1977 IN NOME DEL PAPA RE scenografie e costumi Lucia Mirisola

 


“ In nome del Papa Re è per me un film indimenticabile, per una infinità di motivi, ma soprattutto perché mi ha dato l’occasione di lavorare insieme a Salvo Randone. E’ il più grande attore con il quale abbia mai lavorato: sapeva parlare con lo sguardo era talmente bravo, che, come non mi era mai accaduto, neppure agli inizi della mia carriera, nei suoi confronti mi sentivo in grande soggezione. Credo che ad un certo punto lui se ne accorse e forse anche per questo  un giorno mi disse: “Sei più bravo di me”. Non ho mai ricevuto un complimento più gradito.”

Nino Manfredi

A un Nino Manfredi vestito, o meglio svestito da cardinale (tonaca sbottonata su camicia bianca pieghettata al ginocchio, ciabatte ai piedi, papalina rossa in testa, occhialetti su volto pallido, prosciugato grigio) Carmen Scarpitta, vestita da contessa romana anno 1867, imponente colorata, faccia contratta, sofferente, rivolge una drammatica battuta nel salone studio di Sua Eminenza, polveroso, illuminato da lampade a olio ( o petrolio?), focolare accesso: “ Se aspettamo che tu te prepari, je tajano la testa” Lui, disincantato girandosi verso di lei, dopo aver contemplato di spalle, una vetrata:” Niente nun posso fa niente. Ho fatto una scelta grave, decisiva. Io nun sò niente. Nun so più manco giudice. Oggi ho scritto ho al Papa: ho dato le dimissioni” La scena viene ripetuta più volte, la Scarpitta è chiaramente intimidita dal “divo” tanto che le scappa una risata nervosa. Tutto da rifare Manfredi da segni di indifferenza, pur buttandola sulla battuta scherzosa sempre feroce però: “vuole andare in pausa”. Infatti la scena seguente (lei strappa la lettera di dimissioni che lui le ha porto) si conclude in pochi minuti e per quella successiva è lo stesso regista a dire le battute  dell’attore dileguatosi per il pranzo.

Luigi Magni, soggettista, sceneggiatore, regista more solito, ci spiega la faccenda con il suo tono acre, scanzonato. Il film si chiama “In nome del Papa Re” si svolge come abbiamo accennato nel 1867. “L’anno della grande paura – dice Magni, Gigi per quasi tutti, quello delle bombe alla Orsini, le antenate delle molotov. Sullo sfondo il processo a Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, le ultime due vittime del potere temporale. Furono decapitati per aver fatto saltare la caserma Serristori facendo un eccidio di Zuavi, gli stessi che avevano assassinato in un loro banchetto, cosiddetto patriottico Giuditta Tavani Arquati incinta. Il dialogo fra la Scarpitta e Manfredi si riferisce invece a fatto privato che diventa oggi politico. E’ stato arrestato un giovane, quasi ragazzino (Danilo Mattei: lo ricorderete in “anima persa di Risi) che la contessa riconosce come il figlio avuto da un rapporto con il giudice del tribunale ecclesiastico impersonato appunto da Manfredi. Il ragazzo è un dinamitardo dell’epoca: non conosce i suoi genitori. Ma, nel film, più che la sua sorte interessa la crisi di coscienza dell’ignoto padre ormai convinto che il potere di cui è rappresentante, è marcio e non funziona più. Aggiunge Magni: “Il discorso è molto semplice. Si fa un po’ di un vecchio e sano anticlericalismo. Tanto cò ‘ ste bestie non si collabora. Loro sui lunghi ce fregano. So maestri dei tempi lunghi. Hanno aspettato 313 l’editto di Costantino … Ce la fanno a tutti “ Tornando a “In nome del papa Re” il regista ci rinfresca la memoria storica: “E’ Pio IX quando ha già pubblicato il sillabo e prima di proclamare l’infallibilità facendose cojonà da tutta la cristianità e consentendo la esistenza dei Lefebvre” Si vedrà anche nella battaglia di Mentana con la sconfitta dei garibaldini, “quel piccolo Vietnam” punteggia Gigi, “in cui gli chassepots fecero le famigerate meraviglie” Ma a Magni preme più parlarci del libro che ha appena scritto: “Si chiama “Cecilio”: è una fantasia medioevale sull’Apocalisse di San Giovanni. La satira di uno che cerca Dio. “E’scritto in un italiano sorprendente perché m’ero rotto de passà per il nipote di Pascarella” Ma intanto non riesce a raccontarsi se non in italo – romanesco: “E’ ‘na follia che cià preso a tutti, sta passando a un argomento scottante quello della “crisi del cinema italiano” Cerchiamo de lavorà. Non ce mettemo a fa i legislatori. Non è che noi famo le leggi all’ ANAC si discute poi si mercanteggia. E’ un quadro desolante perché non escono fuori proposte di rilancio di riconquista di spazi perduti. La crisi va bene; ma è anche la nostra crisi. Ma già, abbiamo i geni segreti che non hanno potuto esprimersi. Dobbiamo fare una politica per loro …” Il sarcasmo si stempera nella amara considerazione che “si ha l’impressione che tutto quello che avviene riguardi gli altri, che ognuno abbia la sua soluzione solitaria; invece può esistere solo la sopravvivenza opportunistica. Ma questo mi pare che non si voleva che fosse” D’altronde, Magni la pensa come Jancso, quando ha dichiarato che far cinema è noioso. “vuoi mettere scrivere? Oggi poi è una tale  fatica fare cinema. Mi basta una penna e una risma di carta. Del resto io non ho una collocazione precisa, non sono nemmeno un regista di quantità come Pasqualino Festa Campanile che dice di se da vero filosofo Tutt’al più posso dire che sono collocato nel centro storico” Tra una frustata e l’altra Magni non trascura di completare le notizie un altro personaggio di rilievo: l’attore milanese Carlo Bagno che fa una specie di strana coppia con Manfredi come suo “perpetuo” una sorta di governante di materne premure che condivide la vita casalinga del prelato con estrema affinità elettiva. Al momento Carlo Bagno è impegnatissimo a decifrare le battute romanesche del regista, del protagonista e di tutto il film che a lui risuona come un’altra lingua. Stupefatto ma curioso sta assimilando una diversa condividendo una medesima ideologia

Aurora Santuari

(Paese Sera 12 Giugno 1977)

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