1980 ARRIVANO I BERSAGLIERI scenografia e costumi di Lucia Mirisola

 

Gian Luigi Rondi : quattordici domande a

MAGNI: addì 20 Settembre i Bersaglieri a Porta Pia

Luigi Magni sul set di un nuovo film dal titolo ancora molto provvisorio “Arrivano i Bersaglieri”, oppure “Addì 20 Settembre “, oppure “Un Settembre a Porta Pia”, protagonisti Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli.

“Qualunque sia il titolo, ad ogni modo, questa volta ci siamo l’epoca è la fine del Papa Re, che in tutti i tuoi film, i tuoi personaggi auspicano?”

“Si, ma adesso non so più con quanta ragione. Comunque il punto di vista questa volta è soprattutto di quelli che stanno dall’altra parte, con il Papa Re appunto: un principe che come fecero i Lancellotti e tanti altri patrizi romani in quegli anni, chiude il suo palazzo in segno di lutto appena arrivano i piemontesi; e che anche se ha una moglie che profitta subito della situazione per darsi alla speculazione edilizia; non si sente in nessun modo solidale con il nuovo stato di cose, ne soprattutto “unificato” italiano.”

Un dramma?

“No, al solito una commedia con tutti gli equivoci, le complicazioni, le sorprese delle commedie di “epoca”. Il principe ha un figlio scappato di cosa quattro anni prima, che tutti in famiglia pensano si goda la vita a Parigi; invece si è arruolato nei Bersaglieri, ha marciato con loro su Porta Pia ed è morto sulla breccia, uno dei pochi italiani caduti in quella circostanza. Ad ucciderlo è stato uno Zuavo del Papa che, ferito a sua volta, viene accolto in casa del principe e amorevolmente assistito da sua figlia. Questa figlia, ovviamente, è la sorella del bersagliere caduto e quando i due si innamorano…”

Perché racconti questa storia?

“Per cavar fuori il classico “commediole” italiano dal gran calderone dei nostri Stati Regioni: la principessina e romana, il principe padre e di origini romagnole, lo zuavo è napoletano, fra i bersaglieri appena arrivati si sono lombardi e piemontesi … Tutti vanno e vengono in quel vecchio palazzo della vecchia Roma scontrandosi fra loro origini (che determinano sempre le loro idee) e dimostrando ad ogni piè sospinto che tutto sommato non c’erano più molte ragioni per riunirli e che, perciò quella famosa “unità d’Italia” era, o rischiava di essere, quasi soltanto utopia”

Ma da che parti stai questa volta? Col Papa o coi Piemontesi?

“Te l’ho detto. Il punto di vista questa volta, è di quelli che stanno dall’altra parte. Il punto di vista dei personaggi. Il mio però, senza arrivare a confondermi con i papalini perché non sarò mai un reazionario, mi porta ad avere ed ad enunciare dei dubbi proprio su quell’Unità d’Italia che comincio adesso a sospettare che non sia mai stata davvero un gran bene. O non quel bene comunque che si sognava dopo le rivoluzioni italiane del ’48, perché ha finito per essere soprattutto il risultato di una guerra di conquista intrapresa da quel piccolo regno straniero che era il Piemonte arrivato a Roma un’annessione dopo l’altra e con il sacrificio e l’assoggettamento spesso di culture autoctone molto più civili e forse più “italiane” di quelle che avevano espresso fino ad allora i Piemontesi e i Sardi”

Comunque ancora una volta un “commediole” romanesco?

“Romanesco perché si ambienta a Roma. Date le loro origini, infatti non sono molti questa volta, i personaggi che parlano romanesco”

Ci sei tu, però che tiri i fili, e dove ci sei tu …

“Puoi dirlo anche se facessi un film bulgaro la mia Bulgaria sarebbe solo e sempre romanesca”

Facciamo il punto allora, una volta tanto sulla tua ispirazione romanesca. Nel cinema italiano, sul tema sei quasi arrivato a tener cattedra. Cosa ti guida?

“ Sono nato a Roma, sono vissuto a Roma, la mia infanzia è disseminata di preti, la mia adolescenza, la mia età matura, sono sempre stato tutt’uno con Roma, la sua aria, le sue cornici, i suoi odori, i suoi colori, la gente attorno … Chi fa cinema deve essere onesto, conseguente e raccontare solo quello che sa, che è. Cosa dovevo raccontare io Milano? “

La tua commedia romanesca però, i tuoi “commedioni” ti sembrano la stessa cosa delle commedie “all’italiana” parlate in romanesco?

“No, e ti sono grato che tu una differenza che la veda. La commedia “all’Italiana” a mio avviso, parla romanesco per pigrizia, perché il più delle volte si ambienta a Roma anziché altrove solo per non andare troppo lontano da Cinecittà. Dicono: che la commedia “all’italiana” ha preso di mira i vizi e i difetti degli italiani. E’anche vero, ma l’intenzione con cui lo fa se osservi bene non è mai di natura morale, al contrario, tra le pieghe ha sempre una certa aria di connivenza, di complicità. Come se i suoi autori ammiccassero in platea dicendo: non vi offendete, anche noi in fondo, siamo della vostra stessa pasta. Io penso invece di fare l’opposto. I modi e le forme del dialetto; lo scherzo, la commedia, ma senza cedere, ne concedere, sempre con la sua brava moraletta per chiudere per tirare le sommo. Come voleva il Belli, del resto e come ci ha insegnato anche … Pasquino”

Per questo tante volte nei tuoi film racconti di cose di ieri e dopo fai dei riferimenti a quelle di oggi?

“Anche. Ma quella è un’altra storia. Anzi se vogliamo, li anziché far della morale, ho fatto qualche volta del moralismo e oggi ci sto riflettendo su con qualche rimorso. Vedi, come natura, io sono essenzialmente un ottimista e fino a adesso, con i miei film, avevo cercato sempre di trasmettere agli spettatori un po’ del mio ottimismo. Le bombe ad esempio, i terroristi. Mettevo in scena quelli della Roma papale con l’aria di dire in platea: lo so, che ne sono anche oggi, ma non crediate che non ce ne fossero anche prima, anzi è vecchia storia. Adesso, però, anche di fronte a tutto quello che continua a succedere, quell’atteggiamento lo sto abbastanza abbandonando. Lo vedrai in questo nuovo film: se ci saranno riferimenti, ci saranno anche delle distinzioni ben precise. Non è più tempo di ottimismi”

Torniamo al romanesco. Anche come lingua nei tuoi film è diverso da quello delle commedie “all’italiana”. E’ quello “storico” via via seguito attraverso le varie epoche in chi hai ambientato i film?

“E’ sempre lo stesso in tutti i film, perché dai primi dell’Ottocento al ‘70 il romanesco non ha mai quasi subito variazioni. Nel ’70 Roma era un borgo di ducentomila abitanti dove la gente veniva a compartimenti stagni, il popolo da una parte il clero dall’altra, la borghesia assente, i patrizi nei loro palazzi, La lingua di conseguenza, senza ne contatti ne scambi, era immobile: a farla muovere curiosamente à stato proprio l’arrivo dei cosìddetti: “buzzurri”, non solo i Piemontesi del corpo di spedizione, ma i funzionari statali trasferiti in seguito da Torino e da Firenze con le loro famiglie; è a questo punto che nasce “ il generone” romano, quello che comincia a dire “tera” e guera”, prima il dialetto da quasi cento anni, era stato solo uno, ed è quello appunto cui mi sono ispirato sempre nei miei film”

Le fonti letterarie?

“Una sola ovviamente, il Belli, perché la mia Roma, cronologicamente e geograficamente; è la sua, a Trastevere, Pascarella e Trilussa tanto per citarne altri due vengono dopo, e la loro Roma, oltre tutto è quella di Via Condotti, di Piazza di Spagna, di Piazza Colonna”

E l’iconografia? Pinelli, Thomas, Roesler Franz?

“Togliamo subito di mezzo Rosler Franz e Pinelli, il primo, perché era solo un pittore di maniera convenzionale, il secondo perché se si parte dal Belli, gli era lontano mille miglia. Lo so, la consuetudine, pigra e miope, vuole che i sonetti del Belli, li si illustrino col Pinelli, invece sono addirittura agli antipodi. Cosa faceva il Belli? Se ne andava in giro per le osterie, “registrava” quello che sentiva e poi lo imbrigliava nello schema del sonetto, uno schema che, sempre rispettava l’autenticità della cosa detta e vissuta. Pinelli, invece è un neoclassico. Guarda i suoi bulli. Profili da statua, riccioloni, atteggiamenti da tribuni: escono dritti dritti dai dipinti del David e si muovono a Roma come si muovevano a Parigi, i giacobini e i bonapartisti. Niente Pinelli , perciò, come appunto niente Roesler Franz, perché le cartoline di “Roma sparita” con il mio cinema non c’entrano. Thomas un po’ se vuoi, per certe chiese, per certe processioni in Tosca, almeno là dove diventano teatrino, ma senza prenderlo mai come punto di riferimento preciso. Tutto quello che racconto sono storie dal vivo e per la loro iconografia mi faccio ispirare dalla vita non dalla pittura”

E’ la vita di ieri però?

“Si ma per esserle fedele, non ho bisogno che me la ispiri questo o quello pittore, soprattutto di un’epoca in cui la pittura si teneva abbastanza lontana dalla realtà. Hai messo giustamente l’accento sul dialetto. E’ li che io trovo i tempi e i ritmi della realtà romana e romanesca che ho rappresentato finora in tutti i miei film. Io faccio commedie, nelle commedie più che nei drammi contano soprattutto i modi, i comportamenti. Chi me li suggerisce e addirittura alla lettera? La lingua appunto che i miei personaggi parlano una lingua plebea nata da una cultura soprattutto di pastori. Si, di pastori e di servi, perché quella era unicamente ed esclusivamente la plebe romana sotto gli ultimi Papa Re. La faccia di quella plebe, così e la faccia dei miei film, rude e selvatica, servile e contemporaneamente, insolente. La faccia tipica dei personaggi di Sordi, se vuoi perché anche il più strisciante e servile dei personaggi di Sordi ha sempre un risvolto di insolenza, di aggressività; da romanesco autentico. A tutto questo aggiungici la componente religiosa. Dicono che io sia anticlericale. Non è neanche tanto vero. I miei film sono pieni di preti perché i miei film parlano di quella Roma lì che straripava di preti perché era la più grande “città di scapoli” che ci fosse nell’Ottocento. E siccome ce n’erano tanti dappertutto c’erano i buoni e c’erano i cattivi. All’insegna tutti, comunque di un broncio costante da controriforma; da qui quell’aria sempre un po’ triste che hanno tutti i personaggi delle mie commedie perché attorno avevano solo tristezza, religiosità cupa, riti espiatori, anche di Carnevale… Con i modi di quel barocco che è un po’ la misura dei miei film o del loro modo di rappresentare Roma. Non il barocco togato, solenne tutto curve sontuose e venti violenti, ma insisto, quello della Controriforma cupa e penitenziale che pesava ancora sui romani di quegli anni. Ecco per risponderti sull’iconografia lasciamo stare il Pinelli e gli altri: la guida e la sorregge quel mondo,allora  di essere romani “romaneschi” e papalini. Con la controriforma dentro. A flagellarti anche quando in primo piano c’è solo il commedione”

Da qui quei tuoi colori sempre scuri …

“ Che ai miei direttori della fotografia fanno dire: “Nei tuoi film non si vede quasi niente. Il colore di Roma, allora era quello, il … nero prete con tutte le sue gradazioni e sfumature. La mia pagina più tipica in questo senso, considera l’arrivo in chiesa di tutti quegli storpi in Tosca: il piombo, il verde, il torvo. Una Roma viva che, ad ogni istante contraddice la vita”

Gian Luigi Rondi

Commenti

Post più popolari