti al senato di
essere colpevole e di aver compiuto inesistenti sopprusi e ruberie. I Senatori, che ora lo considerano un comune
mortale, lo perdonano, ma l’Africano preferisce prendere ugualmente la triste
via dell’esilio. Attingendo alla preziosa intervista di Marina Piccone a Luigi
Magni lasciamo che sia il maestro stesso a raccontare: “Marcello è stato un
amico. Il nostro primo incontro avvenne nel 1965, quando scrissi lo spettacolo
teatrale Ciao Rudy, in cui lui interpretò la parte di Rodolfo Valentino e si
cimentò con il canto e il ballo. Era un uomo meraviglioso e un bravissimo
attore, uno dei migliori dell’epoca. Ma era un uomo fragile e finiva facilmente
fra le grinfie di qualche arpia che se lo mangiava vivo.
Ogni tanto si aggirava per Roma
come un’anima in pena perché aveva un problema con questa o con quell’altra. Un
giorno, Ruggero Matroianni e io stavamo alla Fono Roma a montare un film quando
sentimmo bussare alla porta. Ruggero disse:”Vaj
a aprì, è lui” Marcello entrò e il fratello gli disse “Statte bono, mettete a
sede e nun rompe gli cojoni che noi stamo a lavorà” Ruggero era più piccolo di
Marcello ma rea come se fosse lui il fratello maggiore. Aveva un atteggiamento
molto protettivo nei suoi confronti” Per quel lavoro Magni mise in scena i due
fratelli Mastroianni: “Scipione l’Africano e Scipione l’Asiatico erano due
fratelli, così avendo Marcello, pensai di affiancargli il fratello vero.
Ruggero era molto preoccupato “Come je parlo a questo?” mi chiedeva. “Come je devi
parlà”? rispondevo “è tuo fratello.
Parla come fai normalmente con
Marcello “ E si convinse. Ruggero ebbe un grande successo personale. Erano
tutti entusiasti della sua partecipazione si parlava solo di quello. Quando la
madre vide il film, disse al figlio più famoso.:” Marcè tu sei bravo ma sai che
il Rossetto stavolta ti ha fregato” Rossetto era il soprannome che davano a
Ruggero quando era piccolo per via del colore dei suoi capelli. Ma nonostante
questo Scipione fu il suo unico film. Quando morì fu un brutto colpo per tutti.
Ruggero era molto amato” Sempre dall’intervista concessa dal maestro a Marina
Piccone continuiamo a conoscere i retroscena di Scipione detto anche
l’Africano:
“Marcello era stato appena
lasciato da Faye Dunaway ed era depresso, Vittorio Gassman era reduce da una
malattia al fegato e Silvana Mangano se ne stava sempre da una parte silenziosa
come al solito. Giravamo a Pompei ed i nostri alloggi erano costituiti da
roulotte. Io andavo dall’una e all’altre per visitare la tropue. Un giorno
aprii la porta di Marcello e lo trovai tutto abbacchiato, incapace di scambiare
una parola. Così,andai da Vittorio, ma lui si sentiva talmente male da non
riuscire ad alzarsi dal letto. Allora, Ruggero, che era proprio dietro di me e
aveva assistito a tutta la scena, mi disse: “ Che stai a fa i sepolcri?”
L’atmosfera era tale che, durante le riprese, quando davo le indicazioni
dicevo: “ Mettetevi i paramenti,andate da questo tumulo all’altra e se c’è il
fuoco fatuo giriamo”
Silvana Mangano “Silvana era una
donna incantevole. Era molto riservata, educata, garbata. Era anche timida, non
le piaceva mettersi in mostra. Ispirava simpatia, e come attrice era molto
brava. Lei e Marcello erano cresciuti insieme e avevano una grande intimità”
Pompei “Girare a Pompei, fu un’idea di Lucia che
ritenne di non sfruttare il filone storico mitologico, visto centinaia di
volte, e di utilizzare le rovine, che sono un po’ l’immagine che caratterizza
Roma nel mondo. Un’intuizione felice che mi trovò subito d’accordo. Così
girammo a Pompei utilizzando sia ruderi veri che scenografie. Con noi collaborò
il pittore veneziano Angelo Zambon, che fece gli affreschi in perfetto stile
antico romano. Il risultato era talmente realistico che i turisti si fermavano
a fotografarli
1973 LA TOSCA
Nel 1973 esce nelle sale “La
Tosca” un’opera buffa, ispirata all’opera pucciniana. Doveva essere presentata
in teatro, ma il progetto saltò e venne tramuta in un film. Film per il quale
era stato messo in piedi un cast di tutto rispetto, da Monica Vitti nel ruolo
di Tosca, Gigi Proietti nel ruolo di Mario Cavaradossi, Vittorio Gassman nel
ruolo del barone Scarpia, Aldo Fabrizi nel ruolo del governatore di Roma. Nel
1800, il pittore Mario Cavaradossi lavora ad un affresco nella Chiesa di S. Andrea
della Valle, dove si rifugia il patriota lombardo Angelotti, evaso dal carcere
di Castel S.Angelo. Cavaradossi, di tendenze giacobine e amante della nota
cantante Tosca, nasconde Angelotti in una casa di campagna. Sfruttando
abilmente la gelosia di Tosca, il barone Scarpia, reggente della polizia
pontificia, scopre rapidamente il rifugio di Angelotti che per non consegnarsi
ai gendarmi si uccide. Per favoreggiamento il pittore viene arrestato e
condannato a morte. Sentendosi colpevole dell’accaduto, Tosca finge di
concedersi a Scarpia in cambio della vita di Cavaradossi ma, appena ottenuto un
salvacondotto per imbarcarsi a Civitavecchia e l’assicurazione che il suo
amante sarà fucilato per finta, uccide il barone.
Il pittore viene però fucilato
per davvero e Tosca disperata per il dolore, si getta dalle mura del castello.
Dichiara il maestro a Marina Piccone”La Tosca ricalca, in maniera inversa,
quello che successe con Rugantino. Volevo farne una commedia musicale per il
teatro ma il progetto fallì e decisi così di portarla sugli schermi. Mi era
riproposto di fare un’opera buffa usando tutti i mezzi di espressione
possibili: il canto, la poesia, il recitativo, la musica. In America piacque
molto. Ricordo che la direttrice del Moma, il museo d’arte moderna di New York
dove fu proiettato, quando mi incontrò, mi salutò citando una battuta del film
con accento americano: “abbada che caschi”. “Non casco me butto” Era rimasta
colpita dalla scena finale in cui la protagonista si lancia da castel
sant’Angelo.
Monica Vitti “ Per Monica ho un
affetto particolare. Ricordo un episodio sempre legato al viaggio a New York,
dove ci avevano invitato per la proiezione del film. In aeroporto, alla dogana,
ci diedero i moduli da riempire con i nostri dati. Io compilai anche quello di
Monica e misi la sua data di nascita,1931. Lei lo guardò e disse: “ Lo vedi che
se uno stronzo” Ma perché che, c’ho fatto?” chiesi. Lei prese la penna e
tracciò un traverso sull’uno facendolo diventare un sette. “ Ecco” disse “
adesso posso uscì” Era simpaticissima. Secondo me insuperabile, l’unica tra
tutte le attrice italiane in grado di fare la complessata nei film di Antonioni
e la comica nella così detta commedia all’italiana. Che, poi, a noi, i film di
Michelangelo ci facevano pure un po’ ride”. L’incomunicabilità, i problemi
esistenziali… Quelle sono malattie dei paesi ricchi, evoluti. Noi ci morivamo
di fame, emigravamo in America in cerca di lavoro, avevamo ben altri problemi.
Monica, comunque, si barcamenò meravigliosamente tra i due generi, riuscendo ad
essere credibile in ruoli molto distinti tra loro. Era bravissima. La sua
grazia, la sua intelligenza e il suo spirito non avevano confronti”
Gigi Proietti : “Con la Tosca
inizia la collaborazione con Gigi Proietti che continuò per lungo tempo: Nel
1978 scrissi per lui La commedia di Gaetanaccio e poi nel 1989 facemmo insieme
“ I Sette Re di Roma” al Sistina. Il testo di questo spettacolo, in realtà era
nato a articoli scritti per un giornale, il Corriere della Sera, che ogni
settimana, nell’edizione romana, pubblicava la storia di un re. Un giorno,
eravamo a casa mia, Garinei lesse il pezzo di non so quale re, si entusiasmò e
disse:” Perché non ne facciamo una commedia musicale?” “ E famola” risposi “e
chi potrebbe essè il protagoniste?” Pensammo subito a Gigi Proietti . Solo lui
poteva essere in grado di interpretare tutti e sette i re di Roma e così andò.
Lo spettacolo fu un grande successo” “Con Gigi c’è un’intesa artistica dettata
dall’origine comune e dagli stessi obbiettivi: divertire attraverso la denuncia
e lo sberleffo tagliente.
Per me Proietti è il nuovo Ettore
Petrolini. Come il grande attore scomparso riesce a reggere la scena da solo e
a fare presa sul pubblico qualunque cosa dica o faccia. Ma fra noi c’è anche
una bella amicizia” Dopo le rappresentazioni teatrali e dopo la cena, verso le
due e mezza, lui mi chiamava per darmi un appuntamento in un piano bar, dietro
via del Babbuino. Veniva anche il micio come chiamavamo il pianista di Gigi. A
quell’ora non c’era più nessuno e noi davamo fondo al nostro repertorio. Io
cantavo in quattro lingue: italiano, inglese, spagnolo e romanesco. Facevamo
mattina. Eravamo famosi per le nostre interpretazioni di That’s Amore e
Manuela. Ma il cavallo di battaglia era Nun je da retta Roma. Proietti amava
molto questa canzone con cui concludeva i suoi recital”
1974 LA VIA DEI BABUINI
Nel 1974, esce nelle sale La Via
dei Babbuini, la prima opera di Luigi Magni non a tema storica e soprattutto
non ambientata a Roma, ma in Africa l’altra grande passione del maestro.
Fiorenza, una giovane donna borghese, vive a Roma, sposata con Orazio, un uomo
colto ma affetto da infantilismo cronico. Il loro matrimonio attraversa una
fase, abbastanza critica, sia per la voluta mancanza di figli, sia per un
diverso modo di vedere e giudicare la vita. Fiorenza accorre a Massaua per
assistere il padre, vecchio colonialista da lei neppure conosciuto, e lo vede
morire. Decide di non ritornare in Italia e si lascia guidare dallo stravagante
Getulio alla scoperta dell’Africa. Il marito raggiunge Fiorenza per riportarla
in Italia, ma la trova profondamente cambiata. Egli cerca di strapparla a quel
continente che ormai la sta quasi plagiando, ma senza successo. Dopo la tragica
morte di Getulio la donna si avvia verso la savana seguendo la via dei babbuini
sicura di trovare, come avviene per gli animali, il segreto dell’esistenza.
Nel 1976, arrivano nelle sale tre
episodi inseriti in tre film con una regia di gruppo. Magni tratta tre temi
completamenti diversi, la corruzione e l’intelligenza ne “Il Sacro Soglio” – la
seduzione ne “Il cavalluccio Svedese” e la rivoluzione per la rivendicazione
dei leciti diritti ne “Il Superiore”. Tre temi sempre attuali, ma trattati con
l’ironia e la cultura di un romano quale è stato il maestro.
1976 SIGNORE E SIGNORI BUONANOTTE
“IL SANTO SOGLIO”
Nel cinquecento il Cardinale
Caprettari, durante un conclave, approfitta dell’acerrima rivalità di due
cardinali per farsi eleggere come “Papa di transizione”, fingendosi gravemente
malato. Ma gode invece di ottima salute e il suo pontificato durerà a lungo.
Nino Manfredi che interpreta appunto il cardinale Caprettari dirà: “Benché si
tratti solo di un episodio, Il Santo Soglio è uno dei film dei quali sono
maggiormente orgoglioso. Interpretare un cardinale che si finge gravemente
malato per farsi eleggere papa, mi ha dato una grande soddisfazione perché da
un lato dimostra la falsità su cui si basa il potere e dall’altro mi ha
consentito di mostrare le mie qualità di attore insieme drammatico e brillante”
1976: QUELLE STRANE OCCASIONI “IL
CAVALUCCIO SVEDESE”
Magni firma Il Cavalluccio
Svedese. L’Architetto Antonio Pecorari rimasto solo in casa, perché la moglie
Giovanna e la figlia Paola sono in vacanza, si ritrova con un ospite inattesa
Cristina, la disinibita figlia di un suo caro amico svedese Peter. In una notte
di temporale Antonio cede alle profferte della ragazza, ma, nel segno della
libertà sessuale, per lui le novità non finiscono qui. Parlando con la ragazza
apprende che sua moglie è stata l’amante di Peter e che sua figlia Paola ha da
due anni rapporti intimi col proprio fidanzato.
1976: BASTA CHE NON SI SAPPIA IN
GIRO “IL SUPERIORE”
Per protestare contro le
condizioni di vita in carcere e contro l’astinenza sessuale cui li costringe la
legge, un gruppo di detenuti sequestra la guardia Enzo Lucarelli, minacciando
di sodomizzarla se il ministro di grazia e giustizia non verrà all’alba del
giorno dopo, a garantire personalmente l’attuazione della riforma carceraria.
Un semplice sottosegretario basterà a calmare gli ammutinati, prima che mettano
in pratica la minaccia. Per una serie di circostanze, però Lucarelli non
riuscirà a far credere che il suo onore è salvo.
1977: IN NOME DEL PAPA RE
L’opera massima di Luigi Magni è
senza dubbio In nome del Papa Re, film
uscito nelle sale nel 1977. Si tratta del lavoro più premiato in assoluto,
ambientato a Roma tre anni prima della Breccia di Porta Pia. Roma 1867. Poco prima della sconfitta di
Garibaldi a Mentana, la caserma Serristori viene fatto saltare provocando la
morte di 23 zuavi. Vengono arrestati tre giovani rivoluzionari: Gaetano
Tognetti, Giuseppe Monti e Cesare Costa. La madre naturale di quest’ ultimo, la
contessa Flaminia, per salvarlo ricorre a monsignor Colombo, giudice del
tribunale penale supremo dello Stato Pontificio.
Il prelato è in crisi perché non
crede più nell’efficacia degli interventi cruenti del potere temprale della
Chiesa e sta per inviare al Papa le sue dimissioni. Ma viene a sapere da
Flaminia che il giovane Costa è suo figlio, nato da un rapporto avuto 19 anni
prima con la donna. Mons. Colombo interviene, ottiene la liberazione di Costa e
lo accoglie nella propria cantina. Tuttavia, mentre il Tognetti e il Monti
vengono giustiziati, il conte Ottavio, marito di Flaminia, presta fede alla
diceria di un rapporto amoroso della moglie con il ragazzo. Lo affronta e lo
ferisce mortalmente per vendicare il proprio onore. Monsignor Colombo, che ha
pronunciato un discorso rivoluzionario in tribunale, incappa nelle ire del
Generale dei Gesuiti, a cui nega nella Messa l’ostia consacrata e viene arrestato.
1980: ARRIVANO I BERSAGLIERI
Nel 1980 Luigi Magni dirige
Arrivano i Bersaglieri il terzo film sull’epopea risorgimentale di Roma.
Nell’Anno del Signore e “In nome del Papa Re” hanno messo in luce la violenza
della Chiesa che sotto Leone XII e Pio IX con la croce in una mano e col
vangelo nell’altra tagliava teste e impiccava la gente. Dure denunce di quella
pagina oscura che è stato il potere temporale.
La critica cinematografica più
volte ha accusato Luigi Magni di essere un anticlericale, lui stesso ha detto
di essere un comunista da quarant’anni, un cattolico da venti secoli e di
essere contro il papa re. Arrivano i Bersaglieri presenta una pagina di storia
ma soprattutto un mutamento sostanziale, con la breccia di Porta Pia finisce il
regno temporale e l’Italia finalmente è unita con Roma Capitale. Il 20
Settembre 1870, i bersaglieri di La Marmora entrano a Roma dalla breccia di
Porta Pia e uno zuavo Alfonso dopo aver ucciso il bersagliere Urbano, della
famiglia di S. Agata, viene accolto ferito proprio nella casa del padre di
Urbano,
Don Prospero fanatico papalino. Nel palazzo
vivono anche la moglie di Don Prospero Costanza, la principessa Olimpia e la
domestica Nunziatina. Olimpia concede volentieri i suoi favori all’ospite.
Giunge a palazzo un commilitone di Urbano, il tenente Gustavo Martini, per
portare la notizia della morte dell’amico. Il tenente riconosce in Alfonso
l’uccisore di Urbano,ingaggia con lui un duello, ma è Don Prospero che sparando
a casaccio uccide lo zuavo. Don Prospero, colpito da un malore, prima di morire
svela i segreti di famiglia e riceve la notizia della morte del figlio.
1983: STATE BUONI SE POTETE
Nel 1983, arriva un interessante
lavoro State buoni se potete. La vita di S. Filippo Neri, il santo dei romani.
Magni abbandona per un attimo il filone storico della Roma papalina e la
denuncia della violenza della chiesa, per trattare invece la vita di un uomo di
chiesa, umile e osservatore del vangelo dalla parte dei più deboli. Questo
dimostra come Magni, avesse un buon rapporto con la fede. Vissuto tra il 1515 e
il 1595, santificato nel 1622, Filippo Neri fondò a Roma la confraternita della
Santissima Trinità detta dei “pellegrini e convalescenti”, diede vita agli
oratori parrocchiali e all’Ordine dei Filippini. Nel suo oratorio vengono
amorevolmente assistiti i bambini abbandonati di Roma. Al centro del fil
campeggia la straordinaria figura di Filippo Neri, alle prese di volta in volta
con un papa di grande carisma come Sisto V e come personaggi come Ignazio di
Loyola, Carlo Borromeo, Teresa D’Avila e Francesco Saverio. Non solo, il Santo
dove affrontare a viso aperto varie incarnazioni del diavolo e una serie di
drammatiche situazioni con briganti e soldati.
1987: SECONDO PONZIO PILATO
Nel 1987 arriva un altro lavoro
non ambientato nella Roma della corte pontificia, si tratta di Secondo Ponzio
Pilato. Dopo la crocefissione di Gesù di Nazareth, un tarlo comincia a mordere
la coscienza di Ponzio Pilato, soprattutto dopo che il centurione Valeriano gli
fa sapere che il sepolcro è vuoto e che Gesù è stato visto da molta gente
ascendere in cielo. La moglie di Pilato, Claudia e Valeriano partono per la
Galilea dove Gesù è stato visto, affascinati e ormai convinti dal verbo del
Messia. Pilato è ossessionato dal mistero di quell’uomo che fugge dalla sua
tomba cammina e parla. Convintosi che la morte del Cristo è colpa sua. Pilato
si reca a Roma. Imprigionato incontra Barabba in cella e riceve da lui la
veronica reliquia del Cristo. Condotto alla presenza dell’Imperatore Tiberio,
il cui volto è deturpato dalla lebbra. Pilato lo guarisce con la sacra
reliquie, L’imperatore vuole graziarlo ma gli chiede di essere giustiziato come
espiazione della sua enorme colpa. Tiberio accoglie stupito la supplica del
governatore che affronta il supplizio chiedendo tutta via di tenere nella bocca
l’obolo da offrire a Caronte, nel rispetto della tradizione pagana che egli non
ha avuto la forza di rinnegare per dichiararsi cristiano.
1988 : ‘ ORE
Nel 1988, l’interesse per la
storia di Magni ci presenta “O Re” ambientato nel Regno delle Due Sicilie. Il
Re Francesco II di Borbone, detto Franceschiello per la sua inettitudine, e sua
moglie Maria Sofia, insieme al servitore Rafaele, stanno in esilio a Roma. Qui
la ex regina cerca di organizzare un esercito, con a capo il generale Coviello,
per riconquistare il trono. L’ex Re è sfiduciato mentre Maria Sofia vuole a
tutti i costi un erede che garantisca la successione. Ma il suo matrimonio non
è ancora stato consumato perché Francesco, che non ha mai desiderato di
regnare, non vuole mettere al mondo un altro fallito. Giunge dal Sud un
affascinante avventuriero spagnolo, Don Josè che si innamora della Regina e si
offre di comandare l’esercito. Coviello nel frattempo, è passato all’esercito
italiano. Durante una festa Franceschiello viene ferito da una pugnalata e
mentre si trova a letto e delira, la moglie riesce a fargli consumare il
matrimonio al fine di avere il sospirato erede. Coviello tenta intanto di
rapire la regina, ma la donna si salva miracolosamente. Coviello viene
arrestato ed impiccato. Dopo qualche mese Maria Sofia darà alla luce una
bambina.
1990: IN NOME DEL POPOLO SOVRANO
Nel 1990, Magni torna ad
occuparsi della Roma ottocentesca e questa volta della Repubblica Romana con In
nome del Popolo Sovrano, come sempre girato sui luoghi dove avvennero i fatti.
Nel 1849 il Papa Pio IX è costretto a recarsi a Gaeta per l’avvento della
Repubblica Romana. Pochi mesi dopo le truppe del generale francese Oudinot
tentano di riprendere Roma, per imporre con la forza la restaurazione del potere
temprale della chiesa. In casa del Marchese Arquarti, nobile papalino, vivono il
figlio Eufemio ,debole timido, con la moglie Cristina, la figlia Giacinta e la
serva Rosetta. Cristina, sostenitrice della Repubblica è diventata l’amante del
garibaldino Giovanni Livraghi, rivoluzionario milanese e grande amico del frate
barnabita Ugo Bassi, contrario al potere temporale e sostenitore dei diritti del
popolo, pur essendo fedele alla sua missione di sacerdote.
Fra i popolani insorti spicca la
figura del Ciceruacchio, accompagnato dal figlio adolescente Lorenzo. Frattanto
il marchese Eufemio, scoperto il tradimento della moglie è deciso ad uccidere
il rivale a tale scopo lo raggiunge mentre questi combatte sul Gianicolo. Qui
lo salva, uccidendo un soldato francese che sta per colpirlo a morte. Dopo
molti scontri i patrioti repubblicani superstiti abbandonano Roma e si dirigono
verso il nord. Cristina cerca di raggiungere Giovanni, il quale è partito con
Bassi. Ma i due vengono arrestati e condannati a morte, mentre la donna tenta
invano di salvare l’amante. Intanto Eufemio continua a cercare la moglie e
quando dopo la morte di Livraghi, la rivede, scopre che tutto è cambiato tra
loro:Cristina ora lo stima per il suo gesto generoso compiuto al gainicolo. I
due sposi si riuniscono e lei segue il marito quando questi decide di
combattere con i piemontesi per l’unità d’Italia
1995 : NEMICI D’ INFANZIA
Nel 1995 Magni dirige un lavoro
autobiografico Nemici d’Infanzia legato alla sua esperienza di adolescente
nella Roma occupata dai Tedeschi. Roma, primavera del 1944, Paolo,un ragazzo di
12 anni, si innamora di Luciana, poco più di una bambina ,figlia di una tedesca
e di un gerarca fascista. Nel palazzo dove
abitano i ragazzi arriva un nuovo inquilino, Corsini, un invalido civile che
nasconde, sotto una falsa identità, quella di un esponente della resistenza,
che ha il compito di uccidere il padre di Luciana, Mentre Paolo a passeggio con
i suoi genitori, assiste da unico testimone all’assassinio compiuto da Corsini.
Ma quando lei gli chiede di rivelare l’identità dell’attentatore, decide di non
tradire l’amico. La partenza improvvisa di Luciana e della madre pone fine per
sempre alla breve storia d’amore.
2000 LA CARBONARA
Nel 2000 Luigi Magni dirige il
suo ultimo lavoro per il cinema La
Carbonara. Con questo film saluta il pubblico del grande schermo che lo aveva
seguito e amato fin dal 1968 con Faustina. Nel 1825, ai tempi del Gran Tour,
sul confine settentrionale degli Stati della Chiesa sorge una stazione di posta
per il cambio dei cavalli, arroccata intorno ad un castello baronale. Annessa
alla stazione, c’è una locanda con osteria chiamata “La Carbonara”. La bella
proprietaria Cecilia, è nota con il soprannome di carbonara in onore del locale,
ma soprattutto perché è la creatrice di un piatto già leggendario: gli
spaghetti alla carbonara. Nella campagna circostante briganti e gendarmi si
spartiscono il territorio e, insieme, garantiscono l’ordine costituito con la
benedizione della Chiesa. Un giorno arrivano all’osteria quattro carbonari
politici. Tra questi c’è Zaccaria un vecchio amore della proprietaria della
locanda. I quattro tentano di sequestrare un cardinale, ma il colpo fallisce.
Vengono tutti uccisi, tranne Zaccaria che è condannato a morte. Si prende cura
della sua anima un frate, Fabrizio, che in realtà è un ex carbonaro pentito ed
è anche l’ex marito della carbonara che lo crede morto. Fabrizio non si limita
a confessare il condannato a morte ma organizza le cose in modo tale da far
fallire l’esecuzione. Sembra quasi un miracolo della Madonna. E per un po’ ci
crede anche Zaccaria, che finisce a fare il cameriere alla locanda. In attesa
di tempi migliori.
PER LA
TELEVISIONE
1987: IL
GENERALE
La miniserie,
ambientata tra il 1860 e il 1861, inizia con l'ingresso di Garibaldi a Napoli a
bordo del treno di cui il Generale e il suo Stato Maggiore si impadroniscono
armi in pugno. Il racconto si snoda tra Napoli, Torino, Roma, Caserta e termina
con la sconfitta politica del Generale, che, dopo aver donato uno Stato al
Regno Sabaudo, si ritrova a dover tornare a Caprera, a meditare sul sogno
unitario. Un sogno che, in vita, non riuscirà mai a realizzare
«Salvo alcuni
quadri d'obbligo illustrativi della battaglia del Volturno, il film non risuona
di strepiti d'armi o di squilli di fanfara. Il Generale, al quale Franco Nero
ha prestato gli occhi azzurri, che Garibaldi aveva solo nella leggenda, vuole
essere il "ritratto a piedi" di un personaggio troppe volte
mummificato nel bronzo o nel marmo di monumenti a cavallo... Oggi che, nel
contesto urbano della città moderna il monumento serve solo da spartitraffico e
ha perduto la funzione significante che gli era propria nel secolo scorso, un
monumento cinematografico sarebbe stato oltretutto anacronistico.
Siamo quindi
molto lontani dal kolossal o addirittura dal superkolossal che, qua e là, era
stato impropriamente annunciato. Non era nelle nostre intenzioni, come non lo sarebbe
stato per le disponibilità finanziarie. E, del resto, noi non un kolossal
volevamo fare, ma soltanto un film”
Luigi Magni
2003 LA NOTTE
DI PASQUINO
Roma, 1870.
Alla vigilia della breccia di Porta Pia un rapimento scuote il ghetto ebraico: un bambino
sparisce. Responsabile è il malvagio nobiluomo Galeazzo della Gensola che ha
bisogno di un figlio per poter entrare in possesso di una ricca eredità. Figlio
di cui poi intende liberarsi. Il rabbino si attiva per ritrovarlo e chiede
aiuto ad un bizzarro e attempato signore che in realtà è Pasquino, che di notte
vaga per le strade romane per attaccare le sue poesie su statue e muri. Altri
lo aiuteranno nella ricerca, in particolare Jenny, una giovane americana, e
Andrea, un rivoluzionario. Alla fine, salvato il bambino, Pasquino si rivela
essere un cardinale, che affida il proseguimento della sua opera ad Andrea,
perché deve andare a raggiungere il Papa per essere al suo fianco in quella che
per il Santo Padre sarà una "giornata molto dura", riferendosi all'avvenuta
Breccia di Porta Pia.
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