LA SEDE : Una stazione museo
Il 27 Gennaio 1862, due treni partiti dalla stazione
di Roma Porta Maggiore e dalla stazione di Ceprano si incrociarono in quella di
Velletri appena ultimata aprendo così di fatto al traffico ferroviario la linea
voluta fortemente dal Beato Pio IX
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Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti) |
Iniziava così la storia della seconda linea ferroviaria dello Stato Pontificio. Tanta fu la gioia della comunità cittadina per quest’avvenimento che il Municipio affidò allo scultore Giuseppe Bianchi la realizzazione di una medaglia commemorativa che venne emessa il 17 Maggio dello stesso anno. Di essa si conoscono pochi esemplari in argento e in bronzo.
La medaglia ha nel dritto il Pontefice rappresentato
in abiti corali, ovvero in mozzetta bordata di ermellino stola e la papalina.
Sul verso invece si trova il ponte Pio meglio conosciuto oggi come il ponte di
ferro con il treno papale in transito.
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Il verso e il dritto della medaglia commemorativa coniata per l'inaugurazione della Roma - Velletri - Ceprano |
Un anno dopo nel mese di Maggio del 1863, il Papa che non era stato presente all’inaugurazione arriva in treno a Velletri per inaugurare il secondo tratto quello fino a Ceprano, ultima città dello Stato della Chiesa, ai confini di quella legazione che aveva voluto costituire mettendone a capoluogo Velletri nella sua riforma amministrativa dopo l’esilio di Gaeta. A ricordo di questi importati avvenimenti sono state scoperte due epigrafi marmoree ancora visibili oggi sul fabbricato centrale del nodo ferroviario.
Il Pontefice arrivò come abbiamo alla stazione di
Velletri l´11 Maggio 1863 circa alle ore 6 pomeridiane in treno ad attendere il
Papa c´erano il Legato Apostolico Cardinale Mario Mattei , Mons. Ricci Delegato
della Provincia, Mons. Scapitta Delegato di Frosinone e Mons. Luigi Macioti
Toruzzi ponente di Consulta. Le autorità civili e giudiziarie delle due
provincie. I rappresentanti veliterni presentarono al Papa le chiavi della
cittá mentre risuonava il fragore degli spari. Pio IX prese riposo nelle sale
della stazione dove ammirò anche un suo busto scolpito per l´occasione da
Achille Fabri e lesse le seguenti iscrizioni:
Pio XI
Pontifici Maximo
Quod Providentia Eius Et Nutu
Via Ferreo Tramite
Neapolim Roma decurrens
velitras attigit
viri a consiliis provinciae regendae
dedicavere
parenti optimo
VI kal Febrauraias an MDCCCLXII
Quo Die Cvrsus Pvublicus Commeantibus
Patvit
Mentre all´ uscita della stazione lesse la seguente
iscrizione
Al benefico principe
Pio IX Pontefice Massimo
Amore e Ricordanza Immortale
ne assicurò ed arricchì il commercio
ordinando
che la ferrovia
percorresse
Velletri e la Marittima
Il Consiglio Provinciale
Lieto del Pubblico Incremento
Scolpí nuova
e solenne ricordanza
MDCCCLXII
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Il Cardinale Mario Mattei legato apostolico di Marittima e Campagna |
A bordo della carrozza scortato dal battaglione
francese, dalla Guardia Nobile, dagli Ussari ed infine dai Gendarmi Pontifici
giunse a Porta Napoletana dai cui bastioni pendeva il vessillo con le Somme
Chiavi e sull´ arco si leggeva la seguente iscrizione
Pio IX Pontifici Maximo
optimo felici augusto
vota veliternorum
impleti
o.p.q
fausta omnia
Percorso un breve tratto a piedi il Sommo Pontefice si
trovò nell´atrio della Cattedrale di S. Clemente dove venne accolto dal Vescovo
Suffraganeo Mons. Gesualdo Vitali, dal Capitolo, dal Seminario e dal Clero.
Entrato in Basilica il Pontefice ricevette la benedizione eucaristica impartita
dal Vescovo e dopo si raccolse in preghiera davanti alla Sacra Immagine della
Madonna delle Grazie fu scoperta l´ iscrizione marmorea del seguente tenore che
ancora si vede nella Cappella Santuario
Pio IX Pont.Max
Qvo Sospite
Salva Res Pubblica Est
In comm.diei V Id Maii MDCCCLXIII
Quum ille
Civitate Universa Adclamante
Velitras succedens
Basilicam Clementinam
Eius Iam Praesentia Tertio Cohonestatam
Benigne Revisit
Ac Deipare Gratiarum Matri
Preces In Hac Aedicvula Fudit
Collegium Canonicorum Eivsdem Basilicae
Ad.Memoriae Perennitatem
Uscito dalla Cattedrale si recó in carrozza al Palazzo
del Comune dove venne accolto da una folla esultante. Qui prima di entrare
impartí la benedizione apostolica. Nella sala dove venne preparato il trono Pio
IX ammise al bacio del piede tutte le rappresentanze della Provincia di
Marittima che lo avevano ricevuto alla stazione. Salito all´ appartamento del
Cardinal Legato ammise al bacio del piede il Capitolo della Cattedrale, il
clero, la nobiltá e le dame. La sera venne incendiato un grandioso fuoco artificiale.
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L'epigrafe che ricorda l'inaugurazione del 27 Gennaio 1862 |
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L'epigrafe che ricorda la visita di Pio IX 11 Maggio 1863 |
II giorno
12 Maggio 1863
Il romano Pontefice dopo aver detto Messa nella Cappella
privata dell´ Em.mo Cardinale Decano in carrozza si recò alla badia di
Valvisciolo dove venne accolto da Mons. Ricci Delegato da Mons. Vitali
Suffraganeo e da alcune autorità militari. Cisterna lo accolse magnificamente
una apoteosi di folla lo attendeva mentre ovunque bandiere ed iscrizioni
inneggianti all´evento
A Pio IX
Pontefice Massimo
Il giorno
che di sua augusta presenza
beava la terra di Cisterna
gli abitanti
discendenti da quei fortunati
che videro fra loro ed udirono
l´apostolo Paolo
scrissero questa memoria
a segno di ossequio e riconoscenza
Il Papa venne accolto dai canonici di Santa Maria
Assunta ed entrato nella Collegiata pregò davanti al Sacramento impartendo poi
la Benedizione Apostolica. Si rimise in viaggio Pio IX per l´Appia e giunto al
pizzo del Cardinale poté ammirare la nuova strada per la badia che lui stesso
aveva voluto.
A Valvisciolo attendevano il Santo Padre gli abitanti
di Norma, Sermoneta, Carpineto, Bassiano, Cori, Sezze e Terracina, sulle rovine
di Ninfa sventolava il vessillo bianco giallo e due iscrizioni commemorative
del seguente tenore
L´ Angelo di Ninfa
proteggitore un dí
del terzo Alessandro
veglia oggi custode
del nono Pio
Fui spenta
ma rimasi grande
la vita se avessi
a te o Pio
siccome giá ad Alessandro
nuovamente darei
Il Pontefice venne accolto trionfalmente spari di mortari dal castello di Sermoneta e dalla roccia di Norma mentre festanti i sacri bronzi facevano udire la loro voce. Furono eretti due archi trionfali che condussero Pio IX alla badia su di essi alcune iscrizioni dettate dal Canonico De Lazzaro. Ad attendere il Papa il Vescovo di Terracina e i capitoli di Norma e Sermoneta. Dopo aver pregato in chiesa, il pontefice si recó negli appartamenti appositamente preparati e dopo aver ammesso al bacio del piede del delegazioni presentí impartí nuovamente la benedizione apostolica alla folla che lo ricambió con osannanti ovazioni. Prima di intraprendere la via del ritorno a Velletri il Papa donó al monastero ricchi e preziosi arredi sacri. Arrivato in città non gli fu concesso di riposare nella sala delle lapidi del Palazzo Municipale perché le acclamazioni del popolo lo indussero ad affacciarsi per benedirlo di nuovo.
III Giorno 13 Maggio 1863
Il romano pontefice dopo aver celebrato la Santa Messa lasció nuovamente Velletri per continuare il suo viaggio nella provincia di Marittima e poi in quella della Campagna alla carrozza papale si aggiunse quella del Cardinale Legato Macchi sotto scorta percorrendo la via corriera si recarono di nuovo alla stazione ferroviaria qui a ricevere il Vicario di Cristo; erano i rappresentanti delle ferrovie e le autoritá governative. Il nobile vagone pontificio accolse il Cardinale Macchi ed altri prelati che accompagnarono Pio IX a Frosinone.
Valmontone
La prima fermata fu a Valmontone anche qui ovunque archi di trionfo ed iscrizioni. Sceso dal treno Pio IX entrato nella sala dov´era stato preparato il trono ammise al bacio del piede le rappresentanze presenti tra queste quella del comune di Artena. Impartita la benedizione riprese il viaggio erano quasi del 10 del giorno. Lungo tutto il viaggio il Santo Padre scese in tutte le stazioni dov´era stato preparato il trono ammise al bacio del piede delegazioni comunali, autoritá governative, clero, capitoli e nobili questo fu cosí fino a Frosinone. Appena messo piede sulla nobile terra di ciociaria gli accompagnatori veliterni si congedarono dal pontefice in attesa che questi ritornasse nei confini della provincia di marittima.
IV giorno 14 Maggio 1863
Dopo aver detto Messa Pio IX lasció in carrozza Frosinone
per andare a Ferentino e dopo aver mangiato ad Anagni si recó in carrozza alla
stazione di Segni qui ad accoglierlo autorità del governo, delle ferrovie e
della Marittima. Una moltitudine di folla era ad accogliere il Pontefice non
c´era solo il popolo segnino ma anche quello di numerosi comuni limitrofi. Anche
in queste terre il Beato Papa non si sottrasse alla popolazione, ammise al
bacio del piede le varie delegazioni che gli porsero ossequio. Riprese dunque
il Santo Padre la via per Roma, ovunque passasse il treno pontificio non mancarono
fiori, archi trionfali ed iscrizioni. All´arrivo a Velletri il treno pontificio
fece una breve sosta giusto per dare il tempo al Cardinale Macchi di congedarsi
dal Papa.
Intanto i bersaglieri, sfondano a Porta Pia mettendo definitivamente fine al potere temporale del Papa, quello che Mazzini ebbe a definire la vergogna civile d’Europa. Pio IX dopo aver ordinato agli eserciti pontifici di “non resistere” si dichiarò prigioniero del nuovo stato italiano chiudendosi in Vaticano. Iniziava così quella che la storia conosce come “la questione romana”.
Velletri fu protagonista anche se di riflesso di quasi
tutti quegli eventi che portarono alla storica giornata del 20 Settembre 1870.
Uno di questi fu l’epica battaglia del 19 Maggio 1849, quando Garibaldi alla
testa di pochi volontari contravvenendo agli ordini del Generale Roselli di non
avanzare verso Velletri, riuscì a fugare le truppe borboniche di stanza in
città, entrando nel centro storico vittorioso dalla Colonnella dove si era acquartierato.
Fu questo “fatto d’arme” che legò in modo indissolubile l’eroe dei due mondi
alla storia di Velletri. Il 19 Maggio 1875, su invito dell’allora Sindaco Luigi
Galletti il generale accompagnato dalla moglie Francesca Amorosino e dai figli
avuti da lei Manlio e Clelia giunse alla stazione in treno da Roma per
partecipare alla commemorazione di quella battaglia che era rimasta nel ricordo
di tutti.
CITTADINI,
Nell’imminente anniversario del 19 Maggio 1849, il
Generale Giuseppe Garibaldi si recherà tra noi. Questo giorno, in cui una
falange di generosi italiani affrontando e fugando Ferdinando Borbone
suggellava col sangue il nostro diritto e preparava i nuovi destini d’Italia,
sarà da noi celebrato come si conviene, alla presenza dell’uomo grande che fu
l’eroe. Una doppia lapide sarà inaugurata alla barriera di porta romana, che
ricordi ai venturi il nome dell’intrepido condottiero e i caduti in quella
gloriosa e pur mesta giornata. Cittadini, noi non sentiamo il bisogno di far
appello al vostro patriottismo. L’annunzio della venuta del generale Garibaldi
in Velletri in tale ricorrenza addita a voi ed a noi ciò che ne resti a fare.
Più cara che ogni festosa pompa e si legga nei volti l’espressione della nostra
gioia, di gratitudine di quanti serbano un culto per le virtù del sagrifizio e
per le grandi magnanime imprese a pro della patria.
14 Maggio 1875
Il Sindaco
Luigi Galletti
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Clelia Garibaldi |
Con questo manifesto l’amministrazione comunale
annunciava alla cittadinanza l’imminente visita del Generale e per accoglierlo
si cercò di prepararsi degnamente, Velletri era “tutta pavesata a festa, con
archi di trionfo, ornamentazioni floreali, drappeggi e bandiere a ogni
finestra…” In Piazza del Comune, parlò alla delirante folla, colà convenuta per
acclamarlo e festeggiarlo, pronunciando il seguente discorso:
“Sono lieto di trovarmi, fra di voi, dopo, ventisei anni di vicissitudini, superate. Io ti saluto, o fortissimo popolo di Velletri. Vi ringrazio di cuore della bella accoglienza che mi fate. GRAZIE. Noi ci siamo conosciuti in una giornata che era ben più calda d’oggi. In allora il caldo della stagione era superato da quello delle fucilate! Fucilate, che, per nostra disgrazia si dovettero scambiare, tra fratelli! Ricordo il Borbone, ma non lo ricordo con odio. Ebbe la sventura di nascere sul trono e oggi esiliato come lo fummo noi. Assaggia anch’egli il dispiacere dell’esilio e forse prova il bisogno, PERDONIAMOGLI! Ricordo con orgoglio la gloriosa Repubblica Romana che era veramente, la rappresentanza della volontà del popolo. Noi fummo, costretti a combattere un re carico di delitti. Abbiamo scacciato quei soldati da Palestrina, e l’abbiamo sconfitto in questa eroica città. Quel combattimento, fu precursore, di battaglie che diedero poi all’Italia, milioni di figli, che erano stati segregati per molto tempo. I soldati borbonici erano italiani. Speriamo che non verrà più un’epoca in cui sia necessario, seminare ossa di fratelli su questa terra. Se lo straniero ardisse invadere il nostro sacro suolo la generazione che sorge saprà fa rispettare la Bandiera Italiana. Compio un dovere presentandovi, il mio capo d’allora, il Generale Avezzana, il veterano di cento battaglie combattute in Italia e in America” discorso pronunciato da Garibaldi a Velletri nel 1875.
Fu quindi accompagnato a Porta Romana da un immenso corteo, mentre la popolazione di Velletri, alla quale si erano aggiunti per l’occasione molti forestieri del circondario, esprimeva il suo incredibile entusiasmo. Tornado a Velletri, Giuseppe Garibaldi, rivisse sicuramente nella memoria la Battaglia del lontano 1849. Accettò infatti di buon grado di ritornare suoi luoghi in cui si era consumato il fatto d’arme, non senza incognite e pericoli per la sua stessa persona.
A Vigna Blasi i padroni di casa, inorgogliti del particolare onore, avevano preparato un degno banchetto per l’illustre ospite; ma Garibaldi famoso per la sua semplicità di vita e la grande frugalità, non toccò nessuno dei cibi prelibati, limitandosi ad accettare volentieri fave fresche e caciotta. I festeggiamenti durano per tre giorni. Garibaldi da Caprera scrisse una calorosa lettera di ringraziamento, nella quale diceva di considerare “ il nobile paese come una seconda terra natia”. Il consiglio comunale, il 29 maggio 1875, all’unanimità acclamava il Generale cittadino onorario di Velletri. Stabiliva altresì di approntare per un appartamento nel Palazzo Comunale. Giuseppe Garibaldi si premurò di rispondere che “andava superbo di appartenere alla cittadinanza di Velletri” Considerata la portata dell’ attaccamento del popolo di Velletri all’Eroe dei Mondi”, si può capire il dolore, lo scoramento di tutti alla notizia della sua morte, avvenuta a Caprera il 2 Giugno 1882. Furono proclamati alcuni giorni di lutto cittadino.
Una delegazione ufficiale, guidata dal Sindaco, si recò ad assistere ai suoi funerali. E non era certo un modo per relegar ere nel passato la figura di Garibaldi. Essa è viva ed operante ancora nel presente, perché lo spirito di libertà e l’ardimento che l’hanno contraddistinta, sono venuti a trovarsi in linea con le peculiarità che il popolo di Velletri ha salvaguardato attraverso i secoli. Ecco perché Garibaldi a Velletri è diventato un mito solidamente attestato nella coscienza delle generazioni che si sono succedute a quella che ha avuto la ventura di conoscerlo di persona e di poterlo annoverare tra i concittadini più illustri.
Il 24 Novembre del 1878, il sindaco f.f. Principe Ginnetti D’Avellino, con tutta la sua amministrazione accoglie alla stazione il Re Umberto I e la Regina Margherita di Savoia che avevano accettato l’invito di venire in visita alla città.
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Il Re Umberto I di Savoia |
Nel 1893, è il Sindaco Alfonso Alfonsi ad aspettare
alla stazione un altro ospite di riguardo, stiamo parlando del Generale Menotti
Garibaldi che arrivava in città per ritirare la cittadinanza onoraria, stesso
riconoscimento conferito qualche anno prima al padre. Menotti era stato eletto
deputato nel collegio di Velletri, ruolo a cui teneva moltissimo tanto che
molto fece durante la sua attività parlamentare per la crescita e lo sviluppo
della terra che rappresentava. Rifiutò addirittura la candidatura nel collegio
di Roma perché non voleva tradire la gente di Velletri che lo elesse per ben
nove legislature.
Dal numero unico “ Epopea Garibaldina” redatto da Renato Guidi per il centenario dell’Unità Nazionale stralciamo la cronaca dell’epoca: Il 13 novembre 1892, si riuniva il Consiglio Comunale di Velletri, per compiere un atto solenne ed imperituro. Menotti Garibaldi, veniva acclamato cittadino onorario, come era avvenuto per il suo grande genitore. Erano presenti alla seduta 25 consiglieri. Il Sindaco Alfonso Alfonsi, all’inizio ricordò che il Consiglio era stato convocato per il conferimento della cittadinanza onoraria al Generale Menotti Garibaldi, ed aggiungeva essere questa la seconda volta, dacché la provincia di Roma era riunita all’Italia, che il consiglio, era chiamato a compiere un atto così solenne.
La prima volta, proseguì il Sindaco, fu il 29 maggio
1875, giorno in cui venne acclamato cittadino veliterno, il Generale Giuseppe
Garibaldi, con un ordine del giorno proposto dai consiglieri: Avv. Luigi
Novelli, Avvocato Federico Messi, Avvocato Luigi Censi e Dott. Alfonso Alfonsi.
Oggi, disse il Sindaco, la Giunta si propone, o signori, di conferire un simile
onore, al figlio prediletto di quell’eroe. Il Municipio, terminò il primo
cittadino, lasciò passare 17 anni, di rappresentanza politica, prima di fare
una tale proposta il cui significato non doveva sembrare una deferenza al nome
del glorioso portato dal Generale Menotti Garibaldi, ma doveva essere, com’è,
un doveroso attestato di affettuosa riconoscenza, per le benemerenze personali
dell’egregio nostro deputato. La splendida votazione di domenica scorsa, la
dimostrazione popolare, che ebbe luogo la sera, assicurano la giunta, che essa
interpreta veramente i sentimenti del paese, proponendo di acclamare Menotti
Garibaldi cittadino onorario di Velletri.
Tutti i consiglieri si alzarono in piedi applaudendo e
applaudì anche il numeroso pubblico presente in sala.
Il Sindaco comunicò che avrebbe subito avvertito il
Generale, dell’atto del Consiglio, il quale sarebbe stato poi consacrato in una
pergamena da consegnare al Generale. L’atto compiuto dal Consiglio fu veramente
omaggio doveroso a chi aveva operato per lo sviluppo di Velletri. Infatti
Menotti Garibaldi, combattente in Lombardia nel 1859, a Calatafimi nel 1860, a Monterotondo
e a Mentana nel 1867, fu l’indimenticabile deputato di Velletri che amò e
valorizzò.
A lui è legata la istituzione della Cantina
Sperimentale che anche oggi onora l’Italia, e rende celebre la nostra città. A
Lui agricoltore, bonificatore di vasto territorio della campagna romana (presso
Albano Laziale, tanto che si eleva tra Ariccia e Albano un monumento in bronzo riproducente,
con gli arnesi da lavoro la sua possente figura) non poteva sfuggire la somma
importanza della viticultura italiana ed in particolare della regina delle
viti.
Velletri ebbe una grande stima per il primogenito di
Giuseppe e Anita, tanto da eleggerlo varie volte deputato, ed acclamarlo
cittadino onorario. Riportiamo qualche cenno sommario, brevissimo,
sull’attività di Menotti Garibaldi come deputato del collegio di Velletri. Il
23 ottobre 1862, l’instancabile bonificatore dalla figura irresistibile, piena
di leale simpatia, maschia e nobile il cui volto, forte e sereno ritraeva tutte
le paterne fattezze, inviava all’On. le Ettore Ferrari il seguente telegramma.
“
Riconoscente agli amici che vogliono onorare il mio
nome, non posso accettare. Rappresentante di Velletri, da 17 anni, non
diserterò il posto, ove quel corpo elettorale voglia ancora confermarmelo” Era
stato infatti inviato a correre nel Collegio di Roma.
Un giornale del tempo così commentava il telegramma:
“L’atto del Generale Garibaldi, fa onore al suo carattere ed ai suoi principi.
Si risolve insieme in una manifestazione di fiducia verso gli elettori del
nostro collegio. Egli infatti dice loro “io sono con voi, perché siete con me”
Il voler tessere la storia, proseguiva il foglio di ciò che l’egregio generale
ha fatto sarebbe cosa assolutamente impossibile. Ogni Municipio, ogni associazione,
ogni cittadino, può chiederlo a se stesso e le risposte saranno, ne siamo certi,
un coro di elogi al suo animo generoso, alla sua abnegazione, al suo
disinteresse.
In un discorso agli elettori, durante la campagna
elettorale disse: “ Educato alla scuola dei sacrifici, ho visto compiere dei
miracoli, ho visto cittadini male armati, vincere vecchie truppe disciplinate,
e ben equipaggiate, ma non credo possibile sempre i miracoli e perciò, voglio
un’Italia militare e forte, un Italia che sappia difendere le sue Alpi, tante
volte calpestate dal soldato straniero, ma questo deve essere ottenuto coi minori
sacrifici dell’esauste finanze. Occorre promuovere l’istituzione in tutti i
comuni italiani del Tiro a Segno, perché funzioni in tutti i Comuni Italiani,
le palestre ginnastiche saranno anch’esse un potente ausiliario per educare la
nostra gioventù.
All’una cosa e all’altra dedicherò tutta la mia
attività. Parlando poi della questione agricola disse che la base della nostra
economia nazionale. Occupandoci di essa con fermezza e serietà di propositi, si
ritroverà in parte la questione sociale italiana.
E’ perciò dovere (anche oggi si dovrebbe ripetere tale
invito) per noi, pensare a tenere i lavoranti agricoli attaccati alle nostre
terre, perciò bisogna ottenere ad essi un lavoro campestre che rimuneri le loro
fatiche e che dia ad essi modo di bastare alle proprie famiglie (sembrano
parole di oggi) Non più terre incolte e ciò basterà ad arrestare il movimento
della nostra emigrazione. Non più terreni in cui regnano sovrane la febbre e la
malaria; la forza e la ricchezza d’Italia saranno centuplicate. Egli diede
nobile esempio con l’aratro sui campi vicini a Roma. Per Velletri, Menotti
Garibaldi, molto si adoperò, realizzando un vasto programma di opere.
1880 ottenne il pareggiamento del Liceo Comunale 1881 con rapidità straordinaria, tenuto conto delle lentezze abituali, ottenne il circolo straordinario di Assise
1891, mercé le insistenti premure iniziate dal Generale, fin dal 1880 si istituì la Cantina Sperimentale alla quale si aggiunse il vigneto modello. Spiegò vivo interessamento per far restituire a Velletri la sede del Reggimento. Basti dire, che egli domandò perfino udienza al Re Umberto, da prode soldato quale era.
Il 6 Novembre 1892, Menotti Garibaldi, era eletto
ancora deputato di Velletri. Il 13 dello stesso mese, avvenne la proclamazione
tra indescrivibili manifestazioni di entusiasmo lampeggiar di torce, musiche e
bandiere. In Piazza Mazzini, il Sindaco Alfonsi, ed altre personalità, si
unirono alla dimostrazione di giubilo ed entusiasmo patriottico. Il 22 Gennaio
1893, Velletri visse una giornata radiosa, ardente di fede garibaldina, per il
conferimento della cittadinanza onoraria a Menotti Garibaldi le accoglienze
furono trionfali.
Arrivò il Generale con il treno delle 7.32, ed erano
alla stazione il Sottoprefetto, il Sindaco, Il Capitano dei Carabinieri ed
altre autorità cittadine, nonché i Sindaci di Albano, Bassiano, Cisterna,
Gavignano, Gorga, Labico, Marino, Rocca di Papa, Segni, Sermoneta, Sezze,
Valmontone. Alle 11.00 il deputato di Velletri entrò nell’aula consiliare.
Erano assenti solo quattro consiglieri perché malati.
Nell’attigua sala delle Lapidi, gremitissima di
popolo, il pubblico si unì agli applausi provenienti dalla sala del consiglio.
Menotti Garibaldi, disse che fin dai suoi anni giovanili aveva appreso dal
genitore il nome di Velletri e che attratto ad essa da quella simpatia
speciale, similmente a suo padre, aveva cominciato ad amarla né più di amarla cesserà.
Disse che l’onore resogli era troppo e che Egli non aveva altro merito, se un grande
amore per Velletri. Alla fine del discorso, Menotti Garibaldi baciò il Sindaco Alfonsi.
La seduta di sciolse, scrive il giornale del tempo, e le signore presenti in
gran numero, vollero stringere la mano al nuovo concittadino. Ebbe luogo un
banchetto e alle 19, una imponente fiaccolata. A sera assistette ad una serata
di gala al teatro comunale.
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Il Generale Menotti Garibaldi |
Il generale prese posto, nel palco della Prefettura
alla destra del Sindaco. Il Generale pernottò in casa del Sindaco. Il lunedì
dopo una colazione offerta dal Principe Ginnetti; fu accompagnato dalla musica
e da tutte le associazioni fino alla stazione ferroviaria, da dove partì per
Roma alle ore 13.50.
La pergamena opera dell’avvocato Giovanni Censi recava
le seguenti parole dettate dal Sindaco Alfonsi:
“Velletri, libero Comune, con la cittadinanza
conferiva ai benemeriti la partecipazione al viver libero, ai di8ritti ai
doveri ai pubblici uffici. Abolite le autonomie comunali, l’unità d’Italia
costituita, l’antico onore civile trae vita dai ricordi e dall’affetto
riconoscente. Il Consiglio Comunale ai 13 novembre 1892, ricordando che a
Giuseppe Garibaldi fu decretata la cittadinanza unanime, Menotti Garibaldi,
campione della libertà, e fratellanza de la Nazione, deputato del Collegio, per
17 anni, benemerente del Comune, acclamò cittadino onorario di Velletri, e
volle all’atto si conservasse in questa pergamena la memoria”
Sul primo ingresso del Palazzo Comunale si leggeva:
“Velletri, libera madre di prodi, al suo degno
Cittadino salute”
E sull’altro
“Forte in guerra, operoso in pace, come i padri del Lazio, generoso Menotti Garibaldi, Tu sei modello di virtude antica”
Dopo dieci anni, il grande bonificatore dell’Agro romano, il grande cittadino veliterno, l’instancabile deputato di Velletri, che aveva tanto amato come il padre la eroica nostra città, si spense tra il dolore dell’Italia tutta. Velletri pianse lacrime di dolore immenso e inconsolabile.
Il 21 Ottobre del 1901, arrivò in treno da Roma, accolto
dal Sindaco Mario Barbetta un gruppo di personalità che accompagnavano
l’artista Juana Romani, divenuta famosa in Francia di ritorno nella sua città
natale. Una visita scaturita dal soggiorno della Romani in Italia per
partecipare all’Esposizione Internazionale in programma nella capitale.
Quelle che scesero quel giorno al nodo ferroviario
veliterno erano personalità destinate a scrivere la storia italiana. C’era
Carlo Alberto Salustri, che la storia conoscerà come Trilussa, lo scultore
Ernesto Biondi e il pittore Ferdinand Roybet, il gruppo visitò la giovane Regia
Scuola Serale di Disegno Applicato alle Arti e Mestieri diretta nella storica
sede di Via Luigi Novelli dal Prof. Edgardo Zauli Sajani. La pittrice rimasta
colpita dalle potenzialità che la nuova istituzione poteva avere per i giovani
apprendisti veliterni volle donare una redita di 5.000 lire perché si premiasse
l’allievo meritevole.
Visitarono anche un altro fiore all’occhiello della Velletri dell’epoca la Regia Cantina Sperimentale Regio Vivaio di Viti Americane dove il Trilussa recitò alcune sue poesie.
Tra il 1904 e il 1905, arriva alla stazione, una
compagnia di attori, proveniente da Roma, il cui capocomico era un’appena
ventenne Ettore Petrolini. Partirono da Roma, con appena i soldi per pagarsi il
biglietto, avevano fame e dovevano andare a fare uno spettacolo alla Trattoria
Rondoni (odierna pizzeria ‘O Velletrano). Il proprietario che era un impresario
teatrale li aspettava per
la mattina del debutto, ma loro mossi dalla fame
partirono prima. Una volta arrivati alla stazione andarono subito da chi li aveva
22 ogni tanto 22 ma questi li trattò freddamente dicendo che avrebbero fatto in
tempo ad arrivare anche la mattina seguente. Loro pur di mangiare dissero che
era urgente provare lo spettacolo del debutto e fare una colossale reclame.
Ma lasciamo che sia lo stesso Petrolini a raccontare stralciando dalla sua autobiografia: “Facezie autobiografiche e memorie” Conobbi un certo Rapisardi – un siciliano – che possedeva un’amante la sua duettista. O! Se avessi potuto avere anch’io una duettista. Mi sarei contentato della duettista soltanto, e avrei rinunciato al resto! Col Rapisardi ci mettemmo in cerca di qualche altra artista: trovammo una certa Loletta che pareva un pegno di una lira; altre due canzonettiste, la Landi e la Guardia; Carlo Longo ed altri due comici scalcinati, ed intonatissimi con le mie idee e quelle del Rapisardi; Amedeo Leprini trasformista, ed un altro comicarolo soprannominato Beatolui.
Però mancavano il teatro, i soldi, l’impresario e la
piazza. Carlino Longo ci disse che a Roma si trovava un certo Rondoni,
proprietario di una trattoria a Velletri, la quale trattoria era attigua ad un
grande giardino con discreto palcoscenico. Eravamo ai primi di Maggio e
pensammo subito di fare una stagione estiva a Velletri. Ma bisognava trovare
Rondoni. In questo ci aiutò Carlina che conosceva i luoghi frequentati dal Rondoni;
e, infatti riuscimmo a scovare il nostro uomo in una locanda di piazza Montara.
Il Rondoni – come era solito fare trattando i comici – ci ricevette con diffidenza.
Ma noi, risoluti a concludere, adoperammo tutte le arti per convincerlo, magnificandogli
la bontà degli elementi della compagnia, la novità dello spettacolo, l’eleganza
più favolosa, il repertorio esclusivo; la sfarzosa messa in scena e simili
buatte
Il Rondoni si difese dal nostro assalto, adducendo
delle scuse: che il Teatro non era in ordine, che il pubblico di Velletri era
troppo esigente, che la stagione era immatura … Ci prospettò anche un ostacolo,
secondo lui insormontabile: la mancanza sulla piazza, di un mastro e di un
pianoforte. La nostra risposta fu che di maestri ne avevamo una mezza dozzina a
nostra disposizione e che, quanto al pianoforte, lo avremmo portato noi da Roma.
Messo con le spalle al muro, il Rondoni finì per concludere: - Sentite, io vi concedo
il teatro e la sola luce. Voialtri, penserete al resto. Metteremo la
consumazione obbligatoria a cinquanta centesimi, dei quali trenta per me e
venti per voi. Noi insistemmo perché la nostra quota di utile fosse portata
almeno a venticinque centesimi per consumazione; ma Rondoni fu irremovibile.
Anzi aggiunse: - “Sapete che ve dico? .. Che si ce
venete me facete un piacere e si nun ce venete me ne facete due. Fummo costretti
a subire le pretese fissando il debutto per il prossimo Sabato. Era Mercoledì.
L’indomani mattina, alla riunione della Compagnia al
Caffè dell’Esquilino, mancava il maestro. Costernazione generale. Ma Carlino
Longo, rassicurò, promettendo di portarci ad ogni costo – una maestra di sua
conoscenza: Enrichetta Trubbiuani. Altra difficoltà: il pianoforte; per il
quale il noleggiatore pretendeva il nolo anticipato e una garanzia. Prendemmo
la decisione di partire senza, riservandoci appena giunti, di recarci ad intenerire
il presidente del Circolo locale. Rapisardi il mio socio, tenne questo discorso
alla Compagnia:
“ Signori! Rondoni, il grande impresario di Velletri, non appena ha sentito il nome mio e quello di Petrolini, si è messo a nostra disposizione! Debutto sabato, niente anticipo, viaggio per conto nostro: perciò niente bauli. In mancanza della quarta classe, andremo tutti in terza. Condizioni: tutti in società, paga a carature, parti uguali; solo io percepirò due carati di più come direttore e perché vi fornisco lo scenario.”
Rapisardi era proprietario di due scene: un giardinetto e una camera. La camera era fatta con la carta da parati. Il giardino sembrava una carta moschicida con le relative vittime .Il viaggio da Roma a Velletri in terza classe, costava meno di due lire. Ciascun artista lo avrebbe pagato di tasca propria. Fu così che il Venerdì, alle cinque pomerdiane, partimmo tutti per Velletri, compresa la maestra Trubbiani, che ci fece palpitare fino al momento della partenza. Arrivò trafelata e grondante pochi minuti prima che il treno si muovesse, seguita da Carlino Longo che fece le presentazioni. Dio che allegria! Che fame! In treno pensavamo tutti la stessa cosa: trattoria Rondoni.
Appena arrivati alla sospirata Velletri, piombammo subito dal Rondoni che ci accolse molto freddamente, e ci disse che avremmo fatto in tempo ad arrivare anche il Sabato mattina. Al che noi rispondemmo che urgeva provare lo spettacolo di debutto e provvedere ad una colossale reclame. E così con la faccia tosta delle grandi occasioni, ordinammo da mangiare. Eravamo otto ed avevamo fame per cinquanta. La moglie del Rondoni una velletrana simpaticona, ci guardava con evidente compassione, ed 26 ogni tanto smicciva il marito, come per dirgli: “che hai fatto? ”Io sfoderai subito un paio di battute comiche che, fortunatamente ruppero un po’ il gelo, Rapisardi magnificò la bellezza della città e l’ospitalità dei velletrani, facendo lieti pronostici per la inaugurazione del giardino – teatro. Una turba di curiosi ci guardava al di fuori della trattoria.
Un ragazzino, più mascalzone e più intelligente, gridò – “rondò daje da magnà”! Fortunatamente Rondoni come se obbedisse al ragazzino – ci fece servire. Mangiammo anche bene … e come! Venne il conto: 22 lire! Fu stabilito che la somma sarebbe stata pagata coi soldi che avremmo incassati la sera del debutto. Adesso veniva il più difficile: il pianoforte e gli alloggi per tutti noi. Camere disponibili e a buon mercato ce n’erano tante; ma era difficile farsi ospitare, per noi che eravamo gente di teatro. Ma il Rondoni e quale improvvisato simpatizzante ci aiutarono, garantendo la nostra moralità. Io fui più fortunato: con sessanta centesimi il giorno ottenni una splendida casa, in una località distante dal paese: camera da letto, stanza da pranzo, cucina, loggia. Insomma: tutto un intero appartamento a mia disposizione. La padrona di casa: abitava al piano di sopra. Entrata libera, mobili modesti, pulizia esagerata. Feci il giro della casa. In cucina c’era una madia che aprii con curiosità: pasta, farina, pane, zucchero e caffè.
Non potevo persuadermi di tanta fiducia … Mi affacciai alla finestra e osservai il tempo (in quell’epoca ero anche astronomo!): perché il nostro debutto dipendeva dal tempo che avrebbe fatto il giorno seguente; essendo come ho detto, il teatro in giardino all’aria aperta. Pensai alla mancanza di pianoforte, alla sfiducia di Rondoni, al pagamento del fitto di casa … Fu un leggero passaggio di malumore. Mi voltai, vidi l’altissimo e gonfio letto – come si usa nei paesi – come si usa nei paesi – e fui preso subito dal desiderio di buttarmici sopra: se non altro per ridurre quella gonfiezza. Sul letto mi muovevo per sentire quella specie di tinticarello nelle orecchie provocato dal fruscio delle foglie di granoturco di cui era pieno il saccone pressato dal mio corpo: ogni movimento, una musichetta nuova. Rimasi un poco perfettamente immobile, per gustarmi il silenzio. Cominciai a fantasticare assaporando la mia vita di artista guitto; così povera di tutto e così ricca di sensazioni e di sogni.
Stavo per addormentarmi felice e contento di quella solitudine, quando udii un fischio, il fischio degli artisti, che suona così: miseeeria! Era Rapisardi. Venne su, in camera, entusiasmato. Aveva trovato il pianoforte; tutto andava a ruota libera; nel paese, si mostravano contenti di avere un po’ di teatro; aveva parlato con tutte le personalità … Successo! Quattrini! Applausi! Tutto bene! Peccato, mancasse la rèclame. A Velletri, in quel tempo, non esisteva una tipografia. Avremmo dovuto pensarci a Roma. Ma a Roma ahimè!, per noi non esistevano li quattrini – Non importa mi disse Rapisardi – faremo i manifesti a mano. Tu li sai fare? Ne occorrono almeno due: uno in piazza e l’altro all’ingresso del teatro. Erano le dieci e mezzo. Rondoni aveva chiuso la trattoria. E, di certo, sarebbe stato imprudente disturbarlo … Trovato! In casa, come ho detto, vi era la farina: sarebbe servita la colla. Con cartaccia di giornali bruciata si sarebbe potuto fare del nerofumo … mezzora dopo, sulla piazza principale di Velletri si poteva leggere il manifesto.
La mattina dopo fui svegliato dagli urli bestiali di Rondoni che sbraitava: “Stamattina sono stato chiamato dal brigadiere dei carabinieri per causa di questi maledetti commedianti … Che razza di compagnia di malviventi è questa? Che gente siete? Maledetto quel giorno che vi ho dato ascolto! Non metterete più piede nel mio locale! Vergognatevi! Io ascoltavo, trasecolato quell’emergumeno. Che cosa era successo?. La padrona di casa era stata a spiarci per tutta la notte e nel lavoro che feci con Rapisardi per i manifesti intravide e fantasticò chissà quale reato: furto, incendio, congiura, spiritismo e tutto ciò che può immaginare una paesana ignorante e malintenzionata nei confronti dei comici. All’alba, s’era precipitata dal brigadiere dei carabinieri per confidargli le sue paure. Alfine non intesi più urlare Rondoni, ma me lo vidi davanti al letto insieme col brigadiere, il quale con un sorriso ironico e di commiserazione mi disse: “vediamo di farla finita adesso. Qui non siamo a Roma, caro il mio Petrolini …
Qui bisogna rigar dritto se no vi faccio filare io! Di certo il brigadiere aveva capito l’equivoco, ma non volle riconoscerlo. E la peggiore offesa fu quella di chiamarmi Petrolino. Lo storpiamento del mio nome è una cosa che non ho mai potuto tollerare. La sera del debutto venne il diluvio universale: vento pioggia tuoni. A questo si aggiunsero le sghignazzate dei ragazzini arrampicati sul un tavolato presso l’entrata del teatro; le ire del Rapisardi contro il trasformista Leprini che si era permesso di bucargli una scena per farvi una spartizione; i lamenti della maestra alla quale il vento portava via i fogli sopra il leggio del pianoforte. Tutto andava a rotta di collo! Rondoni arrivò al punto di negare un caffè alla moglie del Rapisardi. Rapisardi accusava Leprini di portare scarogna, e Carlino Longo urlava: “Dove mi avete portato? E pensava alla responsabilità che si era assunto conducendo seco una maestra che aveva dato dei saggi all’Accademia di Santa Cecilia …
In conclusione una vera bolgia. Solo io rimanevo con l’animo
tranquillo. Chissà perche? Il pubblico intervenuto allo spettacolo una
quarantina di persone, alcune con l’ombrello aperto, altre rifugiate sotto una
specie di capannone era in attesa. Fortunatamente la pioggia accennava a
diminuire. La maestra per trattenere il pubblico, eseguiva dei pezzi al piano
nella speranza di attirare qualche nuovo spettatore. Chi protestava più clamorosamente
erano i ragazzi arrampicati sul tavolato. Il pubblico restava tranquillo, musone
pareva imbalsamato. La pioggia cessò e ciò valse a vincere un poco quella musoneria
diffidente. Io non vedevo l’ora di eseguire il mio nuovo numero.
Lo spettacolo cominciò tra un successo di sberleffi e
una gioia paesana. Il successo venne decretato dai soliti ragazzini che il
Rondoni non voleva restassero sul tavolato, ma poi fu costretto a far entrare
gratis ottenendo così due scopi: eliminazione del chiasso e maggior pubblico in
platea. Venne l’ora del mio numero. Esegui il bell’Arturo.
Alla fine della macchietta urla selvagge dei ragazzi e
qualche picchiettio di bastoni sulle tavole e qualche applauso. Notai che la
moglie del Rondoni era andata a sedere in platea per vedere la seconda
macchietta il brigadiere, da lontano mi sorrise e lo stesso Rondoni venne in
palcoscenico e mi disse “Bravo arifalla”(…)
Continuiamo il nostro viaggio, nella storia della stazione di Velletri, siamo come si è potuto ben capire agli inizi del XX secolo, che tra qualche anno porterà in Italia venti di guerra infatti nel 1915 l’Italia dopo una lunga disputa tra neutralisti ed interventisti entra nella prima guerra mondiale che diventerà la “quarta guerra d’indipendenza” quella che ha portato a compimento il processo unitario della nazione.
Molti furono i giovani veliterni che chiamati alle armi, partirono dal nostro nodo ferroviario, diretti a Roma per poi con la famosa “tradotta” essere condotti al fronte. Molti non tornarono scrivendo con la loro testimonianza pagine eroiche del grande libro della storia del secondo risorgimento italiano. Fu il canonico Attilio Gabrielli attento storico di Velletri a raccogliere in un libro “Gioventù veliterna in olocausto alla madre patria” i loro ricordi mentre i loro nomi sono oggi incisi sul grande lastrone del monumento realizzato dall’Architetto Emanuele Caniggia in Piazza Garibaldi.
Benché lontana dal teatro delle operazioni di guerra scriveva il compianto Guido Di Vito sul Cittadino (giornale di Velletri) la città ne visse intensamente l’atmosfera e ne toccò le piaghe soprattutto per il continuo arrivo di feriti. L’ospedale organizzato nei locali della scuola normale e in quelli del convitto comunale è in continua attività. Con l’arrivo dei feriti giungono purtroppo dal fronte le prime funeste notizie, tante famiglie veliterne cominciano a piangere i loro figli. Da allora in poi tanto fu l’ingrato lavoro del comandante della stazione dei carabinieri e dei parroci cittadini di volta in volta incaricati di portare ai congiunti le ferali notizie e tante furono le famiglie di Velletri colpite dal lutto.
Nel 1922, alcune delle salme degli eroi della Grande Guerra fecero ritorno in città per essere tumulate nel nostro cimitero monumentale dove ancora si trovano alcune nella Chiesetta ed altre nelle tombe delle loro famiglie. Tra questi vogliamo ricordare il caporale Guido Nati eroe decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare. Sul suo corpo venne trovata una poesia diretta al padre che riportiamo:
Il 2 Giugno del 1927, sarà il Generale Stanislao Mammucari pluridecorato della grande guerra, che in quel momento ricopriva la carica di Podestà di Velletri, ad accogliere alla stazione il Re Vittorio Emanuele III che veniva in visita a Velletri. L’invito era per presenziare all’inaugurazione del monumento ai caduti di Piazza Garibaldi opera dell’Architetto Emanuele Caniggia. Terminata la parte ufficiale del programma della visita il Re venne accompagnato alla Regia Cantina Sperimentale dove accolto dal direttore dell’epoca poté capire l’importanza dell’istituzione fondata da Menotti Garibaldi.
Ma ancora una volta in Italia si apprestavano a
soffiare venti di guerra. L’Italia di Benito Mussolini il 10 Giugno 1940 entra
nella seconda guerra mondiale. Capostazione a Velletri era Giulio Capobianco che
viveva negli alloggi al primo piano del corpo centrale con la moglie Maria e le
figlie Valeria – Liana e Bianca. Tre bellissime ragazze che saranno segnate
dalla tragicità della guerra. Valeria era spostata con Angelo Barzon un
ufficiale dei Granatieri che l’aveva fatta tornare in Italia con i loro figli
Gianpaolo e Rodolfo molto piccoli perché in Africa dove era di stanza la situazione
si apprestava a volgere al peggio, Liana e Bianca erano nel fiore della gioventù
la prima Liana aveva 23 anni e la seconda Bianca appena adolescente.
Giulio usava tutti i giorni all’una salire a casa per
ascoltare il bollettino di guerra, una abitudine però che nel 1941 sconvolse la
vita di Valeria. Eravamo nel mese di Marzo del 1941 quando dalla Radio si
apprese la notizia che era caduto in battaglia a Cherem il generale Orlando
Lorenzini, la giovane sposa capì subito che anche il suo Angelo era morto, infatti
poco dopo arrivò il funzionario del ministero della guerra a darle la ferale
notizia. Sconvolta quando anche Velletri iniziò a conoscere la nuda e cruda
realtà delle bombe, prese i figli e andò a nord a Padova dalla famiglia del
marito, al quale è stata concessa la medaglia d’oro al valor militare alla
memoria. A Velletri con Giulio e Maria restano ad abitare alla stazione solo
Liana e Bianca. Liana era fidanzata con un soldato che nel frattempo viene
tratto prigioniero in Germania, i cui genitori avevano una proprietà poco dopo
il ponticello della stazione dove oggi si trova la rotonda di Via Eduardo De Filippo.
Il 7 Gennaio 1944, il complesso ferroviario è sottoposto a un violento mitragliamento da parte dell’aviazione alleata a copertura delle operazioni di preparazione dello sbarco di Anzio che sarebbe avvenuto di lì a poco. I segni di quella terribile mattinata di fuoco sono ancora ben visibile sulle colonnine di ghisa della veranda prospiciente il primo binario.
Dal diario
di Padre Italo Laracca leggiamo: Venerdì 7 gennaio 1°
venerdì del mese.
Nella nostra Chiesa di S. Martino è esposto il SS.
Sacramento. Questa mattina, fino alle ore 11, discreto concorso di popolo anche
per le vie della città. Alle ore 11.10 un fuggi fuggi di giovani inseguiti dal
maresciallo di P.S, che si rifugiano in grotta per non essere rastrellati. Il maresciallo
vorrebbe entrare ma ad un mio cenno se ne ritorna. Alle ore 13.40 sono passati
gli aerei ed hanno mitragliato. Alle ore 14,10 in chiesa aperta per l’esposizione
del Santissimo siamo in pochi: Padre Cerbara, le signorine Marcella
Pietromarchi, Giuseppina Spelta, Giulia Di Mario ed io. L'urlo
straziante della sirena ci scuote e spaventa, si sente bombardare.
La signorina Pietromarchi si avvicina ad un angolo
della Chiesa presso l’altare della Madonna di Loreto. Ripongo subito il
Santissimo. La luce è stata tolta. Moltissimi entrano in Chiesa e si dirigono
in grotta. Grida, preghiere. lacrime, voci sconvolte. La città si fa deserta in
un attimo. Senza porre indugio corro in aiuto.
Gli aerei si sono allontanati. Vado a piazza Mazzini e
via Furio. Vedo fumo nero verso la stazione ferroviaria e mi dirigo verso
quella parte. A piazza Umberto incontro S. E. mons. Rotolo, mons. Ettore Moresi
e mons. Dettori e indico la stazione colpita. Ci muoviamo tutti; viene anche in
macchina il tenente Molisena, il brigadiere Scifoni, i pompieri e molti volenterosi.
Mons. Dettori torna in Cattedrale e prende l’Olio Santo. Mons. Moresi alla
stazione si inoltra al di là dei binari, S. E. Rotolo ed io siamo presso il
magazzino-deposito distrutto dalle bombe: nessuna vittima. 94 Mentre costatiamo
i danni materiali, una seconda ondata proveniente dal alla meglio a ridosso
della osteria di Fidalma; a cinquanta metri dalla stazione.
Siamo una decina di persone.
Gli aerei sganciano bombe e mitragliano furiosamente
la stazione e l’Appia. Le pallottole ci fischiano d’intorno. Crediamo di
morire: «Gesù mio misericordia» ripetiamo tutti. Con S. E. Rotolo ci teniamo
fortemente per le mani; mi dice «Padre lei è tutto bianco in viso». «Sì,
Eccellenza» rispondo «sono del suo stesso colore!». La stazione, vigna
Vagnozzi, il giardino pubblico, via di Circonvallazione, l’Appia, viale Regina
Margherita, sono ripetutamente colpite. Gli arei si sono allontanati. Noi siamo
salvi per miracolo. Ci avviciniamo ai luoghi colpiti. Questa seconda ondata ha
sorpreso molti che erano venuti per soccorrere e perciò vi sono delle vittime. una
delle colonne colpite.
La signora Maddalena Mei e la cognata Genoveffa escono
salve dalla bottega di Chiominto Ada, dove erano andate a comprare il pane.
Lascio S. E. e mi dirigo verso viale Regina Margherita dove vedo una colonna di
fumo: presso il villino Daniele c’è gente: mi dicono che il dottor Pana venuto
in soccorso è salvo miracolosamente, e che già ha trasportato alcuni all’ ospedale.
Il villino Daniele sembra solo scheggiato. Sto per allontanarmi quando sento
dei lamenti: sulla finestra del pianterreno del villino il professor
Grandinetti chiede aiuto: accorro, è gravemente ferito, invoco soccorso.
Adagiamo il professore su un camion e lo si trasporta
all’ospedale.
Per terra nella stessa stanza c’è il suocero di
Grandinetti col capo troncato e la vecchia mamma in un angolo impietrita dal
dolore. Assicuratomi che tutti i colpiti sono stati trasportati, vado all’ospedale.
È pieno; anche i corridoi sono occupati dai lettini. Tra i tanti c’è la
signorina Capobianco figlia del capostazione, ferita presso il palazzo dei
ferrovieri, la signora Fiocco, sorella di Peppino e Genesio Rondoni, la signora
Angela Pomponi maritata Foggia, ferita sulle scale di via S. Martino, il
pompiere Salvatore Rondoni molto grave, il brigadiere Basilio Scifoni e tanti
altri. Mi trattengo fino a tardi per aiutare, soccorrere e confortare tutti,
tra la disperazione dei parenti e i lamenti di chi soffre.
Il professor Grandinetti che sembra stare meglio mi
raccomanda se possibile di dare notizie alla moglie che si trova al di là del
fronte, in territorio occupato. Prima di uscire assisto alcuni che muoiono, tra
i quali la signorina Capobianco. Incontro Cerri Francesco e lo prego di
trasportare a Roma la vedova Grandinetti. Ritorno in parrocchia stanco e
triste. Tra i morti ci sono pure Blasi Elvira in Maferri, Maferri Ottavio, e il
bambino Moschi Rolando colpito da mitragliamento. Il ragazzo Luciano Lenzini è
salvo per miracolo. Una bomba è caduta anche nella vigna di Pompili Guglielmo
presso la stazione e Settimio Mammucari a cui la bomba è esplosa a venti metri
è salvo. Anche Giuliani Natale si è prodigato nel soccorrere i feriti."
Come racconta Padre Laracca, tra le vittime anche la figlia del capostazione, dopo la prima ondata Liana e Bianca, uscirono dalla stazione perché Liana voleva andare a vedere se i genitori del suo fidanzato erano salvi e percorsa la poca strada fino al ponticello vennero colte dalla seconda ondata si buttarono a terra, ma un caccia mitragliando a bassa quota colpì Liana alla nuca. Passato il pericolo Bianca capito che la sorella era ferita sconvolta dal dolore prese a correre verso la stazione intanto Liana veniva portata all’ospedale di Piazza Garibaldi dove morirà subito dopo.
La famiglia del fidanzato chiese di poterla tumulare nella tomba di famiglia perché non avendola potuta avere da viva la vollero da morta. Lui non seppe nulla della morte di Liana credeva che si fosse rifatta una vita credendolo morto. L’unica che sapeva era Valeria con la quale aveva contatti epistolari che non gli disse mai nulla. Tornato seppe tutto. E’ rimasto legato a Liana fino alla fine dei suoi giorni conservato una foto della sua bella nel cassetto della scrivania. Aveva avuto ragione Valeria, ha scappare a Padova per salvare i figli. Il mitragliamento della stazione è stato solo l’inizio, la mattina del 22 Gennaio 1944, l’aviazione alleata sottoponeva Velletri ad un bombardamento destinato a durare per una mattinata che ha cancellato secoli di storia e di architettura riducendo quello che venne considerato tra i cento centri storici più belli d’Italia ad un cumolo informe di macerie, seminando ovunque lutti e rovine.
Durante i dieci lunghi mesi in cui Velletri fu prima linea essendo strategicamente uno dei punti nevralgici lungo il cammino verso la liberazione di Roma. La stazione non venne risparmiata e fino al 2 Giugno 1944 data della liberazione di Velletri venne ripetutamente colpita. Per far saltare il ponte di ferro venne espressamente mandato a Velletri un sergente alto atesino Karl Phieffar , ma una volta arrivato sul posto e visto che sotto il ponte c’erano numerosi sfollati telefonò al comando dicendo che Velletri era evaquata e non era necessario eseguire l’operazione. Al comando presero per buona questa comunicazione e il ponte fu salvo. Il sergente rimase a Velletri e collaborò con i pochi sacerdoti rimasti passandogli preziose informazioni che permisero di salvare molte vite. La notte mandava i suoi militari a gettare viveri al di là delle mura di cinta di Vigna Berardi per essere poi distribuiti ai tanti rifugiati nelle grotte della vasta campagna veliterna.
Nonostante tutto, il ponte uscì seriamente danneggiato
tanto da essere necessaria la sua completa ricostruzione. Opera che precedette
la riattivazione della circolazione ferroviaria che fu tra le principali
priorità del governo alleato e soprattutto della prima amministrazione comunale
del dopoguerra con a capo Clelio Bianchi nominato dagli alleati commissario
governativo.
Dobbiamo arrivare agli anni cinquanta del XX secolo, per assistere al primo sostanziale declassamento del nodo ferroviario di Velletri. Infatti viene decisa la sospensione del servizio ferroviario e poi la soppressione delle tratte Roma – Colleferro – Segni – Paliano e della Velletri Sezze Terracina. Fortemente volute alla fine del XIX secolo da Papa Pio IX e dal deputato Menotti Garibaldi. Così la stazione di Velletri resta la sola stazione di testa della Roma Velletri. E’ giusto ripercorrere la storia di queste tratte per completare il discorso sulla vicenda di una struttura che è per la città di Velletri il cuore pulsante della sua viabilità.
Riportiamo l’interessante articolo scritto da Don
Teodoro Beccia, sul sito “ Il mondo dei Treni” dove è ripercorsa con dovizia di
particolare la storia di cui parlavamo prima:
Nel mese di Agosto del 1903 Gabriele D’Annunzio
dalla sua residenza ad Anzio si portò a cavallo fino alla stazione di Cecchina dove
attese l’arrivo da Roma del corteo funebre che con il feretro del Generale
Menotti Garibaldi figlio primogenito di Giuseppe e Anita si dirigeva alla
Tenuta di Carano ai bordi dell’argo pontino per la sepoltura del grande italiano.
Menotti Garibaldi dopo aver smesso la camicia rossa e indossati i panni del
coltivatore e del deputato si dedicò anima e corpo ai suoi possedimenti. Era
l’unico che distribuiva il chinino ai suoi coloni intraprendendo una nuova battaglia
quella contro la malaria che era la maggiore causa di morte nell’agro in quegli
anni.
Solo che quando contrasse lui la
malaria non era possibile comprare il chino per curarlo tanto che morì il 22
Agosto del 1903. Arrivati a Carano D’Annunzio aiutò a porre la bara di Menotti
nel sarcofago al centro del mausoleo dove ancora si trova e pronunciò l’orazione
funebre prima di lasciare la tenuta a cavallo.
«Non convengono molte parole a questo
eroe che tra le sue virtù ebbe il culto del silenzio vigile e della brevità
possente. Anche nell’Assemblea Nazionale, dinanzi alla facondia dei mestatori,
egli stette sempre come una mole di volontà raccolta, troppo in discordia con
la viltà dei tempi.
Ora, più che un discorso verboso, deve
essere cara ai suoi mani una fronda di quercia robusta. E noi l’abbiamo portata
con animo religioso venendo per la grande campagna che egli volle fecondare col
sudore dell’opera per renderle ancora la parente alma delle biade, dopo che
tanto sangue garibaldino, l’aveva fecondata per la messe ideale. Qui gli
piacque essere sepolto sul campo di battaglia da bravo guerriero; qui rimanga
il primogenito di Giuseppe Garibaldi. Egli non è lontano da suo padre; poi che
se le ossa venerande sono custodite dal granito insulare, l’eterno spirito è
sempre vivo sul vento che soffia dal Tirreno su questo Lazio divino e
terribilmente di febbre e di fati.
Un giorno, quando la patria sentirà
più vibrante la dignità e la bellezza della memoria, un giorno da Roma a Carano
sarà aperta una delle vie sacre su cui il popolo rinnovellato celebrerà i
trionfi delle virtù esemplari. Innanzi alla tomba del primogenito di Garibaldi,
ogni cuore italiano - nella presente miseria nostra - fa voti che quel giorno
non sia troppo lontano.»
Il deputato Menotti Garibaldi, ebbe un
ruolo fondamentale nella realizzazione della Velletri – Terracina, il secondo
prolungamento che venne inaugurato nel 1892 nel pieno della sua attività di parlamentare
nella quale ebbe sempre come prioritaria la crescita e lo sviluppo della sua
amata Velletri.
Dal portale storico della Camera dei
Deputati, abbiamo ritrovato l’intera discussione parlamentare che portò alla
costruzione della linea, volentieri l’ha riportiamo a completamento del nostro
discorso:
PRESIDENTE: Ora sulle
delle linee staccate Velletri Terracina e Sparanise - Gaeta ha facoltà di
parlare L’onorevole Menotti Garibaldi.
GARIBALDI MENOTTI:
Associandomi pienamente alla prima parte della proposta dell’onorevole Buonomo
non posso sottoscrivere però alla seconda. La campana di allarme che l’onorevole
Buonomo ha suonato parlando della congiunzione Roma- Napoli, ini pare che non
possa far dimenticare gli interessi dei paesi che verrebbero ad essere
attraversati da questa linea. La seconda parte dell’emendamento dell’onorevole Buonomo,
che sembra semplicissima, recherebbe un danno immenso ai comuni del collegio
che io rappresento. Io debbo domandare perdono alla Camera se vengo a parlare d’interessi
locali ; ma mi sembra che, trattandosi di una legge di tanta importanza, in cui
gli interessi generali e locali devono armonizzare fra loro, mi sembra, dico,
che come deputato di Velletri, sia mio dovere di sostenere gli interessi dei
comuni di quel collegio.
La linea Velletri - Terracina messa in
quinta categoria, e poco ben trattata dall’onorevole ministro che presentò per
la prima volta questo disegno di legge ebbe migliore accoglienza dalla
Commissione, che, accogliendo i giusti reclami di quelle popolazioni la
trasportò in quarta categoria, e poi per una combinazione fortunata, fu portata
in terza con lo accordo tra il Ministero e la Commissione. Ora questa linea,
che serve gli interessi di tutti quei comuni che sono sui pendìi dei monti
Lepini, verrebbe, colia proposta dell’onorevole Buonomo, ad attraversare la
pianura dell’Agro Pontino.
In questa pianura inospitale, in cui
non c’è nessun centro di popolazione, eccetto Cisterna, che si trova in un sito
di malaria, ed un altro piccolo comune, tutti gli altri paesi sono sui pendii
dei monti Lepini, e verrebbero a restare ad una lunga distanza dalla via che
viene proposta coll’emendamento dell’onorevole Buonomo.
Anche per la parte finanziaria la
linea che partisse da Civita Lavinia ed arrivasse fino a Terracina, passerebbe
per un terreno torboso, in cui sarebbero necessarie molte opere di palafitte
per mantenere le opere murarie che si dovrebbero fare. L’altra linea invece
che, allungando solamente di una diecina forse di chilometri il percorso tra
Roma e Terracina, passerebbe alle falde dei monti Lepini, dove c’è il materiale
in abbondanza. Dove non c’è quasi nessun opera d’arte da fare. Io mi associo
pienamente a quello che diceva l’onorevole San Donato per Napoli. È dovere del
Parlamento e del Governo di pensare Napoli ; credo che non bisogna abbandonare
le popolazioni ed i comuni rurali a loro stessi. Le grandi città saranno più
fiorenti, più importanti, se i comuni delle loro provincie saranno prosperi ; e
veramente tutti quei paesi della provincia di Roma i quali verranno ad essere
serviti da quella linea, diventeranno prosperi.
Se invece questa linea venisse a
passare per la pianura, questi paesi resterebbero abbandonati come lo sono
adesso. Io quindi raccomando alla Commissione ed al Ministero che vogliano
mantenere il tracciato Velletri - Terracina, come è proposto dalla Commissione.
GARIBALDI. Desidero di rivolgere una
semplice domanda all’onorevole ministro dei lavori pubblici. La linea Velletri
– Terracina, compresa nella legge delle ferrovie complementari in terza
categoria, è passata per molte vicende e dopo molti anni di studi, se ne
sperava prossima la costruzione, Il predecessore dell’attuale ministro dei
lavori pubblici aveva promesso infatti di farla eseguire a rimborso di spese;
ora io desidero sapere dall’attuale ministro dei lavori pubblici che conto
possano fare le popolazioni interessate delle promesse del suo predecessore.
Presidente. L’onorevole ministro dei lavori pubblici ha facoltà di parlare.
Saracco, ministro dei lavori pubblici. La risposta all’onorevole Garibaldi sarà
come quella, che ho avuto il dispiacere di fare all’onorevole Cucchi, perché la
linea, di cui l’onorevole Garibaldi si è occupato, è calcolata in bilancio per
6 milioni in tutto, ed il costo di un solo tronco arriva a più di 13, così che,
se il secondo tronco costerà quanto il primo, avremo una spesa complessiva di
22 milioni, contro 6 stanziati e da stanziare in bilancio.
Le cose stanno in questi termini; e,
non avendo a disposizione che una piccola somma, non posso assolutamente
prendere impegno di attendere immediatamente alla costruzione di questa
ferrovia. debbo prima di tutto domandare ai Parlamento i mezzi necessari e non
posso ne devo prendere impegni per 24 milioni (siano pure 20, o 22 all’incirca)
quando ne ho solo due o tre disponibili in bilancio. Crederei far cosa contraria
ad ogni buon principio di Governo; e voi, o signori, mi chiamereste in colpa, se
mi attentassi di impegnare le finanze dello Stato in una spesa tanto grave,
quanto quella che equivale a quasi quattro volte 11 primitivo costo dei lavori.
Ora a me piace dire, ancora una volta, che bisogna veder ben chiaro in quali
condizioni noi ci troviamo rimpetto a tutte le linee determinate dalla legge
del 1879, e prender quindi un provvedimento che soddisfi a tutte le esigenze.
(…)
GARIBALDI MENOTTI. Avendo i comuni
interessati alla costruzione della linea Velletri-Terracina ottemperato al
disposto della legge votata l’anno scorso, la quale dava loro la preferenza
nella costruzione di quella strada ferrata, debbo rivolgere all’onorevole
ministro dei lavori pubblici ed alla Commissione, la preghiera che vogliano fin
da quest’anno stanziare una somma per la costruzione di quella linea. Il ministro
dei lavori pubblici ha ricevuto la deliberazione dei comuni riuniti in consorzio,
deliberazione la quale credo sia stata mandata alia Commissione del bilancio. Con
questa deliberazione i comuni interessati offrono un maggiore contributo di due
decimi oltre quello loro assegnato. Pertanto io faccio una calda preghiera all’onorevole
ministro ed alla Commissione perchè vogliano, per un atto di giustizia,
iscrivere nel bilancio di prima previsione di quest’anno, poiché non sfamo
ancora al bilancio
definitivo, la somma di 200,000 lire,
già accordata ad alcune altre linee che hanno quasi la stessa importanza della
Velletri - Terracina. Non ho altro a dire Aperta nel 1862 la ferrovia Roma -
Velletri - Colleferro - Ceprano rimaneva la necessità di realizzare una linea
che collegasse l’entroterra alla costa onde poter realizzare un rapido
collegamento tra Roma ed i centri del Lazio Meridionale. Dopo anni di progetti,
la linea Pontina, da Velletri a Terracina via Sezze Romano viene finalmente
aperta il 27Maggio 1892 a cura della RM (Rete Mediterranea). É una linea di
montagna, che sin dalla sua apertura si dimostra ampiamente inadatta alle reali
necessità di movimento. Il suo tracciato, con pendenze fino al 29 %, infatti
lasciava scoperti numerosi centri abitati, ed anche quelli dalla ferrovia erano
posti spesso molto lontani dalle stazioni, lontani dal fondovalle malarico.
Senza dimenticare che in quegli anni, tutta la zona costiera, era scarsamente
popolata a causa della presenza di paludi.
Nonostante ciò la linea rappresenta il
primo ed importante collegamento tra Roma ed i centri del Lazio
meridionale: senza dimenticare che a Velletri, allora importante nodo ferroviario,
si incontra la linea per Colleferro - Ceprano - Napoli. La linea aveva una lunghezza
di 79 Km circa e lungo il percorso si incontravano otto stazioni (Giulianello, Roccamassima,
Cori, Cisterna, Sermoneta, Norma, Bassiano, Sezze Romano, Piperno, Sonnino e
Terracina) e due fermate (Ninfa e Frasso). Sin da subito il servizio
ferroviario venne considerato inadeguato alle reali esigenze delle popolazioni
locali e con orari giudicati alquanto scomodi, tanto che, già nel 1900 la RM
deve fare fronte ad una prima protesta dei comuni interessati i cui echi sembra
giunsero fino al Governo. Nel 1901 sempre i comuni locali si fanno promotori di
una serie di manifestazioni volte alla realizzazione di una tranvia elettrica
da Piperno (l’attuale Priverno) a Subiaco. Del progetto non se ne fece mai
nulla e la ferrovia continuò con i suoi problemi di sempre, causati
principalmente dall’eccessiva tortuosità del tracciato e da elevati tempi di percorrenza.
Ed i problemi non erano solo per i
normali viaggiatori: a farne le spese fu, nel 1904, anche la Regina Margherita,
che dovendo recarsi a Terracina fu costretta ad utilizzare un apposito treno
messo a disposizione dalla RM in quanto il treno reale non poteva circolare
sulle strette curve della linea. Il 1 Luglio1905 la gestione della linea passa
alle neonate FS, ma nulla cambia. Nel 1913 troviamo però una richiesta del
comune di Terracina di istituire un treno merci diretto per Velletri/Roma,
richiesta che provoca però subito le proteste delle altre municipalità che
temono di vedere danneggiata la loro economia.
Nel 1914 è invece il comune di
Sermoneta a lamentarsi con le FS in quanto il binario singolo non era
sufficiente a trasportare con celerità i prodotti agricoli ed il bestiame e spesso
si verificano ritardi ne trasporto. Anche il piazzale della stazione di
Sermoneta era, a loro dire, insufficiente per accogliere i carri necessari per
il trasporto. A scorrere la storia della linea sembra che, proteste e visite
dei reali a parte, non successe praticamente nulla. Ed in effetti fino agli
anni '20 la linea visse la sua sonnacchiosa vita di ferrovia
secondaria. Sfumato il progetto di dotare Terracina di un ampio porto, ed iniziata
la bonifica delle Paludi Pontine, il nuovo governo italiano (di lì a poco
sarebbe salito al potere Mussolini) iniziò a progettare una linea veloce che
collegasse Roma con Napoli con un percorso più favorevole, in pianura, via
Campoleone/Formia. Sempre in occasione della bonifica la ferrovia torna in
primo piano in quanto viene creata una fitta rete di ferrovie decauville a
servizio dei cantieri della bonifica, e tali linee avevano il loro punto d’incontro
con la rete FS proprio nella stazione di Sermoneta. Il primo tronco della nuova
linea direttissima entra in servizio il 17/02/1922 e viene raccordato alla linea
Pontina tramite un allacciamento provvisorio , denominato. Bivio Sonnino posto
al Km 86+97 .
I primi treni per Formia - Napoli
seguono così l’tinerario via Velletri - Bivio Sonnino - Formia. Fu un breve
periodo di intenso traffico per la linea, che si trovò ad essere parte del
primo collegamento diretto con Napoli, e questo fece sperare in generici provvedimenti
di potenziamento (venne addirittura ipotizzato un collegamento Terracina -
Nettuno) ma la situazione fu di breve durata. Il 28/10/1927 viene completata la
nuova direttissima per Napoli, che
comprende anche la nuova stazione di Priverno - Fossanova. Tutto il traffico
diretto a Formia e Napoli viene così deviato via Campoleone - Sezze Romano –
Priverno Fossanova. Sulla linea Pontina resta tutto il traffico locale che può
immettersi nella nuova stazione di Priverno Fossanova tramite una nuova
variante (con un’ansa molto marcata) Sonnino – Priverno Fossanova. Viene soppresso
il vecchio tracciato da Sonnino al Bivio Sonnino. A partire dal 1928 la città
di Piperno viene rinominata Piperno. E anche la stazione cambia ovviamente
nome.
A partire dagli anni '30
alcuni servizi vengono affidati alle automotrici: le famose serie ALn 56.2000 che anche su questa linea
ottennero buoni risultati e permisero di abbreviare i tempi di percorrenza. Lo
scoppio della seconda guerra mondiale, colpisce però duramente anche la
ferrovia Pontina, che viene a trovarsi, tra l’altro in piena zona di operazioni
(a seguito dello sbarco di Anzio): si riesce a mantenere attivo il servizio
fino al 1944 quando i danni di guerra ne impongono la sospensione. Nonostante
molti dubbi sull’utilità di ricostruzione i lavori di ricostruzione iniziano
rapidamente: il 31 Dicembre 1946 vengono riattivati i tronchi Velletri – Norma-
Ninfa e Sezze Romano – Priverno - Fossanova. Resta interrotto il tratto da Sezze
Romano a Norma – Ninfa che verrà riaperto solo il 4/05/1947. Completata la ricostruzione
torna il traffico prettamente locale sulla ferrovia, che inizia a mostrare i
primi segni della concorrenza da parte del nascente traffico su gomma.
Di anno in anno la ferrovia vede calare
drasticamente il traffico viaggiatori e merci, tanto che alcuni servizi vengono
addirittura svolti con le Ne 120. In pieno periodo di boom automobilistico e di
politica di primi tagli alle linee secondarie, il futuro per la linea Pontina
non è affatto roseo. L’elettrificazione della sola linea da Ciampino fino a
Velletri, errori di valutazione ed errati tentativi di migliorare l’offerta
(come la carrozza diretta Roma - Terracina via Campoleone Fossanova) diedero il
colpo di grazia alla linea, che, dopo soli 10 anni dalla sua completa
riapertura viene chiusa. I treni per Terracina, a partire dal 1/12/1957,
vengono deviati via Campoleone /Fossanova, mentre i servizi locali Velletri -
Sezze - Priverno venivano affidati ad autoservizi sostitutivi Neanche un
anno dopo, il 7/10/1958 sulla Gazzetta Ufficiale viene pubblicato il decreto
ufficiale di soppressione: in brevissimo tempo l’intera linea sarà smantellata,
con una solerzia mai vista prima. Resta così aperto all’esercizio il solo tronco
Priverno - Fossanova - Terracina il cui futuro è tutt’altro che roseo,
specialmente per il breve tratto Fossanova - Priverno, interessato da un traffico
essenzialmente locale e scarso, tanto che in breve il servizio viene ridotto a
due coppie di treni effettuati da una motrice diesel Ne 120 (la odierna D143)
inframmezzata da una carrozza a due assi BI 35.000 e da una a 3 assi BDiy
67.400 (mista passeggeri e bagagliaio).
Oltre a questo curioso servizio
passeggeri sopravvive un discreto traffico merci generato da una cava di sabbia
posta nei pressi di Sonnino che utilizza per il carico dei carri l’ex scalo
merci della (ormai ex) stazione di Sonnino. Le cose vanno leggermente
meglio nel tratto (di soli 18 Km) Fossanova - Terracina interessato da un
discreto traffico passeggeri, che rimane però affidato alle ormai anziane ALn
56.2000. Gli anni 60 vedono arrivare le affidabili ALn 668.1400 del DL di Roma
San Lorenzo che sostituiscono le ALn 56. Agli inizi degli anni '70
appare sempre più evidente l’inutilità del tratto Fossanova - Priverno,
relegato ormai ad un modestissimo servizio pendolare, tanto che i treni sono
ormai composti da una locomotiva da manovra del Gruppo 245 ed una carrozza BI
35.000. Inevitabile che da più parti si inizi ad ipotizzarne la chiusura... addirittura
c’è chi, spingendosi oltre, vorrebbe anche la chiusura anche della linea per Terracina,
ma visto l’ampio interesse locale ed il traffico discreto, se ne decide invece
il potenziamento. Ma dovranno passare ancora alcuni anni prima di vedere l’inizio
dei lavori.
Finalmente vengono intrapresi lavori
di rinnovo dell’armamento e si decide anche di elettrificare la linea, in un
primo momento fino a Priverno, poi, visto il traffico Velletri –
Colleferro all’altezza del casello di Giovanni Andreozzi e Pignataro praticamente
nullo, si decide di limitarsi ad elettrificare la sola tratta Fossanova - Terracina.
I lavori, rimandati di anno in anno si concludono finalmente il 26/09/1982, e con
l’avvenuta elettrificazione migliorano anche i servizi pendolari, con le ALn 668.1400
che cedono il posto alle ALe803. Nel frattempo cessano anche i servizi su Priverno
a causa della ormai scarsissima frequentazione, anche se la linea continua ad essere
ancora ufficialmente aperta al traffico...la sospensione ufficiale arriverà con
il famoso decreto Signorile, che non farà altro che ufficializzare una chiusura
di fatto avvenuta già anni prima. A dire il vero l'esimio Ministro
(passato alla storia solo per aver selvaggiamente chiudere Km e Km di binari)
prevedeva la chiusura dell’intera linea fino a Terracina, ma i lavori da
poco completati e le proteste degli (allora) numerosi pendolari salvarono la
linea. La linea fino a Priverno resta in vita ancora alcuni anni, esercitata in
regime di raccordo, per il traffico merci di sabbia, caricata a Sonnino, finchè
la ditta troverà molto più conveniente trasportare la sabbia direttamente
presso la stazione di Priverno - Fossanova. Scampata al rischio chiusura la
linea prosegue la sua di ferrovia secondaria, anche se la scarsa consistenza
dei centri toccati fa si che il traffico passeggeri (quello merci ormai è
scomparso da anni) sia solo ed esclusivamente dei pendolari diretti a
Terracina, anche se nella stagione estiva la linea viene interessata da un
discreto traffico di bagnanti. Alla fine degli anni '80 però, si
assiste sempre più ad una drastica riduzione delle corse, mentre le ALe 801/940
sostituiscono le ALe 803. Nel 1995, per risparmiare sui costi di gestione,
viene soppressa la Dirigenza Unica (ormai di fatto inutile), automatizzando
tutti i PL presenti in linea ed impresenziando la stazione di Terracina.
La linea viene così gestita con il
sistema a spola. Al contrario di molte altre località, che vedranno un taglio
di tutti i binari non più utili all’esercizio, la stazione di Terracina viene
lasciata così com’è, limitandosi a sopprimere il segnalamento esistente ed installando
un paraurti al termine del binario 1. Sempre nel 1995, cessati i servizi merci
su Sonnino, i primi Km della vecchia linea per Priverno diventano un immenso deposito
di carri accantonati che in breve arriveranno ben oltre la stazione di Sonnino
stessa.
Sempre in questo 1995 però le FS
decidono di sopprimere i treni nel periodo estivo, da Luglio a Settembre
sostituendoli con autocorse. Sembra il preludio ad una chiusura definitiva, ma
subito si levano decise le proteste dei pendolari, che (a ragione) temono di
non vedere più ripreso il servizio ferroviario Le vibrate proteste dei
pendolari (una volta ogni tanto) riescono ad avere effetto e le FS fanno marcia
indietro e decidono di riaprire la linea. Il 25/09/95 viene così istituita una
coppia di treni regionali (numerati 34371/34370) da Roma Tiburtina - Terracina
e vv. con fermate a Latina e Priverno - Fossanova. In seguito tale treno viene
classificato come diretto (3377/3376). Questa coppia di treni è stata composta
da diverso materiale nel corso degli anni: inizialmente si è partiti con una
composizione di E 656 o E 646 + carrozze MDVC o carrozze a piano ribassato (a
seconda della disponibilità di carrozze a Roma Smistamento); poi, a partire
dall’inverno 1996-1997 lo vediamo formato da E.646 o E.656 + carrozze MDVE del
DL Ancona; alla fine (a partire dall’inverno 1998-1999) questa coppia di treni
è formata da ALe 801/940, o a volte da E646 + carrozze MDVC .
E’ da segnalare che, nonostante non
fosse indicato in orario, già dall’estate 1996 tra Terracina e Fossanova il
pomeriggio e tra Fossanova e Terracina la mattina il treno non era più
classificato come da ma come infatti potevamo caricare senza problemi i (pochi)
passeggeri .Nel mese di gennaio del 2002, anche a causa delle proteste degli
abitanti della zona, la lunga fila di carri merci accantonati da anni che
arrivava fino alla fermata di Sonnino è stata finalmente rimossa ed i carri
inviati alla demolizione, inoltre la linea per Terracina è stata utilizzata per
delle prove di frenatura, svolte a cura di RFI, di alcune locomotive
Trenitalia.
Sempre nel 2002 vengono
definitivamente soppresse le fermate di Gavotti e Ruderi di Sibilla, la cui
utilità è stata sempre quasi prossima allo zero a causa della mancanza di centri
abitati nelle vicinanze delle fermate. Una buona notizia la porta l’inverno del
2003. Il nuovo orario aggiunge altre due coppie di treni a quelli già
esistenti, e la notizia ancora migliore è che entrambi i treni sono da/per
Roma. Inoltre anche su questa relazione vengono immesse le nuove locomotive E
464. Intanto la vecchia linea per Priverno torna di nuovo ad essere un immenso
deposito di carri merci. Un piccolo passo verso la salvezza è stato fatto,
anche se siamo ben lontani dai periodi di massimo splendore della linea, e il
pericolo di chiusura non è stato del tutto allontanato. Nei sogni degli
appassionati del Lazio resta il ripristino della linea Priverno - Sezze...la
sede c’è ancora tutta, le stazioni anche, ma mancano i soldi e la volontà, e,
probabilmente, il tutto resterà solo un sogno, anche se ciclicamente saltano
fuori faraonici progetti di ricostruzione della pedemontana: progetti che
lasciano il tempo che trovano.
Sebbene il tracciato sia quasi del
tutto intatto una riapertura su un percorso identico al passato non renderebbe
affatto competitiva la ferrovia, mentre eventuali varianti di tracciato farebbero
lievitare ancora di più i costi di riattivazione, costi che al momento nessuno sembra
voler sostenere. La Roma – Velletri vede potenziare sempre di più il traffico
passeggeri e calare quello merci che portò alla chiusura dello scalo veliterno
negli anni settanta. Bisogna arrivare al 7 Settembre del 1980 per trovare
l’ultimo evento storico degno di nota. Il Papa Giovanni Paolo II, accettando
l’invito dell’allora Vescovo di Velletri Dante Bernini venne in visita in
città. Ad accoglierlo in piazza Cairoli il Sindaco Patrizio Saraceni. La visita
prevedeva un nutrito programma che lo vide presente anche alla stazione dove venne
accolto dal capostazione Nello Fabei e dal balcone sulla piazza pronunciò un discorso
di circostanza che riportiamo :
Illustri Signori, carissimi figli!
Nel rivolgerci il mio cordiale saluto,
unito ad un vivo ringraziamento per l’accoglienza calorosa che mi è stata
riservata, desidero esprimere la mia gioia per questo incontro, che mi consente
di ricordare la sosta che qui fece il mio Predecessore Pio IX di v. m., in occasione
del viaggio con cui inaugurò il tratto di ferrovia Roma - Velletri. La visita
pontificia alla città di Velletri fu allora dovuta proprio a tale avvenimento
di notevole rilevanza sia tecnologica che sociale. Mi piace interpretare la
presenza in questo luogo del grande Papa, in tale circostanza, come una testimonianza
significativa del favore con cui la Chiesa segue ogni scoperta dell’ingegno
umano ed ogni realizzazione di autentico progresso. La Chiesa, infatti, si
studia di sostenere e di incoraggiare l’impegno dell’uomo nella conquista del
mondo in forza della missione che le è propria, quella cioè di illuminare con
la luce del Vangelo ogni realtà dell’ordine temporale. Così è stato, nonostante
momentanee incomprensioni, nel passato; così è anche oggi. Ecco il rapido
pensiero che mi è caro lasciarvi come ricordo della mia visita, una visita che
ho inserito volentieri nell’odierno programma, perché non volevo mancasse una particolare
attestazione di stima e di apprezzamento per voi e per l’importante lavoro che
quotidianamente svolgete. A conferma di questi sentimenti ed in auspicio di
ogni desiderato favore celeste, vi concedo di cuore la propiziatrice
Benedizione Apostolica, che estendo a tutti i vostri colleghi ed alle
rispettive famiglie.
Nel mese di Gennaio del 1992, la vita della
stazione di Velletri viene sconvolta dalla tragica notizia dello scontro frontale
tra due treni avvenuto alla stazione di Casabianca. L’incidente è di quelli
seri. Lo ricostruiamo attraverso un articolo di Valentina Leone pubblicato dalla
testata online Velletri life diretta da Rocco Dalla Corte figlio di ferroviere:
“Era un lunedì di gennaio del 1992.
Lungo la via Appia sfrecciano le ambulanze,
l’effetto Doppler anticipa la loro venuta insieme al lampeggio blu intenso,
abbacinante nell’oscurità ancora profonda. Un impatto inaspettato e non
auspicabile per la sua violenza, frutto di un errore umano irraggia
nell’immediato un senso di inquietudine per l’accaduto. Dall’archivio di
Repubblica riemerge la voce di chi ha provocato l’incidente: «Che hai fatto?
Non doveva partire! L’altro non è arrivato ancora. Dio mio si scontreranno!»
Quando ha visto quel treno allontanarsi sul binario della stazione di Ciampino, il mio collega, l’altro capostazione, è arrivato di corsa dal bar, urlando, e mi ha detto così. Allora ho capito che avevo fatto un errore tremendo. Sudavo freddo dalla tensione. Siamo corsi al telefono. Dovevamo fermare quel maledetto convoglio o l’altro. Abbiamo chiamato la stazione di Cecchina per bloccarlo, ma era già passato. Poi un casellante, ma non c’era, il numero suonava a vuoto...Ero terrorizzato. Alla fine ha risposto. Era passato anche lì. Ed è arrivata la notizia dello scontro, i morti, i feriti...Dio mio.
Potrebbe sembrare l’inizio di un
racconto eppure se lo appare è denso di una triste realtà, nasconde sotto le
sue pieghe una brutale denuncia alla noncuranza e alla superficialità. Giunta
la notizia il cinquantenne Sossio Dolce, ferroviere da trent’anni da poco
promosso a capostazione, suda freddo, rimane immobilizzato e, consapevole di
aver provocato un disastro non più rimediabile, si dà alla fuga, colto da un
istinto difficile da contenere. Intanto lo scontro in velocità e l’inferno.
Quel treno, poco prima
inconsapevolmente partito da Ciampino con tanta sicurezza, non avrebbe
terminato la sua corsa a Velletri e avrebbe impattato, presso Casa Bianca, contro
il treno proveniente dal senso opposto che aveva appena lasciato la stazione di
Santa Maria della Mole. Così il 27 gennaio 1992 corrono le ambulanze per
salvare le vite disperse e abbandonate sui binari, il numero dei feriti sale
sempre più, rimangono incerte le morti. Intervengono i vigili del fuoco a
soccorrere le persone rimaste intrappolate nel cruento scontro frontale,
estraggono il corpo esanime di uno dei macchinisti illuminati solo dalle
fotoelettriche perché il sole ancora è timido a gettare luce su un massacro.
Sossio vaga per la campagna, contatta i suoi più cari amici e dopo un’ultima
telefonata alla famiglia si costituisce al capitano dell’Arma di Castel Gandolfo.
Centonovantadue feriti, sei morti e l’accusa di disastro ferroviario aggravato colposo
e di omicidio colposo plurimo. Un unico istante, una distrazione minima ma essenziale,
ha segnato e sconvolto la vita di sette uomini e delle persone che li amavano.
Le reazioni dell’opinione pubblica
variano, si confondono tra loro comprensione verso i limiti dell’uomo e
l’inaccettabilità di un simile errore negli anni ’90, nell’era di un progresso
che si è rivelato troppe volte beffardo. Anzi, proprio i ferrovieri e
soprattutto i sindacalisti pongono sotto accusa non l’uomo ma l’inadeguatezza della
linea di collegamento tra Roma e Velletri.
Un solo binario non basta per
controllare il traffico ferroviario, tutto è in uno stato precario: i
macchinisti, privi di radiotelefono, non possono bloccare in caso di emergenza
un convoglio; le partenze, gli arrivi sono affidati a una semplice corrispondenza
telefonica tra capistazione ed è sufficiente uno squillo andato a vuoto per
generare un’incomprensione, per innescare un’inutile strage. Ecco che il
racconto intessuto di vero diventa realtà due volte perché oltre a testimoniare
qualcosa che è successo nel passato, ormai ventiquattro anni fa, potrebbe avere
ancora presa nel presente. I morti, i feriti, ci insegnano sempre a rimediare,a
tentare di migliorare le cose nel momento immediato.
Ma dai disastri è veramente possibile
imparare? Si può progredire sulla pelle degli altri e a scapito della loro
esistenza? Forse no, ma probabilmente dobbiamo a quei sogni infranti qualcosa
di più che vane speranze e progetti rimasti allo stadio di crisalide. Sarà, ma
dal 1992 di tempo ne sembra passato, eppure sulla linea Roma – Velletri rimane indefesso,
quasi ovunque, quello stesso binario unico - seppur con le innovazioni tecnologiche
di sicurezza volte ad impedire simili episodi- che vide lo scontro mortale tra
due treni.
Dall’Unità dell’29 Gennaio 1992
IN CARCERE IL CAPOSTAZIONE: “ E’ COLPA
MIA?”
Fs sotto accusa non si è potuto
fermare il treno della morte
di Claudia Arletti
ROMA. -È colpa mia», ha sussurrato davanti ai carabinieri il capostazione Sossio Dolce.
Gli occhi cerchiati, si è presentato
ieri mattina all’alba in caserma, dopo una notte trascorsa senza sapere cosa
fare. «Sono stato io»:
Lunedi alle 17,40, per errore, ha dato
il via libera al diretto Roma - Velletri. Che, cosi, ha continuato la sua ,
corsa a cento all’ora, verso un «locale» fermo sui binari, appena qualche chilometro
più in là . Ieri,è stata la giornata delle indagini, delle proteste, e del
bilancio «definitivo». I morti sono sei: quattro ferrovieri e due passeggeri.
Gli ultimi due cadaveri sono stati tirati fuori dalle lamiere all’alba, dodici
ore. Dopo l’incidente. Tra loro, il macchinista Tommaso Cocuzzolo. morto «in
diretta», davanti alle telecamere, dopo tre ore di agonia.
Nello scontro fra i due treni,
violentissimo, molte persone sono rimaste ferite. Alcuni, però, hanno potuto
tornare a casa. Negli ospedali di Roma e dintorni, ne restano una quarantina,
almeno due ancora in gravi condizioni. Si è saputo anche di un fatto curioso: uno
degli scampati è il vigile del fuoco che, la settimana -; scorsa, si è salvato
per miracolo dal crollo di una scuola antiincendi, a Roma.
«Quel treno : l’avevo preso per caso,
mi ero sbagliato», ha raccontato ieri, confusissimo, ai giornalisti. Un «errore
umano», ma anche una serie di incredibili . coincidenze e disfunzioni. due
treni avrebbero dovuto incrociarsi nella stazione di Ciampino. Invece, si sono
scontrati in una stazione vicina. Che cosa è successo? A Ciampino, quando è
arrivato il diretto da Roma; erano in servizio due capistazione. Sossio Dolce
aveva il compito di accertarsi che la linea fosse libera, doveva tenersi in contatto
con le altre stazioni del percorso e, dopo questo verifiche, fare un cenno al collega,
perché desse, dal marciapiedi, il via
libera al diretto Ma qualcosa non ha funzionato. Mentre sopraggiungeva il
treno, Alfredo Valente, l’altro capostazione, è andato a bere un caffè. E
Sossio Dolce, rimasto solo, ha azionato il semaforo, dando la luce verde al
convoglio. Forse, ha pensato che il «trenino» da Velletri (fosse già passato: i
convogli, su queste linee, sono tutti dello stesso colore, gialli e arancioni.
Il «locale», invece, era in ritardo di qualche minato, nella stazione di
Ciampino doveva ancora arrivare, Quando fi stato dato il «via» al diretto,
anzi, era (ermo nella vicina stazione di Casabianca. Due ferrovieri si sono
accorti subito dell’errore. Alfredo Valente, vedendo passare il convoglio a
tutta velocità, è uscito dal bar gridando al collega: «Perché non mi hai
aspettato?». Poi, insieme, hanno cercato di evitare il disastro. Ma non ci sono
radio, sui treni della vecchia linea Roma-Velletri, né telefoni. Impossibile
comunicare. E, da Velletri a Ciampino, vi ò un solo binario: il diretto correva
verso il «locale», senza che potesse essere «deviato». I due hanno tentato
altre strade. Hanno chiamato una stazione vicina, dove ancora i binari sono
doppi, sperando che i colleghi potessero azionare gli scambi e «deviare» il
trenino. M
Ma il Velletri-Roma : era già partito
da qualche minuto, ormai si trovava a Casabianca, una stazione in «disarmo»,
dove, per risparmiare, le Ferrovie, anni fa, hanno chiuso gli uffici. Altro
tentativo; Hanno telefonato a un casellante che, forse, avrebbe potuto fermare
il diretto. Nessuno - ha risposto alla chiamata. Ai due capistazione rimaneva,
a questo punto, una sola, speranza: riuscire a levare la corrente a tutta la
linea. Ma fi una cosa che si può fare solo ' da Roma. E il tempo per intervenire
non c’era. I convogli si sono scontrati pochi minuti dopo che era stato dato il
segnale «verde». Atterrito, Sossio Dolce è scappato. Ha preso l’automobile e,
per tutta la notte, ha vagalo nei dintorni di Ciampino arrivando fino a Roma.
Poi, in mattina all’alba, accompagnato dal sindaco del suo paese, si è
costituito. Ora si trova nel carcere di Velletri. È accusato di disastro
colposo ferroviario e omicidio plurimo. Anche Alfredo Valente, che si era
assentato per il caffé, in giornata é stato sentito dal giudice. Non . ha
ricevuto alcuna contestazione .
Nella stazione di Ciampino, ; i loro colleghi, mestissimi, ieri ; commentavano: «Sossio Dolce ha trent’anni di servizio alle spalle, è serio. La verità ò che chi lavora a Ciampino rischia ; la galera ogni giorno...». Rischia la galera? «SI, non ci sono ; garanzie tecnologiche, è tutto : affidato alla nostra capacità». E Alfredo Valente:
«Siamo l’unica stazione d’Italia dove,
per gestire quattro linee, possiamo contare solo sulla nostra memoria e sulla
vista, non abbiamo nemmeno il blocco per fermare le partenze in caso di
emergenza... Una?- Forse no, - se ieri, per tutto il giorno, i sindacati, i
pendolari, le associazioni di consumatori e di utenti, i politici di ogni
partito, il Movimento federativo democratico hanno tempestato i giornali con
comunicati che ripetono «La colpa è dell’Ente ferrovie, per risparmiare non garantisce
nemmeno più la sicurezza» E cosa dicono le Ferrovie?
Dagli uffici romani, è uscito un fonogramma strano: «L’errore umano, anche nell’era del computer. Ma ciò non ci esime da responsabilità». Cioè: la colpa è di quei due capistazione, poi forse, in parte, c’entra l’Ente. Segue l’elenco delle decisioni, prese per «rinforzare» la rete Si scopre cosi che le Ferrovie prevedono di automatizzare le principali linee a binario unico (come quella dell’incidente) «entro i prossimi 24 mesi». E che fi stata varata una • campagna sulla sicurezza «per sensibilizzare i ferrovieri, della durata di tre mesi» Le accuse? Le proteste? Fantasie: il comunicato finisce cosi: «Non sono ammissibili speculazioni para-sindacali», «le ferrovie italiane
Rientravo dal lavoro in auto e il traffico sull’ Appia era bloccato sin dal GRA e non si capiva cosa potesse essere la causa. All’altezza di Ciampino si vedevano numerose muffole blu di ambulanze dentro l’aeroporto. Allo si pensò ad un aereo caduto; solo alla rotatoria della Via dei Laghi si capì che il problema interessava il treno. Mia cognata che viaggiava su quel treno venne proiettata contro la parete del passaggio tra carrozze e riportò serie ferite ma la raccontò. Altri non c’è la fecero
Giovanni Savelloni
Era il treno che ogni giorno prendevo
per tornare a casa dall’Università, il diretto Roma Velletri delle 17.30 unica
fermata Ciampino, che dire, quel giorno il professore, finì la lezione un’ora
prima ed io presi il treno delle 16.30 … credo al fatto che ogni uno di noi ha
il proprio destino segnato e sicuramente quel giorno qualcuno decise che io non
dovevo rientrare con quel treno … mi vengono ancora i brividi a vedere quelle
foto e ricordo ancora la corsa che feci all’ospedale di Velletri per avere
notizie dei miei amici e di mio cugino che erano su quel treno
Eleonora Gasbarri
Ricordo l’urto che mi ha scaraventato contro la persona che mi stava seduta davanti e un pizzico forte dietro il collo. Ricordo che era tutto buio e la gente che sanguinava e piangeva. Dopo un po’ le ambulanze … un andirivieni che è durato ora. Non c’erano ancora i cellulari e molto gentilmente. Il titolare di un’agenzia immobiliare che stava lì subito dopo la stazione di Casabianca ci aveva messo a disposizione il suo telefono fisso per avvisare i parenti. Ricordo il buio. Il rosso delle luci fuori e il suono delle ambulanze. Ricordo urla e pianti
Lorella Karbon
Era il 27 Gennaio del 1992 avevo da
poco smesso di lavorare a Roma, un mio collega mi accompagnò alla stazione
laziale, arrivai all’ultimo minuto in prossimità dei binari convinto di non
riuscire a prendere quel treno che andava a Velletri, ma la sfortuna quella
sera ha voluto che riuscissi a prenderlo tante volte lo avevo perso. Quella sera
faceva molto freddo salito sulla prima carrozza mi incamminai sul treno per
trovare un posto, ed arrivai alla carrozza dietro i macchinisti trovai un posto
e mi misi seduto, ma inspiegabilmente senza ragione dopo 5 o 6 minuti mi alzai
e andai a sedermi due o tre carrozze più indietro riuscii a trovare un posto,
essendo molto stanco e infreddolito mi sono seduto e assopito siamo arrivati a
Ciampino. Dopo un po’ il treno riparte in prossimità della stazione di
Casabianca sento un boato infernale. Io mi ritrovo scaraventato nel corridoio:
gente che urlava e piangeva insanguinati altri imbambolati che erano riusciti a
scendere andavano avanti e indietro. Avrei altro da raccontare ma mi fermo qui.
Confermo scene infernali
Nicola Perciante
Dopo i fatti di Casabianca, molte cose
cambiano sulla linea Roma – Velletri, viene potenziata la sicurezza prima
affidata alle telefonate tra capistazione. Le belle stazioni della linea vedono
il loro depotenziamento, man mano che i Capistazione fanno in pensione non
vengono sostituiti e il presidio si riduce sempre di più. A Velletri nel 1995 con
il pensionamento dell’ultimo titolare resta solo il bigliettaio Antonio Dalla
Corte ma mantenere il controllo della stazione che con il pensionamento di
questo resta senza presidio.
Sono gli anni in cui è avvolta dal
degrado e in preda a continui atti vandalici che l’hanno ridotta ad essere
terra di nessuno. Ma durante l’estate del 2021, un incontro tra la Fondazione
Museo Luigi Magni e Lucia Mirisola e l’Associazione Apassiferrati nelle persone
dei rispettivi presidenti Alessandro Filippi e Paolo Silvi sotto gli occhi
attenti di Roberto Azzolina ha fatto nascere un progetto mirato alla
valorizzazione e al recupero degli ambienti ormai dismessi del nodo ferroviario
veliterno. Progetto immediatamente sposato da R.F.I. ente proprietario della
struttura che attraverso gli architetti Francesca Alati e Matteo Mocci con la
determinante collaborazione del Dr. Antonio Tomao ha portato in breve tempo
alla concessione in comodato d’uso gratuito di quelli che sono stati gli
alloggi del personale e la vecchia sala d’attesa alla Fondazione Museo Luigi Magni
e Lucia Mirisola. Questo con la collaborazione dell’Architetto Umberto Magni e del
Geometra Marco Silvagni con la sua Onefacility ha portato ad una attenta opera
di restauro e riqualificazione degli ambienti concessi facendo nascere un polo
culturale e turistico che ha portato in occasione del 160 anniversario
dell’inaugurazione avvenuta come abbiamo detto il 27 Febbraio 1862 alla
restituzione alla città dell’importante struttura.
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