1987 SECONDO PONZIO PILATO scenografie e costumi di Lucia Mirisola

Magni nel 1987, arriva nelle sale con un’opera che insieme a “State buoni se potete” (1983) rappresenta un altro capitolo che esula dal discorso di Roma e dell’Ottocento Papalino. Questa volta presenta al suo pubblico un’opera sulla passione di Cristo con protagonista Pilato roso dal rimorso per aver mandato a morte un innocente.

LA VICENDA:  Ponzio Pilato è turbato per la condanna a morte che, cedendo alle pressioni dei sacerdoti Anna e Caifa, ha inflitto al “mago” Gesù nonostante l’onestà appassionata e coraggiosa difesa di Giuseppe di Arimatea, magistrato e membro del Sinedrio, e nonostante il sogno di Claudia, la moglie. Lo è ancor più per i segni, ai quali però continua a non voler credere, che accompagnarono quella morte (il terremoto con le statue dei romani che s’infrangono nel pretorio, il velo del tempio incendiato, ecc). Vuole costatare di persona quella morte; e, in quanto alle chiacchiere della “resurrezione” temendo un trafugamento della salma per farla credere, appone guardie al sepolcro. Ma Gesù risorge davvero tra lo sgomento dei custodi e invita le donne ad annunciare ai suoi discepoli che li precederà in Galilea. Longino, il responsabile della custodia del sepolcro (quello che aveva trafitto il costato al Crocefisso), diserta per andare a raggiungere il morto – vivo. Pilato pensa subito che sia stato Giuseppe di Arimatea a trafugare nella notte il cadavere e lo fa ricercare; ma questi non poteva essere stato poiché, condannato a morte dai sinedriti per aver difeso Gesù, era stato rinchiuso nel loro carcere in attesa del supplizio. Gesù, risorgendo, lo aveva miracolosamente liberato. Il pur fedele centurione (come semplice legionario, aveva assistito alla nascita di Gesù l’aveva rivisto un giorno e s’era sentito dire: “io sono la parola”), fugge anch’egli con Claudia, Pilato cerca di inseguirli con i suoi soldati, ma un angelo lo blocca, scaraventandolo a terra da cavallo. Pur sempre ostinatamente incredulo anche di fronte a quei fatti prodigiosi, fortemente però incuriosito e forse spinto interiormente, va anche lui in Galilea con un grande seguito, adducendo la scusa di voler cercare la moglie fedifraga e di visitare Erode che tante volte l’aveva invitato a godere della sua corte licenziosa. Erode era tappato in casa per paura di quel Nazzareno. Qui Pilato non batte ciglio quando Erode minimizza la strage degli innocenti compita dal padre e s’addormenta alla … millesima danza dei sette veli di Salomè. L’indomani, sul monte, assiste all’ascenzione di Gesù e incontra i fuggitivi; ma orami tutti, anche soldati e seguito, lo abbandonano. S’incammina verso Gerusalemme con solo un asinello scampato alla fuga generale; ma anche questo, ad un dato punto si rifiuta di seguirlo. A Gerusalemme trova una grande carneficina di giudei e lui stesso viene destituito e arrestato: Tiberio Cesare infatti, avendo sentito parlare di un medico di Palestina che guariva tutte le malattie anche la lebbra (da cui egli era afflitto), con la sola parola, era ivi accorso, ma aveva trovato che Ponzio Pilato per istigazione dei giudei l’aveva ucciso. In carcere incontra Barabba e non un’ipotetica “sora Veronica”, aveva pietosamente asciugato il volto di Gesù nel suo tragitto al Calvario con un sudario, ricevendone in compenso l’immagine; ora, incarcerato di nuovo come rivoluzionario, per manifestare la propria gratitudine a Pilato che lo aveva graziato al posto di Gesù, gli offre quel sudario affinché ottenga vita guarendo l’imperatore. E infatti così avvenne; ma Pilato chiede a Tiberio di essere punito come assassino di Gesù, mentre chiede la grazia che venga sospesa la strage degli ebrei innocenti di quel sangue, di cui sono invece colpevoli i suoi capi. La moglie Claudia lo raggiunge al pretorio con il centurione, ma invano tenta di dissuaderlo dal farsi giustiziare. Mentre avverte ormai che quella di Gesù è cosa vera, Pilato quasi in polemica con tutti che si sono voltati a Cristo senza una matura riflessione( “ci vorrebbero cent’anni dice perché io maturi dentro quello che è successo), chiede una moneta al centurione per pagare Caronte il traghettatore dello Stige, si da morire “da romano” secondo la tradizione e offre il collo al carnefice. Quando la scure sta per abbattersi violentemente, appare l’angelo e gli dice: “tutte le generazioni di chiameranno beato, perché sotto di te hanno avuto compimento le cose preannunciate dai profeti e tu stesso, come suo testimone, comparirai quando ritornerà a giudicare le dodici tribù di Israele e quelli che non avranno confessato il suo nome; e si copre il volto con il rosso mantello in segnò di pietà.

IL RACCONTO. Con una mescolanza di elementi narrativi ricavati sia dai sinottici, sia dai vangeli aprocrifi (particolarmente da quello da Nicodemo, p.e. per il particolare dei labari che si inchinano fino a terra al passaggio di Gesù all’inizio e, alla fine del suo sudario che Pilato porta in tasca) sia dei medioevali “Acta Pilati” con pochissimi adattamenti personali di Magni (salvo la struttura narrativa cinematografica), il film è sostanzialmente di vicenda, ma “presenta due grossi perni strutturali semiologici” che ne indicano chiaramente il significato, non solo salvandolo sul filo del rasoio da un’impostazione a”pseudo tematica” bensì dandogli un certo valore universale. Il primo perno è l’uso del romanesco come linguaggio e come diciamo modo di vivere (p.e. Giuseppe d’Arimatea viene chiamato “sor Giusè”. Pilato “eccellenza”, si parla di “pennichella”, ecc); il secondo è la caratterizzazione dei personaggi e primo fra tutti Pilato e delle loro azioni, che evidentemente non interessano in funzione della storia, bensì è questa che interessa in funzione loro.

IL PRIMO PERNO. Nel film tutti parlano e si comportano in romanesco, tranne i sacerdoti, l’angelo e qualche personaggio minore. Pilato, poi, è un magnifico Manfredi popolano trasteverino, villano e spumeggiante, ben poco rappresentante sfarzoso dell’impero dell’impero, certamente più vicino a Trilussa che a Tacito o Ovidio. Orbene è noto che l’interpretazione romanesca sia del parlare sia del vivere ch’è poi quello di Pascarella e, appunto, di Trilussa, quindi relativamente recente, non è quella degli antichi romani, tanto meno quella imposta dai romani alle popolazioni dominate. Non solo; ma scenografie, ambientazioni (poco palestinesi) e costumi sono ispirate in gran parte alla pittura manierista (particolarmente l’angelo) e orientalista tardo ‘800, ai tempi dell’istmo di Suez ma anche ai classici, p.e. a Raffaello nell’Ascensione; la sceneggiatura e la recitazione sono pregne di umorismo e di ironia, soprattutto nei confronti del potere di Roma, mentre i sacerdoti giudei sembrano dominare la situazione, così che il vestirsi con braccano meridionale, come fanno spesso Pilato e il centurione (ma Erode è vestito alla romana), insinua  ironicamente un assorbimento dei romani nei costumi delle popolazioni soggiogate quasi a contrappeso del “Roma capta ferum victoria coepit ( Roma dominata ha dominato il vincitore); Tiberio non è andato affatto in Palestina a cercare Gesù e pare sia stato si Tiberio a far giustiziare Pilato, ma a Roma e non a Gerusalemme; i dialoghi rispecchiano perenni tematiche mai viste con mentalità di oggi e non con quella del tempo; la musica si immerge completamente nell’epoca moderna. E’ chiaro dunque che il film non intende affatto realizzare una ricostruzione storica dei fatti. Ma nemmeno intende darne un’interpretazione favolistica: c’è infatti troppo rispetto per azioni e personaggi che il vangelo narra esplicitamente (salvo qualche dettaglio, come quello del lenzuolo non piegato nel sepolcro e nonostante una notevole libertà di ispirazione); d’altronde, c’è troppa attenzione alla verosomiglianza, sia pure uomoristica, nel raccontare azioni e personaggi desunti da extrasinottici (p.e. Esterina, la ricostruzione esistenziale dei personaggi Pilato, il Centurione, Giuseppe di Arimatea, Barabba). Che significato può avere, allora quest’aver impostato il film in chiave romanesca? Mi pare che la pur colta e acuta interpretazione di Moravia, resti veramente “al di qua dell’espressione”, mentre è piuttosto chiaro che quel romanesco, soprattutto poi nel contesto del secondo perno semiologico – strutturale e di questo in quello, attualizzi lungo i secoli fino ai nostri giorni, non tanto la vicenda si sé di 2000 anni fa, quanto piuttosto i comportamenti dei suoi protagonisti, inserendo addirittura il tutto nell’ambito dei rappresentanti di Roma per emblematizzare quell’episodio della storia più a livello di Roma “caput mundi” (cioè centro del potere cui corrisponde un popolo dominato) che a quello di Roma attuale “capitale d’Italia”

IL SECONDO PERNO Che sia la storia a interessare in funzione dei personaggi e del loro comportamento e non viceversa, lo si desume dalla facilità dei seguenti elementi:

a)            Le immagini di natura, ivi compreso lo scorpione, sotto i titoli di testa, una natura aspra e dura anche insidiosa, ma anche bella e spaziosa e, direi soprattutto, elaborata da fattori esterni pur sempre naturali (gli eventi metereologici che hanno scavato e disegnato le rocce e il prodotto il deserto, quello stesso di cui Pilato dirà di non riuscire a sopportare l’asprezza) offrono subito una specie di chiave di lettura: annunciano cioè la storia che seguirà quale una storia di uomini buoni e cattivi, nel confronto di qualcosa che è “al di sopra” (una sorte di trascendenza non meglio identificata, almeno esplicitamente)

b)           Il flash back all’inizio del racconto: mette in fortissimo rilievo il profondo turbamento interiore, ma non rimorso di Pilato per l’ingiusta condanna inflitta e non propriamente per la vicenda del condannato (se fosse stata quest’ultima a interessare, il flasch back sarebbe stato assolutamente inutile e anche disturbante): Pilato, infatti, così abituato a condannare a fior di pelle, segue col pensiero quello che sta succedendo al condannato di quel giorno (“che ore sono? Chiede al centurione, L’ora Sesta,cioè mezzogiorno”. “dovrebbero essere arrivati al Calvario!” e più avanti. “Solo tre ore ci ha messo a morire”

c)            L’ostinata cecità di Pilato e dei sacerdoti e in genere di quelli che detengono il potere (Tiberio però, guarito, ammetterà che Gesù è Dio, quasi a dire che il bisogno e il dolore possono modificare profondamente l’uomo, chiunque sia) di fronte ai miracoli di Gesù. Pilato non vuole ammettere l’esistenza pur di fronte all’evidenza (non ammette nemmeno di vedere l’angelo che lo ha scaraventato a terra da cavallo, che è davanti e che pure vede; e infatti l’angelo, nel deserto, glielo rinfaccerà); i sacerdoti interpretano e fanno interpretare come magia e come bestemmie i prodigi, che pure erano impossibili a farsi se con l’intervento divino.

d)           Il raccordo tra la prima e l’ultima scena: il turbamento iniziale viene chiaramente sviluppato lungo tutto il film e culmina nella richiesta che Pilato fa d’essere giustiziato per riparare l’ingiustizia commessa (affinché in futuro non si pensi che il male può restare impunito) e per salvare un popolo oppresso; e a quel momento, come punto d’arrivo, arriva la testimonianza dell’angelo;

e)           L’accentuazione del far ricadere, il sangue di Gesù sul popolo, mentre i veri colpevoli ne sono solo i suoi capi;

f)            L’accentuazione di tanti dettagli narrativi che hanno poca importanza per lo sviluppo della storia (p.e. i ragazzini che giocano nel cortile all’inizio, mentre Pilato parla col centurione facendo capire il suo turbamento; quel po’ di… tenero che si sviluppa tra Claudia e il Centurione, trovandosi d’accordo sulla figura di Gesù, cioè come Pilato interpreta in chiave il tradimento … coniugale quel loro con convenire religiosamente; Pilato che chiede: (“ Ma chi è questo Gesù?”), ne assumono invece parecchia per caratterizzare il personaggio o il momento e quindi sotto il profilo tematico;

g)            Pilato testimonia che Gesù è Dio e uomo (alla sua domanda “Ma chi è questo Gesù” Tiberio risponde “Dio” Claudia risponde “uomo” e lui annuisce ad ambedue), senza tutta via rinunciare alle proprie credenze (la moneta per lo stige)

Dal complesso di questi elementi che esprimono una ridda di idee tematiche parziali sia circa la religione e il cristianesimo, sia circa i potenti e il pantalone che paga sempre , in una parola, l’uomo nella sua complessa realtà individuale e sociale, i due grossi perni strutturali si fondano per coagularsi intorno ad una idea centrale che potrebbe grosso modo esprimersi così: “la storia di Cristo, vista dalla parte di Pilato uomo: di potere ma uomo di tutti i giorni ( quel “secondo”  nel titolo e tutto tessuto narrativo del film ) e alla fine, la storia di Pilato vista in funzione della vicenda di Cristo diventano emblematiche della realtà sociale  anche odierna (il romanesco) sotto il profilo di un giudizio della bontà e delle cattiverie morali, considerate ai vari livelli della società, dai bambini ai potenti, insomma quel vero valore umano (“ io sono la parola”). Ma si potrebbe forse aggiungere anche (benché la dizione del film, per questo aspetto non sia altrettanto definita). “tuttavia la sequela formale di Gesù non è determinante a caratterizzarne la qualità (il valore della testimonianza di Pilato affermato all’angelo mentre egli conserva la credenza dello stige) Sotto il profilo tematico, il film sostanzialmente “di vicenda”, presenta tutti i rischi di dizione e di interpretazione che ciò comporta. La convinzione tematica, dell’autore (soprattutto sceneggiatura e regia) e del principale interprete, Manfredi, è evidentemente profonda, ma, pur quanto più sentita che espressa razionalmente nella sua profondità e pur lasciando imprecisato il significato di qualche passaggio, riesce a emergere con sufficiente chiarezza. Come accennato, il film corre il rischio della “pseudotematica” per per aver affidato la distinzione più ai “modi narrativi” che ai modi “semiologici” ( il suo significato lo fa dire alle “cose” narrate più che al “come” (semiologico) le narra. Ma il suo interesse notevolissimo è d’affermazione tematica e del fare sana opinione. Sotto il profilo cinematografico e artistico, inutile sottolineare il grande mestiere e gusto dell’autore, anche nell’intelligente scelta (commerciale) degli attori ( Buzzanca e la Sandrelli non convincono molto come entusiasti seguaci di Gesù, anche perché l’autore li presenta come visti da Pilato, ma il film si basa molto sull’ironia e sullo spettacolo) e la bravura di gran parte di questi, primo fra tutti quel simpatico filone di Nino Manfredi. Anche la musica è tutt’altro che disprezzabile, per quanto un uso più discreto, qua e là, penso non sarebbe nociuto. Film, quindi, di ottimo mestiere, ma non capolavoro d’arte in senso stretto (come del resto non penso fosse l’intento di chi l’ha fatto). Sotto il profilo morale e sociale, si può supporre che difficilmente il significato del film, venga colto dal grosso pubblico ( che pur riempie le sale e lo segue con attenzione e generalmente, pare, con interiore consenso) così esplicitamente come noi l’abbiamo “letto” qui sopra.


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