LA SEDE : Una stazione museo


Il 27 Gennaio 1862, due treni partiti dalla stazione di Roma Porta Maggiore e dalla stazione di Ceprano si incrociarono in quella di Velletri appena ultimata aprendo così di fatto al traffico ferroviario la linea voluta fortemente dal Beato Pio IX


Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti)


Iniziava così la storia della seconda linea ferroviaria dello Stato Pontificio. Tanta fu la gioia della comunità cittadina per quest’avvenimento che il Municipio affidò allo scultore Giuseppe Bianchi la realizzazione di una medaglia commemorativa che venne emessa il 17 Maggio dello stesso anno. Di essa si conoscono pochi esemplari in argento e in bronzo.

La medaglia ha nel dritto il Pontefice rappresentato in abiti corali, ovvero in mozzetta bordata di ermellino stola e la papalina. Sul verso invece si trova il ponte Pio meglio conosciuto oggi come il ponte di ferro con il treno papale in transito.



Il verso e il dritto della medaglia commemorativa 
coniata per l'inaugurazione della Roma - Velletri - Ceprano



Un anno dopo nel mese di Maggio del 1863, il Papa che non era stato presente all’inaugurazione arriva  in treno a Velletri per inaugurare il secondo tratto quello fino a Ceprano, ultima città dello Stato della Chiesa, ai confini di quella legazione che aveva voluto costituire mettendone a capoluogo Velletri nella sua riforma amministrativa dopo l’esilio di Gaeta. A ricordo di questi importati avvenimenti sono state scoperte due epigrafi marmoree ancora visibili oggi sul fabbricato centrale del nodo ferroviario. 

Il Pontefice arrivò come abbiamo alla stazione di Velletri l´11 Maggio 1863 circa alle ore 6 pomeridiane in treno ad attendere il Papa c´erano il Legato Apostolico Cardinale Mario Mattei , Mons. Ricci Delegato della Provincia, Mons. Scapitta Delegato di Frosinone e Mons. Luigi Macioti Toruzzi ponente di Consulta. Le autorità civili e giudiziarie delle due provincie. I rappresentanti veliterni presentarono al Papa le chiavi della cittá mentre risuonava il fragore degli spari. Pio IX prese riposo nelle sale della stazione dove ammirò anche un suo busto scolpito per l´occasione da Achille Fabri e lesse le seguenti iscrizioni:

 

Pio XI

Pontifici Maximo

Quod Providentia Eius Et Nutu

Via Ferreo Tramite

Neapolim Roma decurrens

velitras attigit

viri a consiliis provinciae regendae

dedicavere

parenti optimo

VI kal Febrauraias an MDCCCLXII

Quo Die Cvrsus Pvublicus Commeantibus 

Patvit

 

Mentre all´ uscita della stazione lesse la seguente iscrizione

 

Al benefico principe

Pio IX Pontefice Massimo

Amore e Ricordanza Immortale

ne assicurò ed arricchì il commercio

ordinando

che la ferrovia

percorresse

Velletri e la Marittima

Il Consiglio Provinciale

Lieto del Pubblico Incremento

Scolpí nuova

e solenne ricordanza

MDCCCLXII




Il Cardinale Mario Mattei legato apostolico di Marittima e Campagna

A bordo della carrozza scortato dal battaglione francese, dalla Guardia Nobile, dagli Ussari ed infine dai Gendarmi Pontifici giunse a Porta Napoletana dai cui bastioni pendeva il vessillo con le Somme Chiavi e sull´ arco si leggeva la seguente iscrizione

 

Pio IX Pontifici Maximo

optimo felici augusto

vota veliternorum

impleti

o.p.q

fausta omnia

 

Percorso un breve tratto a piedi il Sommo Pontefice si trovò nell´atrio della Cattedrale di S. Clemente dove venne accolto dal Vescovo Suffraganeo Mons. Gesualdo Vitali, dal Capitolo, dal Seminario e dal Clero. Entrato in Basilica il Pontefice ricevette la benedizione eucaristica impartita dal Vescovo e dopo si raccolse in preghiera davanti alla Sacra Immagine della Madonna delle Grazie fu scoperta l´ iscrizione marmorea del seguente tenore che ancora si vede nella Cappella Santuario


Pio IX Pont.Max

Qvo Sospite

Salva Res Pubblica Est

In comm.diei V Id Maii MDCCCLXIII 

Quum ille

Civitate Universa Adclamante

Velitras succedens

Basilicam Clementinam

Eius Iam Praesentia Tertio Cohonestatam 

Benigne Revisit

Ac Deipare Gratiarum Matri

Preces In Hac Aedicvula Fudit

Collegium Canonicorum Eivsdem Basilicae

Ad.Memoriae Perennitatem

 

Uscito dalla Cattedrale si recó in carrozza al Palazzo del Comune dove venne accolto da una folla esultante. Qui prima di entrare impartí la benedizione apostolica. Nella sala dove venne preparato il trono Pio IX ammise al bacio del piede tutte le rappresentanze della Provincia di Marittima che lo avevano ricevuto alla stazione. Salito all´ appartamento del Cardinal Legato ammise al bacio del piede il Capitolo della Cattedrale, il clero, la nobiltá e le dame. La sera venne incendiato un grandioso fuoco artificiale.



L'epigrafe che ricorda l'inaugurazione del 27 Gennaio 1862


L'epigrafe che ricorda la visita di Pio IX 11 Maggio 1863 


II giorno

12 Maggio 1863

Il romano Pontefice dopo aver detto Messa nella Cappella privata dell´ Em.mo Cardinale Decano in carrozza si recò alla badia di Valvisciolo dove venne accolto da Mons. Ricci Delegato da Mons. Vitali Suffraganeo e da alcune autorità militari. Cisterna lo accolse magnificamente una apoteosi di folla lo attendeva mentre ovunque bandiere ed iscrizioni inneggianti all´evento

 

A Pio IX

Pontefice Massimo

Il giorno

che di sua augusta presenza

beava la terra di Cisterna

gli abitanti

discendenti da quei fortunati

che videro fra loro ed udirono

l´apostolo Paolo

scrissero questa memoria

a segno di ossequio e riconoscenza

Il Papa venne accolto dai canonici di Santa Maria Assunta ed entrato nella Collegiata pregò davanti al Sacramento impartendo poi la Benedizione Apostolica. Si rimise in viaggio Pio IX per l´Appia e giunto al pizzo del Cardinale poté ammirare la nuova strada per la badia che lui stesso aveva voluto.

A Valvisciolo attendevano il Santo Padre gli abitanti di Norma, Sermoneta, Carpineto, Bassiano, Cori, Sezze e Terracina, sulle rovine di Ninfa sventolava il vessillo bianco giallo e due iscrizioni commemorative del seguente tenore

 

L´ Angelo di Ninfa

proteggitore un dí

del terzo Alessandro

veglia oggi custode

del nono Pio

Fui spenta

ma rimasi grande

la vita se avessi

a te o Pio

siccome giá ad Alessandro

nuovamente darei

Il Pontefice venne accolto trionfalmente spari di mortari dal castello di Sermoneta e dalla roccia di Norma mentre festanti i sacri bronzi facevano udire la loro voce. Furono eretti due archi trionfali che condussero Pio IX alla badia su di essi alcune iscrizioni dettate dal Canonico De Lazzaro. Ad attendere il Papa il Vescovo di Terracina e i capitoli di Norma e Sermoneta. Dopo aver pregato in chiesa, il pontefice si recó negli appartamenti appositamente preparati e dopo aver ammesso al bacio del piede del delegazioni presentí impartí nuovamente la benedizione apostolica alla folla che lo ricambió con osannanti ovazioni. Prima di intraprendere la via del ritorno a Velletri il Papa donó al monastero ricchi e preziosi arredi sacri. Arrivato in città non gli fu concesso di riposare nella sala delle lapidi del Palazzo Municipale perché le acclamazioni del popolo lo indussero ad affacciarsi per benedirlo di nuovo.

III Giorno 13 Maggio 1863

Il romano pontefice dopo aver celebrato la Santa Messa lasció nuovamente Velletri per continuare il suo viaggio nella provincia di Marittima e poi in quella della Campagna alla carrozza papale si aggiunse quella del Cardinale Legato Macchi sotto scorta percorrendo la via corriera si recarono di nuovo alla stazione ferroviaria qui a ricevere il Vicario di Cristo; erano i rappresentanti delle ferrovie e le autoritá governative. Il nobile vagone pontificio accolse il Cardinale Macchi ed altri prelati che accompagnarono Pio IX a Frosinone.

Valmontone

La prima fermata fu a Valmontone anche qui ovunque archi di trionfo ed iscrizioni. Sceso dal treno Pio IX entrato nella sala dov´era stato preparato il trono ammise al bacio del piede le rappresentanze presenti tra queste quella del comune di Artena. Impartita la benedizione riprese il viaggio erano quasi del 10 del giorno. Lungo tutto il viaggio il Santo Padre scese in tutte le stazioni dov´era stato preparato il trono ammise al bacio del piede delegazioni comunali, autoritá governative, clero, capitoli e nobili questo fu cosí fino a Frosinone. Appena messo piede sulla nobile terra di ciociaria gli accompagnatori veliterni si congedarono dal pontefice in attesa che questi ritornasse nei confini della provincia di marittima. 

IV giorno 14 Maggio 1863

Dopo aver detto Messa Pio IX lasció in carrozza Frosinone per andare a Ferentino e dopo aver mangiato ad Anagni si recó in carrozza alla stazione di Segni qui ad accoglierlo autorità del governo, delle ferrovie e della Marittima. Una moltitudine di folla era ad accogliere il Pontefice non c´era solo il popolo segnino ma anche quello di numerosi comuni limitrofi. Anche in queste terre il Beato Papa non si sottrasse alla popolazione, ammise al bacio del piede le varie delegazioni che gli porsero ossequio. Riprese dunque il Santo Padre la via per Roma, ovunque passasse il treno pontificio non mancarono fiori, archi trionfali ed iscrizioni. All´arrivo a Velletri il treno pontificio fece una breve sosta giusto per dare il tempo al Cardinale Macchi di congedarsi dal Papa.

Intanto i bersaglieri, sfondano a Porta Pia mettendo definitivamente fine al potere temporale del Papa, quello che Mazzini ebbe a definire la vergogna civile d’Europa. Pio IX dopo aver ordinato agli eserciti pontifici di “non resistere” si dichiarò prigioniero del nuovo stato italiano chiudendosi in Vaticano. Iniziava così quella che la storia conosce come “la questione romana”.

Velletri fu protagonista anche se di riflesso di quasi tutti quegli eventi che portarono alla storica giornata del 20 Settembre 1870. Uno di questi fu l’epica battaglia del 19 Maggio 1849, quando Garibaldi alla testa di pochi volontari contravvenendo agli ordini del Generale Roselli di non avanzare verso Velletri, riuscì a fugare le truppe borboniche di stanza in città, entrando nel centro storico vittorioso dalla Colonnella dove si era acquartierato. Fu questo “fatto d’arme” che legò in modo indissolubile l’eroe dei due mondi alla storia di Velletri. Il 19 Maggio 1875, su invito dell’allora Sindaco Luigi Galletti il generale accompagnato dalla moglie Francesca Amorosino e dai figli avuti da lei Manlio e Clelia giunse alla stazione in treno da Roma per partecipare alla commemorazione di quella battaglia che era rimasta nel ricordo di tutti.

CITTADINI,

Nell’imminente anniversario del 19 Maggio 1849, il Generale Giuseppe Garibaldi si recherà tra noi. Questo giorno, in cui una falange di generosi italiani affrontando e fugando Ferdinando Borbone suggellava col sangue il nostro diritto e preparava i nuovi destini d’Italia, sarà da noi celebrato come si conviene, alla presenza dell’uomo grande che fu l’eroe. Una doppia lapide sarà inaugurata alla barriera di porta romana, che ricordi ai venturi il nome dell’intrepido condottiero e i caduti in quella gloriosa e pur mesta giornata. Cittadini, noi non sentiamo il bisogno di far appello al vostro patriottismo. L’annunzio della venuta del generale Garibaldi in Velletri in tale ricorrenza addita a voi ed a noi ciò che ne resti a fare. Più cara che ogni festosa pompa e si legga nei volti l’espressione della nostra gioia, di gratitudine di quanti serbano un culto per le virtù del sagrifizio e per le grandi magnanime imprese a pro della patria.

14 Maggio 1875

Il Sindaco

Luigi Galletti



Clelia Garibaldi 


Francesca Amorosino


Giuseppe Garibaldi

Manlio Garibaldi


Con questo manifesto l’amministrazione comunale annunciava alla cittadinanza l’imminente visita del Generale e per accoglierlo si cercò di prepararsi degnamente, Velletri era “tutta pavesata a festa, con archi di trionfo, ornamentazioni floreali, drappeggi e bandiere a ogni finestra…” In Piazza del Comune, parlò alla delirante folla, colà convenuta per acclamarlo e festeggiarlo, pronunciando il seguente discorso:

“Sono lieto di trovarmi, fra di voi, dopo, ventisei anni di vicissitudini, superate. Io ti saluto, o fortissimo popolo di Velletri. Vi ringrazio di cuore della bella accoglienza che mi fate. GRAZIE. Noi ci siamo conosciuti in una giornata che era ben più calda d’oggi. In allora il caldo della stagione era superato da quello delle fucilate! Fucilate, che, per nostra disgrazia si dovettero scambiare, tra fratelli! Ricordo il Borbone, ma non lo ricordo con odio. Ebbe la sventura di nascere sul trono e oggi esiliato come lo fummo noi. Assaggia anch’egli il dispiacere dell’esilio e forse prova il bisogno, PERDONIAMOGLI! Ricordo con orgoglio la gloriosa Repubblica Romana che era veramente, la rappresentanza della volontà del popolo. Noi fummo, costretti a combattere un re carico di delitti. Abbiamo scacciato quei soldati da Palestrina, e l’abbiamo sconfitto in questa eroica città. Quel combattimento, fu precursore, di battaglie che diedero poi all’Italia, milioni di figli, che erano stati segregati per molto tempo. I soldati borbonici erano italiani. Speriamo che non verrà più un’epoca in cui sia necessario, seminare ossa di fratelli su questa terra. Se lo straniero ardisse invadere il nostro sacro suolo la generazione che sorge saprà fa rispettare la Bandiera Italiana. Compio un dovere presentandovi, il mio capo d’allora, il Generale Avezzana, il veterano di cento battaglie combattute in Italia e in America” discorso pronunciato da Garibaldi a Velletri nel 1875.

Fu quindi accompagnato a Porta Romana da un immenso corteo, mentre la popolazione di Velletri, alla quale si erano aggiunti per l’occasione molti forestieri del circondario, esprimeva il suo incredibile entusiasmo. Tornado a Velletri, Giuseppe Garibaldi, rivisse sicuramente nella memoria la Battaglia del lontano 1849. Accettò infatti di buon grado di ritornare suoi luoghi in cui si era consumato il fatto d’arme, non senza incognite e pericoli per la sua stessa persona.

A Vigna Blasi i padroni di casa, inorgogliti del particolare onore, avevano preparato un degno banchetto per l’illustre ospite; ma Garibaldi famoso per la sua semplicità di vita e la grande frugalità, non toccò nessuno dei cibi prelibati, limitandosi ad accettare volentieri fave fresche e caciotta. I festeggiamenti durano per tre giorni. Garibaldi da Caprera scrisse una calorosa lettera di ringraziamento, nella quale diceva di considerare “ il nobile paese come una seconda terra natia”. Il consiglio comunale, il 29 maggio 1875, all’unanimità acclamava il Generale cittadino onorario di Velletri. Stabiliva altresì di approntare per un appartamento nel Palazzo Comunale. Giuseppe Garibaldi si premurò di rispondere che “andava superbo di appartenere alla cittadinanza di Velletri” Considerata la portata dell’ attaccamento del popolo di Velletri all’Eroe dei Mondi”, si può capire il dolore, lo scoramento di tutti alla notizia della sua morte, avvenuta a Caprera il 2 Giugno 1882. Furono proclamati alcuni giorni di lutto cittadino.

Una delegazione ufficiale, guidata dal Sindaco, si recò ad assistere ai suoi funerali. E non era certo un modo per relegar ere nel passato la figura di Garibaldi. Essa è viva ed operante ancora nel presente, perché lo spirito di libertà e l’ardimento che l’hanno contraddistinta, sono venuti a trovarsi in linea con le peculiarità che il popolo di Velletri ha salvaguardato attraverso i secoli. Ecco perché Garibaldi a Velletri è diventato un mito solidamente attestato nella coscienza delle generazioni che si sono succedute a quella che ha avuto la ventura di conoscerlo di persona e di poterlo annoverare tra i concittadini più illustri.

Il 24 Novembre del 1878, il sindaco f.f. Principe Ginnetti D’Avellino, con tutta la sua amministrazione accoglie alla stazione il Re Umberto I e la Regina Margherita di Savoia che avevano accettato l’invito di venire in visita alla città. 



Il Re Umberto I di Savoia


la Regina Margherita di Savoia


Nel 1893, è il Sindaco Alfonso Alfonsi ad aspettare alla stazione un altro ospite di riguardo, stiamo parlando del Generale Menotti Garibaldi che arrivava in città per ritirare la cittadinanza onoraria, stesso riconoscimento conferito qualche anno prima al padre. Menotti era stato eletto deputato nel collegio di Velletri, ruolo a cui teneva moltissimo tanto che molto fece durante la sua attività parlamentare per la crescita e lo sviluppo della terra che rappresentava. Rifiutò addirittura la candidatura nel collegio di Roma perché non voleva tradire la gente di Velletri che lo elesse per ben nove legislature.

Dal numero unico “ Epopea Garibaldina” redatto da Renato Guidi per il centenario dell’Unità Nazionale stralciamo la cronaca dell’epoca: Il 13 novembre 1892, si riuniva il Consiglio Comunale di Velletri, per compiere un atto solenne ed imperituro. Menotti Garibaldi, veniva acclamato cittadino onorario, come era avvenuto per il suo grande genitore. Erano presenti alla seduta 25 consiglieri. Il Sindaco Alfonso Alfonsi, all’inizio ricordò che il Consiglio era stato convocato per il conferimento della cittadinanza onoraria al Generale Menotti Garibaldi, ed aggiungeva essere questa la seconda volta, dacché la provincia di Roma era riunita all’Italia, che il consiglio, era chiamato a compiere un atto così solenne.

La prima volta, proseguì il Sindaco, fu il 29 maggio 1875, giorno in cui venne acclamato cittadino veliterno, il Generale Giuseppe Garibaldi, con un ordine del giorno proposto dai consiglieri: Avv. Luigi Novelli, Avvocato Federico Messi, Avvocato Luigi Censi e Dott. Alfonso Alfonsi. Oggi, disse il Sindaco, la Giunta si propone, o signori, di conferire un simile onore, al figlio prediletto di quell’eroe. Il Municipio, terminò il primo cittadino, lasciò passare 17 anni, di rappresentanza politica, prima di fare una tale proposta il cui significato non doveva sembrare una deferenza al nome del glorioso portato dal Generale Menotti Garibaldi, ma doveva essere, com’è, un doveroso attestato di affettuosa riconoscenza, per le benemerenze personali dell’egregio nostro deputato. La splendida votazione di domenica scorsa, la dimostrazione popolare, che ebbe luogo la sera, assicurano la giunta, che essa interpreta veramente i sentimenti del paese, proponendo di acclamare Menotti Garibaldi cittadino onorario di Velletri.

Tutti i consiglieri si alzarono in piedi applaudendo e applaudì anche il numeroso pubblico presente in sala.

Il Sindaco comunicò che avrebbe subito avvertito il Generale, dell’atto del Consiglio, il quale sarebbe stato poi consacrato in una pergamena da consegnare al Generale. L’atto compiuto dal Consiglio fu veramente omaggio doveroso a chi aveva operato per lo sviluppo di Velletri. Infatti Menotti Garibaldi, combattente in Lombardia nel 1859, a Calatafimi nel 1860, a Monterotondo e a Mentana nel 1867, fu l’indimenticabile deputato di Velletri che amò e valorizzò.

A lui è legata la istituzione della Cantina Sperimentale che anche oggi onora l’Italia, e rende celebre la nostra città. A Lui agricoltore, bonificatore di vasto territorio della campagna romana (presso Albano Laziale, tanto che si eleva tra Ariccia e Albano un monumento in bronzo riproducente, con gli arnesi da lavoro la sua possente figura) non poteva sfuggire la somma importanza della viticultura italiana ed in particolare della regina delle viti.

Velletri ebbe una grande stima per il primogenito di Giuseppe e Anita, tanto da eleggerlo varie volte deputato, ed acclamarlo cittadino onorario. Riportiamo qualche cenno sommario, brevissimo, sull’attività di Menotti Garibaldi come deputato del collegio di Velletri. Il 23 ottobre 1862, l’instancabile bonificatore dalla figura irresistibile, piena di leale simpatia, maschia e nobile il cui volto, forte e sereno ritraeva tutte le paterne fattezze, inviava all’On. le Ettore Ferrari il seguente telegramma. “

Riconoscente agli amici che vogliono onorare il mio nome, non posso accettare. Rappresentante di Velletri, da 17 anni, non diserterò il posto, ove quel corpo elettorale voglia ancora confermarmelo” Era stato infatti inviato a correre nel Collegio di Roma.

Un giornale del tempo così commentava il telegramma: “L’atto del Generale Garibaldi, fa onore al suo carattere ed ai suoi principi. Si risolve insieme in una manifestazione di fiducia verso gli elettori del nostro collegio. Egli infatti dice loro “io sono con voi, perché siete con me” Il voler tessere la storia, proseguiva il foglio di ciò che l’egregio generale ha fatto sarebbe cosa assolutamente impossibile. Ogni Municipio, ogni associazione, ogni cittadino, può chiederlo a se stesso e le risposte saranno, ne siamo certi, un coro di elogi al suo animo generoso, alla sua abnegazione, al suo disinteresse.

In un discorso agli elettori, durante la campagna elettorale disse: “ Educato alla scuola dei sacrifici, ho visto compiere dei miracoli, ho visto cittadini male armati, vincere vecchie truppe disciplinate, e ben equipaggiate, ma non credo possibile sempre i miracoli e perciò, voglio un’Italia militare e forte, un Italia che sappia difendere le sue Alpi, tante volte calpestate dal soldato straniero, ma questo deve essere ottenuto coi minori sacrifici dell’esauste finanze. Occorre promuovere l’istituzione in tutti i comuni italiani del Tiro a Segno, perché funzioni in tutti i Comuni Italiani, le palestre ginnastiche saranno anch’esse un potente ausiliario per educare la nostra gioventù.

All’una cosa e all’altra dedicherò tutta la mia attività. Parlando poi della questione agricola disse che la base della nostra economia nazionale. Occupandoci di essa con fermezza e serietà di propositi, si ritroverà in parte la questione sociale italiana.

E’ perciò dovere (anche oggi si dovrebbe ripetere tale invito) per noi, pensare a tenere i lavoranti agricoli attaccati alle nostre terre, perciò bisogna ottenere ad essi un lavoro campestre che rimuneri le loro fatiche e che dia ad essi modo di bastare alle proprie famiglie (sembrano parole di oggi) Non più terre incolte e ciò basterà ad arrestare il movimento della nostra emigrazione. Non più terreni in cui regnano sovrane la febbre e la malaria; la forza e la ricchezza d’Italia saranno centuplicate. Egli diede nobile esempio con l’aratro sui campi vicini a Roma. Per Velletri, Menotti Garibaldi, molto si adoperò, realizzando un vasto programma di opere.

1880 ottenne il pareggiamento del Liceo Comunale 1881 con rapidità straordinaria, tenuto conto delle lentezze abituali, ottenne il circolo straordinario di Assise

1891, mercé le insistenti premure iniziate dal Generale, fin dal 1880 si istituì la Cantina Sperimentale alla quale si aggiunse il vigneto modello. Spiegò vivo interessamento per far restituire a Velletri la sede del Reggimento. Basti dire, che egli domandò perfino udienza al Re Umberto, da prode soldato quale era. 

Il 6 Novembre 1892, Menotti Garibaldi, era eletto ancora deputato di Velletri. Il 13 dello stesso mese, avvenne la proclamazione tra indescrivibili manifestazioni di entusiasmo lampeggiar di torce, musiche e bandiere. In Piazza Mazzini, il Sindaco Alfonsi, ed altre personalità, si unirono alla dimostrazione di giubilo ed entusiasmo patriottico. Il 22 Gennaio 1893, Velletri visse una giornata radiosa, ardente di fede garibaldina, per il conferimento della cittadinanza onoraria a Menotti Garibaldi le accoglienze furono trionfali.

Arrivò il Generale con il treno delle 7.32, ed erano alla stazione il Sottoprefetto, il Sindaco, Il Capitano dei Carabinieri ed altre autorità cittadine, nonché i Sindaci di Albano, Bassiano, Cisterna, Gavignano, Gorga, Labico, Marino, Rocca di Papa, Segni, Sermoneta, Sezze, Valmontone. Alle 11.00 il deputato di Velletri entrò nell’aula consiliare. Erano assenti solo quattro consiglieri perché malati.

Nell’attigua sala delle Lapidi, gremitissima di popolo, il pubblico si unì agli applausi provenienti dalla sala del consiglio. Menotti Garibaldi, disse che fin dai suoi anni giovanili aveva appreso dal genitore il nome di Velletri e che attratto ad essa da quella simpatia speciale, similmente a suo padre, aveva cominciato ad amarla né più di amarla cesserà. Disse che l’onore resogli era troppo e che Egli non aveva altro merito, se un grande amore per Velletri. Alla fine del discorso, Menotti Garibaldi baciò il Sindaco Alfonsi. La seduta di sciolse, scrive il giornale del tempo, e le signore presenti in gran numero, vollero stringere la mano al nuovo concittadino. Ebbe luogo un banchetto e alle 19, una imponente fiaccolata. A sera assistette ad una serata di gala al teatro comunale.



Il Generale Menotti Garibaldi

Il generale prese posto, nel palco della Prefettura alla destra del Sindaco. Il Generale pernottò in casa del Sindaco. Il lunedì dopo una colazione offerta dal Principe Ginnetti; fu accompagnato dalla musica e da tutte le associazioni fino alla stazione ferroviaria, da dove partì per Roma alle ore 13.50.

La pergamena opera dell’avvocato Giovanni Censi recava le seguenti parole dettate dal Sindaco Alfonsi:

“Velletri, libero Comune, con la cittadinanza conferiva ai benemeriti la partecipazione al viver libero, ai di8ritti ai doveri ai pubblici uffici. Abolite le autonomie comunali, l’unità d’Italia costituita, l’antico onore civile trae vita dai ricordi e dall’affetto riconoscente. Il Consiglio Comunale ai 13 novembre 1892, ricordando che a Giuseppe Garibaldi fu decretata la cittadinanza unanime, Menotti Garibaldi, campione della libertà, e fratellanza de la Nazione, deputato del Collegio, per 17 anni, benemerente del Comune, acclamò cittadino onorario di Velletri, e volle all’atto si conservasse in questa pergamena la memoria”

Sul primo ingresso del Palazzo Comunale si leggeva:

“Velletri, libera madre di prodi, al suo degno Cittadino salute”

E sull’altro

“Forte in guerra, operoso in pace, come i padri del Lazio, generoso Menotti Garibaldi, Tu sei modello di virtude antica”

Dopo dieci anni, il grande bonificatore dell’Agro romano, il grande cittadino veliterno, l’instancabile deputato di Velletri, che aveva tanto amato come il padre la eroica nostra città, si spense tra il dolore dell’Italia tutta. Velletri pianse lacrime di dolore immenso e inconsolabile.

Il 21 Ottobre del 1901, arrivò in treno da Roma, accolto dal Sindaco Mario Barbetta un gruppo di personalità che accompagnavano l’artista Juana Romani, divenuta famosa in Francia di ritorno nella sua città natale. Una visita scaturita dal soggiorno della Romani in Italia per partecipare all’Esposizione Internazionale in programma nella capitale.

Quelle che scesero quel giorno al nodo ferroviario veliterno erano personalità destinate a scrivere la storia italiana. C’era Carlo Alberto Salustri, che la storia conoscerà come Trilussa, lo scultore Ernesto Biondi e il pittore Ferdinand Roybet, il gruppo visitò la giovane Regia Scuola Serale di Disegno Applicato alle Arti e Mestieri diretta nella storica sede di Via Luigi Novelli dal Prof. Edgardo Zauli Sajani. La pittrice rimasta colpita dalle potenzialità che la nuova istituzione poteva avere per i giovani apprendisti veliterni volle donare una redita di 5.000 lire perché si premiasse l’allievo meritevole.

Visitarono anche un altro fiore all’occhiello della Velletri dell’epoca la Regia Cantina Sperimentale Regio Vivaio di Viti Americane dove il Trilussa recitò alcune sue poesie.

Tra il 1904 e il 1905, arriva alla stazione, una compagnia di attori, proveniente da Roma, il cui capocomico era un’appena ventenne Ettore Petrolini. Partirono da Roma, con appena i soldi per pagarsi il biglietto, avevano fame e dovevano andare a fare uno spettacolo alla Trattoria Rondoni (odierna pizzeria ‘O Velletrano). Il proprietario che era un impresario teatrale li aspettava per

la mattina del debutto, ma loro mossi dalla fame partirono prima. Una volta arrivati alla stazione andarono subito da chi li aveva 22 ogni tanto 22 ma questi li trattò freddamente dicendo che avrebbero fatto in tempo ad arrivare anche la mattina seguente. Loro pur di mangiare dissero che era urgente provare lo spettacolo del debutto e fare una colossale reclame.

Ma lasciamo che sia lo stesso Petrolini a raccontare stralciando dalla sua autobiografia: “Facezie autobiografiche e memorie” Conobbi un certo Rapisardi – un siciliano – che possedeva un’amante la sua duettista. O! Se avessi potuto avere anch’io una duettista. Mi sarei contentato della duettista soltanto, e avrei rinunciato al resto! Col Rapisardi ci mettemmo in cerca di qualche altra artista: trovammo una certa Loletta che pareva un pegno di una lira; altre due canzonettiste, la Landi e la Guardia; Carlo Longo ed altri due comici scalcinati, ed intonatissimi con le mie idee e quelle del Rapisardi; Amedeo Leprini trasformista, ed un altro comicarolo soprannominato Beatolui.

Però mancavano il teatro, i soldi, l’impresario e la piazza. Carlino Longo ci disse che a Roma si trovava un certo Rondoni, proprietario di una trattoria a Velletri, la quale trattoria era attigua ad un grande giardino con discreto palcoscenico. Eravamo ai primi di Maggio e pensammo subito di fare una stagione estiva a Velletri. Ma bisognava trovare Rondoni. In questo ci aiutò Carlina che conosceva i luoghi frequentati dal Rondoni; e, infatti riuscimmo a scovare il nostro uomo in una locanda di piazza Montara. Il Rondoni – come era solito fare trattando i comici – ci ricevette con diffidenza. Ma noi, risoluti a concludere, adoperammo tutte le arti per convincerlo, magnificandogli la bontà degli elementi della compagnia, la novità dello spettacolo, l’eleganza più favolosa, il repertorio esclusivo; la sfarzosa messa in scena e simili buatte

 

Il Rondoni si difese dal nostro assalto, adducendo delle scuse: che il Teatro non era in ordine, che il pubblico di Velletri era troppo esigente, che la stagione era immatura … Ci prospettò anche un ostacolo, secondo lui insormontabile: la mancanza sulla piazza, di un mastro e di un pianoforte. La nostra risposta fu che di maestri ne avevamo una mezza dozzina a nostra disposizione e che, quanto al pianoforte, lo avremmo portato noi da Roma. Messo con le spalle al muro, il Rondoni finì per concludere: - Sentite, io vi concedo il teatro e la sola luce. Voialtri, penserete al resto. Metteremo la consumazione obbligatoria a cinquanta centesimi, dei quali trenta per me e venti per voi. Noi insistemmo perché la nostra quota di utile fosse portata almeno a venticinque centesimi per consumazione; ma Rondoni fu irremovibile.

Anzi aggiunse: - “Sapete che ve dico? .. Che si ce venete me facete un piacere e si nun ce venete me ne facete due. Fummo costretti a subire le pretese fissando il debutto per il prossimo Sabato. Era Mercoledì.

 

L’indomani mattina, alla riunione della Compagnia al Caffè dell’Esquilino, mancava il maestro. Costernazione generale. Ma Carlino Longo, rassicurò, promettendo di portarci ad ogni costo – una maestra di sua conoscenza: Enrichetta Trubbiuani. Altra difficoltà: il pianoforte; per il quale il noleggiatore pretendeva il nolo anticipato e una garanzia. Prendemmo la decisione di partire senza, riservandoci appena giunti, di recarci ad intenerire il presidente del Circolo locale. Rapisardi il mio socio, tenne questo discorso alla Compagnia:

“ Signori! Rondoni, il grande impresario di Velletri, non appena ha sentito il nome mio e quello di Petrolini, si è messo a nostra disposizione! Debutto sabato, niente anticipo, viaggio per conto nostro: perciò niente bauli. In mancanza della quarta classe, andremo tutti in terza. Condizioni: tutti in società, paga a carature, parti uguali; solo io percepirò due carati di più come direttore e perché vi fornisco lo scenario.”

Rapisardi era proprietario di due scene: un giardinetto e una camera. La camera era fatta con la carta da parati. Il giardino sembrava una carta moschicida con le relative vittime .Il viaggio da Roma a Velletri in terza classe, costava meno di due lire. Ciascun artista lo avrebbe pagato di tasca propria. Fu così che il Venerdì, alle cinque pomerdiane, partimmo tutti per Velletri, compresa la maestra Trubbiani, che ci fece palpitare fino al momento della partenza. Arrivò trafelata e grondante pochi minuti prima che il treno si muovesse, seguita da Carlino Longo che fece le presentazioni. Dio che allegria! Che fame! In treno pensavamo tutti la stessa cosa: trattoria Rondoni.

Appena arrivati alla sospirata Velletri, piombammo subito dal Rondoni che ci accolse molto freddamente, e ci disse che avremmo fatto in tempo ad arrivare anche il Sabato mattina. Al che noi rispondemmo che urgeva provare lo spettacolo di debutto e provvedere ad una colossale reclame. E così con la faccia tosta delle grandi occasioni, ordinammo da mangiare. Eravamo otto ed avevamo fame per cinquanta. La moglie del Rondoni una velletrana simpaticona, ci guardava con evidente compassione, ed 26 ogni tanto smicciva il marito, come per dirgli: “che hai fatto? ”Io sfoderai subito un paio di battute comiche che, fortunatamente ruppero un po’ il gelo, Rapisardi magnificò la bellezza della città e l’ospitalità dei velletrani, facendo lieti pronostici per la inaugurazione del giardino – teatro. Una turba di curiosi ci guardava al di fuori della trattoria.

Un ragazzino, più mascalzone e più intelligente, gridò – “rondò daje da magnà”! Fortunatamente Rondoni come se obbedisse al ragazzino – ci fece servire. Mangiammo anche bene … e come! Venne il conto: 22 lire! Fu stabilito che la somma sarebbe stata pagata coi soldi che avremmo incassati la sera del debutto. Adesso veniva il più difficile: il pianoforte e gli alloggi per tutti noi. Camere disponibili e a buon mercato ce n’erano tante; ma era difficile farsi ospitare, per noi che eravamo gente di teatro. Ma il Rondoni e quale improvvisato simpatizzante ci aiutarono, garantendo la nostra moralità. Io fui più fortunato: con sessanta centesimi il giorno ottenni una splendida casa, in una località distante dal paese: camera da letto, stanza da pranzo, cucina, loggia. Insomma: tutto un intero appartamento a mia disposizione. La padrona di casa: abitava al piano di sopra. Entrata libera, mobili modesti, pulizia esagerata. Feci il giro della casa. In cucina c’era una madia che aprii con curiosità: pasta, farina, pane, zucchero e caffè.

Non potevo persuadermi di tanta fiducia … Mi affacciai alla finestra e osservai il tempo (in quell’epoca ero anche astronomo!): perché il nostro debutto dipendeva dal tempo che avrebbe fatto il giorno seguente; essendo come ho detto, il teatro in giardino all’aria aperta. Pensai alla mancanza di pianoforte, alla sfiducia di Rondoni, al pagamento del fitto di casa … Fu un leggero passaggio di malumore. Mi voltai, vidi l’altissimo e gonfio letto – come si usa nei paesi – come si usa nei paesi – e fui preso subito dal desiderio di buttarmici sopra: se non altro per ridurre quella gonfiezza. Sul letto mi muovevo per sentire quella specie di tinticarello nelle orecchie provocato dal fruscio delle foglie di granoturco di cui era pieno il saccone pressato dal mio corpo: ogni movimento, una musichetta nuova. Rimasi un poco perfettamente immobile, per gustarmi il silenzio. Cominciai a fantasticare assaporando la mia vita di artista guitto; così povera di tutto e così ricca di sensazioni e di sogni.

Stavo per addormentarmi felice e contento di quella solitudine, quando udii un fischio, il fischio degli artisti, che suona così: miseeeria! Era Rapisardi. Venne su, in camera, entusiasmato. Aveva trovato il pianoforte; tutto andava a ruota libera; nel paese, si mostravano contenti di avere un po’ di teatro; aveva parlato con tutte le personalità … Successo! Quattrini! Applausi! Tutto bene! Peccato, mancasse la rèclame. A Velletri, in quel tempo, non esisteva una tipografia. Avremmo dovuto pensarci a Roma. Ma a Roma ahimè!, per noi non esistevano li quattrini – Non importa mi disse Rapisardi – faremo i manifesti a mano. Tu li sai fare? Ne occorrono almeno due: uno in piazza e l’altro all’ingresso del teatro. Erano le dieci e mezzo. Rondoni aveva chiuso la trattoria. E, di certo, sarebbe stato imprudente disturbarlo … Trovato! In casa, come ho detto, vi era la farina: sarebbe servita la colla. Con cartaccia di giornali bruciata si sarebbe potuto fare del nerofumo … mezzora dopo, sulla piazza principale di Velletri si poteva leggere il manifesto.

La mattina dopo fui svegliato dagli urli bestiali di Rondoni che sbraitava: “Stamattina sono stato chiamato dal brigadiere dei carabinieri per causa di questi maledetti commedianti … Che razza di compagnia di malviventi è questa? Che gente siete? Maledetto quel giorno che vi ho dato ascolto! Non metterete più piede nel mio locale! Vergognatevi! Io ascoltavo, trasecolato quell’emergumeno. Che cosa era successo?.  La padrona di casa era stata a spiarci per tutta la notte e nel lavoro che feci con Rapisardi per i manifesti intravide e fantasticò chissà quale reato: furto, incendio, congiura, spiritismo e tutto ciò che può immaginare una paesana ignorante e malintenzionata nei confronti dei comici. All’alba, s’era precipitata dal brigadiere dei carabinieri per confidargli le sue paure. Alfine non intesi più urlare Rondoni, ma me lo vidi davanti al letto insieme col brigadiere, il quale con un sorriso ironico e di commiserazione mi disse: “vediamo di farla finita adesso. Qui non siamo a Roma, caro il mio Petrolini …

Qui bisogna rigar dritto se no vi faccio filare io! Di certo il brigadiere aveva capito l’equivoco, ma non volle riconoscerlo. E la peggiore offesa fu quella di chiamarmi Petrolino. Lo storpiamento del mio nome è una cosa che non ho mai potuto tollerare. La sera del debutto venne il diluvio universale: vento pioggia tuoni. A questo si aggiunsero le sghignazzate dei ragazzini arrampicati sul un tavolato presso l’entrata del teatro; le ire del Rapisardi contro il trasformista Leprini che si era permesso di bucargli una scena per farvi una spartizione; i lamenti della maestra alla quale il vento portava via i fogli sopra il leggio del pianoforte. Tutto andava a rotta di collo! Rondoni arrivò al punto di negare un caffè alla moglie del Rapisardi. Rapisardi accusava Leprini di portare scarogna, e Carlino Longo urlava: “Dove mi avete portato? E pensava alla responsabilità che si era assunto conducendo seco una maestra che aveva dato dei saggi all’Accademia di Santa Cecilia …

In conclusione una vera bolgia. Solo io rimanevo con l’animo tranquillo. Chissà perche? Il pubblico intervenuto allo spettacolo una quarantina di persone, alcune con l’ombrello aperto, altre rifugiate sotto una specie di capannone era in attesa. Fortunatamente la pioggia accennava a diminuire. La maestra per trattenere il pubblico, eseguiva dei pezzi al piano nella speranza di attirare qualche nuovo spettatore. Chi protestava più clamorosamente erano i ragazzi arrampicati sul tavolato. Il pubblico restava tranquillo, musone pareva imbalsamato. La pioggia cessò e ciò valse a vincere un poco quella musoneria diffidente. Io non vedevo l’ora di eseguire il mio nuovo numero.

Lo spettacolo cominciò tra un successo di sberleffi e una gioia paesana. Il successo venne decretato dai soliti ragazzini che il Rondoni non voleva restassero sul tavolato, ma poi fu costretto a far entrare gratis ottenendo così due scopi: eliminazione del chiasso e maggior pubblico in platea. Venne l’ora del mio numero. Esegui il bell’Arturo.

Alla fine della macchietta urla selvagge dei ragazzi e qualche picchiettio di bastoni sulle tavole e qualche applauso. Notai che la moglie del Rondoni era andata a sedere in platea per vedere la seconda macchietta il brigadiere, da lontano mi sorrise e lo stesso Rondoni venne in palcoscenico e mi disse “Bravo arifalla”(…)

Continuiamo il nostro viaggio, nella storia della stazione di Velletri, siamo come si è potuto ben capire agli inizi del XX secolo, che tra qualche anno porterà in Italia venti di guerra infatti nel 1915 l’Italia dopo una lunga disputa tra neutralisti ed interventisti entra nella prima guerra mondiale che diventerà la “quarta guerra d’indipendenza” quella che ha portato a compimento il processo unitario della nazione.

Molti furono i giovani veliterni che chiamati alle armi, partirono dal nostro nodo ferroviario, diretti a Roma per poi con la famosa “tradotta” essere condotti al fronte. Molti non tornarono scrivendo con la loro testimonianza pagine eroiche del grande libro della storia del secondo risorgimento italiano. Fu il canonico Attilio Gabrielli attento storico di Velletri a raccogliere in un libro “Gioventù veliterna in olocausto alla madre patria” i loro ricordi mentre i loro nomi sono oggi incisi sul grande lastrone del monumento realizzato dall’Architetto Emanuele Caniggia in Piazza Garibaldi.

Benché lontana dal teatro delle operazioni di guerra scriveva il compianto Guido Di Vito sul Cittadino (giornale di Velletri) la città ne visse intensamente l’atmosfera e ne toccò le piaghe soprattutto per il continuo arrivo di feriti. L’ospedale organizzato nei locali della scuola normale e in quelli del convitto comunale è in continua attività. Con l’arrivo dei feriti giungono purtroppo dal fronte le prime funeste notizie, tante famiglie veliterne cominciano a piangere i loro figli. Da allora in poi tanto fu l’ingrato lavoro del comandante della stazione dei carabinieri e dei parroci cittadini di volta in volta incaricati di portare ai congiunti le ferali notizie e tante furono le famiglie di Velletri colpite dal lutto.

Nel 1922, alcune delle salme degli eroi della Grande Guerra fecero ritorno in città per essere tumulate nel nostro cimitero monumentale dove ancora si trovano alcune nella Chiesetta ed altre nelle tombe delle loro famiglie. Tra questi vogliamo ricordare il caporale Guido Nati eroe decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare. Sul suo corpo venne trovata una poesia diretta al padre che riportiamo:

Il 2 Giugno del 1927, sarà il Generale Stanislao Mammucari pluridecorato della grande guerra, che in quel momento ricopriva la carica di Podestà di Velletri, ad accogliere alla stazione il Re Vittorio Emanuele III che veniva in visita a Velletri. L’invito era per presenziare all’inaugurazione del monumento ai caduti di Piazza Garibaldi opera dell’Architetto Emanuele Caniggia. Terminata la parte ufficiale del programma della visita il Re venne accompagnato alla Regia Cantina Sperimentale dove accolto dal direttore dell’epoca poté capire l’importanza dell’istituzione fondata da Menotti Garibaldi.

Ma ancora una volta in Italia si apprestavano a soffiare venti di guerra. L’Italia di Benito Mussolini il 10 Giugno 1940 entra nella seconda guerra mondiale. Capostazione a Velletri era Giulio Capobianco che viveva negli alloggi al primo piano del corpo centrale con la moglie Maria e le figlie Valeria – Liana e Bianca. Tre bellissime ragazze che saranno segnate dalla tragicità della guerra. Valeria era spostata con Angelo Barzon un ufficiale dei Granatieri che l’aveva fatta tornare in Italia con i loro figli Gianpaolo e Rodolfo molto piccoli perché in Africa dove era di stanza la situazione si apprestava a volgere al peggio, Liana e Bianca erano nel fiore della gioventù la prima Liana aveva 23 anni e la seconda Bianca appena adolescente.

Giulio usava tutti i giorni all’una salire a casa per ascoltare il bollettino di guerra, una abitudine però che nel 1941 sconvolse la vita di Valeria. Eravamo nel mese di Marzo del 1941 quando dalla Radio si apprese la notizia che era caduto in battaglia a Cherem il generale Orlando Lorenzini, la giovane sposa capì subito che anche il suo Angelo era morto, infatti poco dopo arrivò il funzionario del ministero della guerra a darle la ferale notizia. Sconvolta quando anche Velletri iniziò a conoscere la nuda e cruda realtà delle bombe, prese i figli e andò a nord a Padova dalla famiglia del marito, al quale è stata concessa la medaglia d’oro al valor militare alla memoria. A Velletri con Giulio e Maria restano ad abitare alla stazione solo Liana e Bianca. Liana era fidanzata con un soldato che nel frattempo viene tratto prigioniero in Germania, i cui genitori avevano una proprietà poco dopo il ponticello della stazione dove oggi si trova la rotonda di Via Eduardo De Filippo.

Il 7 Gennaio 1944, il complesso ferroviario è sottoposto a un violento mitragliamento da parte dell’aviazione alleata a copertura delle  operazioni di preparazione dello sbarco di Anzio che sarebbe avvenuto di lì a poco. I segni di quella terribile mattinata di fuoco sono ancora ben visibile sulle colonnine di ghisa della veranda prospiciente il primo binario.

Dal diario

di Padre Italo Laracca leggiamo: Venerdì 7 gennaio 1° venerdì del mese.

Nella nostra Chiesa di S. Martino è esposto il SS. Sacramento. Questa mattina, fino alle ore 11, discreto concorso di popolo anche per le vie della città. Alle ore 11.10 un fuggi fuggi di giovani inseguiti dal maresciallo di P.S, che si rifugiano in grotta per non essere rastrellati. Il maresciallo vorrebbe entrare ma ad un mio cenno se ne ritorna. Alle ore 13.40 sono passati gli aerei ed hanno mitragliato. Alle ore 14,10 in chiesa aperta per l’esposizione del Santissimo siamo in pochi: Padre Cerbara, le signorine Marcella Pietromarchi, Giuseppina Spelta, Giulia Di Mario ed io. L'urlo straziante della sirena ci scuote e spaventa, si sente bombardare.

La signorina Pietromarchi si avvicina ad un angolo della Chiesa presso l’altare della Madonna di Loreto. Ripongo subito il Santissimo. La luce è stata tolta. Moltissimi entrano in Chiesa e si dirigono in grotta. Grida, preghiere. lacrime, voci sconvolte. La città si fa deserta in un attimo. Senza porre indugio corro in aiuto.

Gli aerei si sono allontanati. Vado a piazza Mazzini e via Furio. Vedo fumo nero verso la stazione ferroviaria e mi dirigo verso quella parte. A piazza Umberto incontro S. E. mons. Rotolo, mons. Ettore Moresi e mons. Dettori e indico la stazione colpita. Ci muoviamo tutti; viene anche in macchina il tenente Molisena, il brigadiere Scifoni, i pompieri e molti volenterosi. Mons. Dettori torna in Cattedrale e prende l’Olio Santo. Mons. Moresi alla stazione si inoltra al di là dei binari, S. E. Rotolo ed io siamo presso il magazzino-deposito distrutto dalle bombe: nessuna vittima. 94 Mentre costatiamo i danni materiali, una seconda ondata proveniente dal alla meglio a ridosso della osteria di Fidalma; a cinquanta metri dalla stazione.

Siamo una decina di persone.

Gli aerei sganciano bombe e mitragliano furiosamente la stazione e l’Appia. Le pallottole ci fischiano d’intorno. Crediamo di morire: «Gesù mio misericordia» ripetiamo tutti. Con S. E. Rotolo ci teniamo fortemente per le mani; mi dice «Padre lei è tutto bianco in viso». «Sì, Eccellenza» rispondo «sono del suo stesso colore!». La stazione, vigna Vagnozzi, il giardino pubblico, via di Circonvallazione, l’Appia, viale Regina Margherita, sono ripetutamente colpite. Gli arei si sono allontanati. Noi siamo salvi per miracolo. Ci avviciniamo ai luoghi colpiti. Questa seconda ondata ha sorpreso molti che erano venuti per soccorrere e perciò vi sono delle vittime. una delle colonne colpite.

 

La signora Maddalena Mei e la cognata Genoveffa escono salve dalla bottega di Chiominto Ada, dove erano andate a comprare il pane. Lascio S. E. e mi dirigo verso viale Regina Margherita dove vedo una colonna di fumo: presso il villino Daniele c’è gente: mi dicono che il dottor Pana venuto in soccorso è salvo miracolosamente, e che già ha trasportato alcuni all’ ospedale. Il villino Daniele sembra solo scheggiato. Sto per allontanarmi quando sento dei lamenti: sulla finestra del pianterreno del villino il professor Grandinetti chiede aiuto: accorro, è gravemente ferito, invoco soccorso.

Adagiamo il professore su un camion e lo si trasporta all’ospedale.

Per terra nella stessa stanza c’è il suocero di Grandinetti col capo troncato e la vecchia mamma in un angolo impietrita dal dolore. Assicuratomi che tutti i colpiti sono stati trasportati, vado all’ospedale. È pieno; anche i corridoi sono occupati dai lettini. Tra i tanti c’è la signorina Capobianco figlia del capostazione, ferita presso il palazzo dei ferrovieri, la signora Fiocco, sorella di Peppino e Genesio Rondoni, la signora Angela Pomponi maritata Foggia, ferita sulle scale di via S. Martino, il pompiere Salvatore Rondoni molto grave, il brigadiere Basilio Scifoni e tanti altri. Mi trattengo fino a tardi per aiutare, soccorrere e confortare tutti, tra la disperazione dei parenti e i lamenti di chi soffre.

Il professor Grandinetti che sembra stare meglio mi raccomanda se possibile di dare notizie alla moglie che si trova al di là del fronte, in territorio occupato. Prima di uscire assisto alcuni che muoiono, tra i quali la signorina Capobianco. Incontro Cerri Francesco e lo prego di trasportare a Roma la vedova Grandinetti. Ritorno in parrocchia stanco e triste. Tra i morti ci sono pure Blasi Elvira in Maferri, Maferri Ottavio, e il bambino Moschi Rolando colpito da mitragliamento. Il ragazzo Luciano Lenzini è salvo per miracolo. Una bomba è caduta anche nella vigna di Pompili Guglielmo presso la stazione e Settimio Mammucari a cui la bomba è esplosa a venti metri è salvo. Anche Giuliani Natale si è prodigato nel soccorrere i feriti."

Come racconta Padre Laracca, tra le vittime anche la figlia del capostazione, dopo la prima ondata Liana e Bianca, uscirono dalla stazione perché Liana voleva andare a vedere se i genitori del suo fidanzato erano salvi e percorsa la poca strada fino al ponticello vennero colte dalla seconda ondata si buttarono a terra, ma un caccia mitragliando a bassa quota colpì Liana alla nuca. Passato il pericolo Bianca capito che la sorella era ferita sconvolta dal dolore prese a correre verso la stazione intanto Liana veniva portata all’ospedale di Piazza Garibaldi dove morirà subito dopo.

La famiglia del fidanzato chiese di poterla tumulare nella tomba di famiglia perché non avendola potuta avere da viva la vollero da morta. Lui non seppe nulla della morte di Liana credeva che si fosse rifatta una vita credendolo morto. L’unica che sapeva era Valeria con la quale aveva contatti epistolari che non gli disse mai nulla. Tornato seppe tutto. E’ rimasto legato a Liana fino alla fine dei suoi giorni conservato una foto della sua bella nel cassetto della scrivania. Aveva avuto ragione Valeria, ha scappare a Padova per salvare i figli. Il mitragliamento della stazione è stato solo l’inizio, la mattina del 22 Gennaio 1944, l’aviazione alleata sottoponeva Velletri ad un bombardamento destinato a durare per una mattinata che ha cancellato secoli di storia e di architettura riducendo quello che venne considerato tra i cento centri storici più belli d’Italia ad un cumolo informe di macerie, seminando ovunque lutti e rovine.

Durante i dieci lunghi mesi in cui Velletri fu prima linea essendo strategicamente uno dei punti nevralgici lungo il cammino verso la liberazione di Roma. La stazione non venne risparmiata e fino al 2 Giugno 1944 data della liberazione di Velletri venne ripetutamente colpita. Per far saltare il ponte di ferro venne espressamente mandato a Velletri un sergente alto atesino Karl Phieffar , ma una volta arrivato sul posto e visto che sotto il ponte c’erano numerosi sfollati telefonò al comando dicendo che Velletri era evaquata e non era necessario eseguire l’operazione. Al comando presero per buona questa comunicazione e il ponte fu salvo. Il sergente rimase a Velletri e collaborò con i pochi sacerdoti rimasti passandogli preziose informazioni che permisero di salvare molte vite. La notte mandava i suoi militari a gettare viveri al di là delle mura di cinta di Vigna Berardi per essere poi distribuiti ai tanti rifugiati nelle grotte della vasta campagna veliterna.

Nonostante tutto, il ponte uscì seriamente danneggiato tanto da essere necessaria la sua completa ricostruzione. Opera che precedette la riattivazione della circolazione ferroviaria che fu tra le principali priorità del governo alleato e soprattutto della prima amministrazione comunale del dopoguerra con a capo Clelio Bianchi nominato dagli alleati commissario governativo.

Dobbiamo arrivare agli anni cinquanta del XX secolo, per assistere al primo sostanziale declassamento del nodo ferroviario di Velletri. Infatti viene decisa la sospensione del servizio ferroviario e poi la soppressione delle tratte Roma – Colleferro – Segni – Paliano e della Velletri Sezze Terracina. Fortemente volute alla fine del XIX secolo da Papa Pio IX e dal deputato Menotti Garibaldi. Così la stazione di Velletri resta la sola stazione di testa della Roma Velletri. E’ giusto ripercorrere la storia di queste tratte per completare il discorso sulla vicenda di una struttura che è per la città di Velletri il cuore pulsante della sua viabilità.

Riportiamo l’interessante articolo scritto da Don Teodoro Beccia, sul sito “ Il mondo dei Treni” dove è ripercorsa con dovizia di particolare la storia di cui parlavamo prima:





La sede della Fondazione vista da Piazza Martiri di Ungheria

 

La storia della ferrovia Velletri - Colleferro è strettamente legata alle vicende che portarono alla costruzione della linea Roma - Velletri, ovvero al necessità di collegare Roma con Ceprano, allora confine tra lo Stato della Chiesa e il regno delle Due Sicilie.

I primi progetti risalgono al 1846 ma la realizzazione del collegamento non fu né facile, nè rapida: agli insormontabili problemi di ordine economico si aggiungevano le continue pressioni da parte dei vari centri interessati affinché la ferrovia passasse il più vicino possibile ai centri abitati. A questo si aggiunsero i moti risorgimentali del 1849 che costrinsero Pio IX a lasciare Roma, bloccando la vita politica dello Stato Pontificio. Con il rientro del Pontefice fu possibile riprendere il programma ferroviario, anche se si dovrà attendere il 1856 per vedere aperta la prima ferrovia del Lazio (la Roma Frascati). Nel 1861, intanto, il Regno d’Italia affida alla Società Pio Centrale il compito di realizzare una ferrovia che da Napoli raggiungesse Ceprano, proprio al confine con lo Stato Pontificio.

Si dovranno però attendere ancora sei anni per vedere giungere a Velletri, il 27 Gennaio 1862, alle ore 11.30, il convoglio inaugurale proveniente da Roma. Era così possibile raggiungere via treno Napoli da Roma: 256 Km circa di binari, pendenze del 25 X 1000 e raggi di curvatura quasi mai superiori ai 400m. Caratteristiche oggi ampiamente inadeguate, ma allora giudicate migliorabili.

Nella stazione di Velletri è ancora visibile la targa posta il giorno dell’inaugurazione dal municipio come ringraziamento a Pio IX per aver fatto transitare la ferrovia proprio nell’antica cittadina. Il servizio effettivo sulla linea, sebbene fosse stata inaugurata nel 1862 iniziò solo il 1 Dicembre del 1863, probabilmente a causa del fatto che la ferrovia, essendo una linea di confine, avrebbe potuto provocare problemi di ordine pubblico.

Sempre nello stesso anno, l’11 Maggio, la città di Velletri ebbe l’onore di ricevere la visita del Pontefice. Nel 1865 la gestione della linea passa dalla SFR alla Rete Mediterranea, che subito inizia a pensare ad un più rapido collegamento tra Roma e Napoli.

Il 27 Maggio 1892 viene aperto un nuovo tratto ferroviario da Ciampino a Colleferro via Palestrina, molto più breve, sul quale vengono dirottati tutti i servizi da Roma per Caserta. La Roma - Velletri - Colleferro perde così, dopo pochi anni, rapidamente importanza, restando a servizio dei pendolari della zona che si recavano per lavoro o a Roma o a Colleferro. La ferrovia aveva un proprio binario indipendente, con il quale si affiancava alla nuova linea proveniente da Ciampino/Palestrina, e si attestava al binario 1 della stazione di Colleferro - Segni, riservato alle partenze/arrivi da Velletri, dopo aver superato la casa cantoniera posta poco prima del FV (la casa Cantoniera esiste ancora ed è sede della Polfer). Esisteva inoltre un tronchino per il ricevimento delle merci. Lungo il tracciato da Velletri a Colleferro si incontravano le stazioni di Casale di Velletri (Km 3+038), Colle Cagioli (Km 5+859), Lariano (Km 7+935) ed Artena (Km 15+473) l’assoluta mancanza di notizie fino ai primi anni del secolo ci fanno pensare ad una tranquilla e monotona vita da secondaria, con i pochi treni in orario affidati alle locomotive del Gruppo 870.

Negli anni 80 si torna a parlare della ferrovia Velletri - Colleferro in quanto viene presentato un progetto per realizzare una linea da Velletri a Subiaco che unitamente al potenziamento della linea proveniente da Mandela avrebbe potuto permettere la realizzazione di un collegamento diretto con Sulmona. Sebbene fossero circa 33 i Km da realizzare il progetto non venne mai portato avanti: difficoltà di percorso e spese eccessive a fronte di una linea dall’incerta utenza scoraggiarono le FS dall’ intraprendere i lavori.

Negli anni 80 il DL di Velletri vede l’arrivo di 16 macchine del Gr 875, mentre le prime automotrici iniziano a farsi carico dei servizi passeggeri sulla linea, che in questo periodo vede un lieve aumento di traffico, tanto che nel 1936 viene istituita la nuova fermata di Macere, al Km 10 + 219 della linea. Il 1939 è uno degli ultimi anni del periodo di massimo splendore; della linea Velletri - Colleferro: troviamo infatti ben 7 coppie di treni in servizio 

La II guerra mondiale investì anche questa linea, causando tra l’altro anche una drastica riduzione dell’offerta di servizio, tanto che troviamo solo due coppie di treni nel 1944, ma, contrariamente ad altre ferrovie del Lazio, la linea fu mantenuta attiva fino all’ ultimo dalle truppe tedesche in quanto necessaria per il trasporto del personale impiegato nelle industrie di esplosivi di Colleferro. Lo sbarco alleato e la fuga delle truppe tedesche provocarono però il blocco di tutti i servizi, che furono ripresi solo nel maggio del 1945.

Venne ricostruito negli anni a seguire anche il DL di Velletri e aperte le nuove fermate di Colle Cagioli e Casale di Velletri. Vennero anche ripresi i lavori di elettrificazione iniziati nel 1942 e dal 15/12/1948 la stazione di Velletri venne elettrificata.

Ma si decise di non proseguire oltre con i lavori, e così il servizio sulla linea per Colleferro, che iniziava a sentire la forte concorrenza del trasporto su gomma, rimase affidato alle automotrici del gruppo ALn 556 e alle locomotive del Gr 880 assegnate al DL di Velletri. Il declino della linea era però alle porte e l’utenza sempre più scarsa di anno in anno, tanto che si moltiplicavano le voci di una imminente chiusura. Il crescente boom della motorizzazione diede il colpo di grazia alla linea, penalizzata anche da un’eccessiva lontananza delle stazioni dai centri abitati (centri abitati di modesta importanza).

Sopravviveveva oltre ad un discreto servizio merci, anche un (ormai agonizzante) servizio passeggeri, essenzialmente composto da pendolari che si recavano a Colleferro per lavoro. Tra voci sempre più insistenti di chiusura, e treni sempre più vuoti, che avvenne si giunge al 20 Febbraio 1957 quando il servizio viaggiatori tra Velletri e Colleferro viene sostituito da autoservizi, affidati alla ditta Santori & Parenti di Velletri, senza suscitare molti rimpianti.

Anzi si può ben dire che la chiusura passò praticamente inosservata. Restava però ancora un residuo traffico merci, che però di lì a poco sarebbe cessato del tutto. Con il DPR N°416 dell’811/03/1958 viene definitivamente soppressa la tratta Colleferro - Lariano, mentre la tratta Velletri - Lariano continua ad essere utilizzata come raccordo merci, per l’inoltro delle tradotte composte da carri pianale da caricare con tronchi di castagno, utilizzati dall’amministrazione postale per i pali telegrafici.

Questo servizio durerà fino al 1965, quando con DPR N°337 del 04/07/1965 viene definitivamente chiuso anche l’ultimo tratto rimasto in esercizio. Da allora nessun treno circolerà più sulla linea, che verrà rapidamente smantellata, salvo un breve tratto in uscita dalla stazione di Velletri, per lungo tempo utilizzato come asta di manovra La chiusura e successivo rapido smantellamento del tratto Velletri - Colleferro, lasciano in esercizio il solo tratto Ciampino - Velletri, elettrificato a 3000 V CC nel 1948, che con il passare degli anni mostra sempre di più la sua utilità come collegamento rapido e veloce per i pendolari che da Velletri (o dagli altri centri toccati dalla ferrovia) devono raggiungere Roma. Con l’elettrificazione sono le ALe 790 e le ALe 880 a svolgere i servizi diretti con Roma, mentre alle locomotive a vapore del Gr 880 restano affidati gli sporadici servizi sulla linea per Segni ormai declassata a raccordo. Dalla metà degli anni 60 entrano in servizio sulla relazione Roma - Velletri le ALe 803 mentre scompaiono quasi del tutto i treni a materiale ordinario.

Per tutti gli anni 80 la linea continua a svolgere, in sordina, il suo insostituibile ruolo di ferrovia a carattere pendolare: a parte l’entrata in servizio delle prime ALe 801/940 non si registrano eventi degni di nota, se non la totale scomparsa del traffico merci alla fine degli anni 70.

Un’altra presenza illustre sul tracciato ferroviario legato alla stazione di Velletri è stata quella di Gabriele D’Annunzio che il 2 aprile 1889 fece tappa alla stazione di Segni Paliano, avendo sbagliato treno nel corso di uno dei suoi itinerari d’amore con l’amante Barbara Leoni (Elvira Natalia Fraternali). Mentre aspettava nella sala d’attesa della stazione (per 2 ore) il treno per tornare a Roma, scrisse la poesia L’ Alberello; una targa commemorativa, posta nella sala stessa, rievoca il particolare episodio.

 

L’Alberello

O tu, ne l’aria grigia, torto e senza

fiori, alberel di Segni Paliano

che deridendo accenni di lontano

alla inutile nostra impazienza,

or quando fiorirai, livido nano,

se non dunque fiorisci a la presenza

di lei che chiude la divina essenza



Nel mese di Agosto del 1903 Gabriele D’Annunzio dalla sua residenza ad Anzio si portò a cavallo fino alla stazione di Cecchina dove attese l’arrivo da Roma del corteo funebre che con il feretro del Generale Menotti Garibaldi figlio primogenito di Giuseppe e Anita si dirigeva alla Tenuta di Carano ai bordi dell’argo pontino per la sepoltura del grande italiano. Menotti Garibaldi dopo aver smesso la camicia rossa e indossati i panni del coltivatore e del deputato si dedicò anima e corpo ai suoi possedimenti. Era l’unico che distribuiva il chinino ai suoi coloni intraprendendo una nuova battaglia quella contro la malaria che era la maggiore causa di morte nell’agro in quegli anni.

Solo che quando contrasse lui la malaria non era possibile comprare il chino per curarlo tanto che morì il 22 Agosto del 1903. Arrivati a Carano D’Annunzio aiutò a porre la bara di Menotti nel sarcofago al centro del mausoleo dove ancora si trova e pronunciò l’orazione funebre prima di lasciare la tenuta a cavallo.

«Non convengono molte parole a questo eroe che tra le sue virtù ebbe il culto del silenzio vigile e della brevità possente. Anche nell’Assemblea Nazionale, dinanzi alla facondia dei mestatori, egli stette sempre come una mole di volontà raccolta, troppo in discordia con la viltà dei tempi.

Ora, più che un discorso verboso, deve essere cara ai suoi mani una fronda di quercia robusta. E noi l’abbiamo portata con animo religioso venendo per la grande campagna che egli volle fecondare col sudore dell’opera per renderle ancora la parente alma delle biade, dopo che tanto sangue garibaldino, l’aveva fecondata per la messe ideale. Qui gli piacque essere sepolto sul campo di battaglia da bravo guerriero; qui rimanga il primogenito di Giuseppe Garibaldi. Egli non è lontano da suo padre; poi che se le ossa venerande sono custodite dal granito insulare, l’eterno spirito è sempre vivo sul vento che soffia dal Tirreno su questo Lazio divino e terribilmente di febbre e di fati.

Un giorno, quando la patria sentirà più vibrante la dignità e la bellezza della memoria, un giorno da Roma a Carano sarà aperta una delle vie sacre su cui il popolo rinnovellato celebrerà i trionfi delle virtù esemplari. Innanzi alla tomba del primogenito di Garibaldi, ogni cuore italiano - nella presente miseria nostra - fa voti che quel giorno non sia troppo lontano.»

Il deputato Menotti Garibaldi, ebbe un ruolo fondamentale nella realizzazione della Velletri – Terracina, il secondo prolungamento che venne inaugurato nel 1892 nel pieno della sua attività di parlamentare nella quale ebbe sempre come prioritaria la crescita e lo sviluppo della sua amata Velletri.

Dal portale storico della Camera dei Deputati, abbiamo ritrovato l’intera discussione parlamentare che portò alla costruzione della linea, volentieri l’ha riportiamo a completamento del nostro discorso:

PRESIDENTE: Ora sulle delle linee staccate Velletri Terracina e Sparanise - Gaeta ha facoltà di parlare L’onorevole Menotti Garibaldi.

GARIBALDI MENOTTI: Associandomi pienamente alla prima parte della proposta dell’onorevole Buonomo non posso sottoscrivere però alla seconda. La campana di allarme che l’onorevole Buonomo ha suonato parlando della congiunzione Roma- Napoli, ini pare che non possa far dimenticare gli interessi dei paesi che verrebbero ad essere attraversati da questa linea. La seconda parte dell’emendamento dell’onorevole Buonomo, che sembra semplicissima, recherebbe un danno immenso ai comuni del collegio che io rappresento. Io debbo domandare perdono alla Camera se vengo a parlare d’interessi locali ; ma mi sembra che, trattandosi di una legge di tanta importanza, in cui gli interessi generali e locali devono armonizzare fra loro, mi sembra, dico, che come deputato di Velletri, sia mio dovere di sostenere gli interessi dei comuni di quel collegio.

La linea Velletri - Terracina messa in quinta categoria, e poco ben trattata dall’onorevole ministro che presentò per la prima volta questo disegno di legge ebbe migliore accoglienza dalla Commissione, che, accogliendo i giusti reclami di quelle popolazioni la trasportò in quarta categoria, e poi per una combinazione fortunata, fu portata in terza con lo accordo tra il Ministero e la Commissione. Ora questa linea, che serve gli interessi di tutti quei comuni che sono sui pendìi dei monti Lepini, verrebbe, colia proposta dell’onorevole Buonomo, ad attraversare la pianura dell’Agro Pontino.

In questa pianura inospitale, in cui non c’è nessun centro di popolazione, eccetto Cisterna, che si trova in un sito di malaria, ed un altro piccolo comune, tutti gli altri paesi sono sui pendii dei monti Lepini, e verrebbero a restare ad una lunga distanza dalla via che viene proposta coll’emendamento dell’onorevole Buonomo.

Anche per la parte finanziaria la linea che partisse da Civita Lavinia ed arrivasse fino a Terracina, passerebbe per un terreno torboso, in cui sarebbero necessarie molte opere di palafitte per mantenere le opere murarie che si dovrebbero fare. L’altra linea invece che, allungando solamente di una diecina forse di chilometri il percorso tra Roma e Terracina, passerebbe alle falde dei monti Lepini, dove c’è il materiale in abbondanza. Dove non c’è quasi nessun opera d’arte da fare. Io mi associo pienamente a quello che diceva l’onorevole San Donato per Napoli. È dovere del Parlamento e del Governo di pensare Napoli ; credo che non bisogna abbandonare le popolazioni ed i comuni rurali a loro stessi. Le grandi città saranno più fiorenti, più importanti, se i comuni delle loro provincie saranno prosperi ; e veramente tutti quei paesi della provincia di Roma i quali verranno ad essere serviti da quella linea, diventeranno prosperi.

Se invece questa linea venisse a passare per la pianura, questi paesi resterebbero abbandonati come lo sono adesso. Io quindi raccomando alla Commissione ed al Ministero che vogliano mantenere il tracciato Velletri - Terracina, come è proposto dalla Commissione.

GARIBALDI. Desidero di rivolgere una semplice domanda all’onorevole ministro dei lavori pubblici. La linea Velletri – Terracina, compresa nella legge delle ferrovie complementari in terza categoria, è passata per molte vicende e dopo molti anni di studi, se ne sperava prossima la costruzione, Il predecessore dell’attuale ministro dei lavori pubblici aveva promesso infatti di farla eseguire a rimborso di spese; ora io desidero sapere dall’attuale ministro dei lavori pubblici che conto possano fare le popolazioni interessate delle promesse del suo predecessore. Presidente. L’onorevole ministro dei lavori pubblici ha facoltà di parlare. Saracco, ministro dei lavori pubblici. La risposta all’onorevole Garibaldi sarà come quella, che ho avuto il dispiacere di fare all’onorevole Cucchi, perché la linea, di cui l’onorevole Garibaldi si è occupato, è calcolata in bilancio per 6 milioni in tutto, ed il costo di un solo tronco arriva a più di 13, così che, se il secondo tronco costerà quanto il primo, avremo una spesa complessiva di 22 milioni, contro 6 stanziati e da stanziare in bilancio.

Le cose stanno in questi termini; e, non avendo a disposizione che una piccola somma, non posso assolutamente prendere impegno di attendere immediatamente alla costruzione di questa ferrovia. debbo prima di tutto domandare ai Parlamento i mezzi necessari e non posso ne devo prendere impegni per 24 milioni (siano pure 20, o 22 all’incirca) quando ne ho solo due o tre disponibili in bilancio. Crederei far cosa contraria ad ogni buon principio di Governo; e voi, o signori, mi chiamereste in colpa, se mi attentassi di impegnare le finanze dello Stato in una spesa tanto grave, quanto quella che equivale a quasi quattro volte 11 primitivo costo dei lavori. Ora a me piace dire, ancora una volta, che bisogna veder ben chiaro in quali condizioni noi ci troviamo rimpetto a tutte le linee determinate dalla legge del 1879, e prender quindi un provvedimento che soddisfi a tutte le esigenze. (…)

GARIBALDI MENOTTI. Avendo i comuni interessati alla costruzione della linea Velletri-Terracina ottemperato al disposto della legge votata l’anno scorso, la quale dava loro la preferenza nella costruzione di quella strada ferrata, debbo rivolgere all’onorevole ministro dei lavori pubblici ed alla Commissione, la preghiera che vogliano fin da quest’anno stanziare una somma per la costruzione di quella linea. Il ministro dei lavori pubblici ha ricevuto la deliberazione dei comuni riuniti in consorzio, deliberazione la quale credo sia stata mandata alia Commissione del bilancio. Con questa deliberazione i comuni interessati offrono un maggiore contributo di due decimi oltre quello loro assegnato. Pertanto io faccio una calda preghiera all’onorevole ministro ed alla Commissione perchè vogliano, per un atto di giustizia, iscrivere nel bilancio di prima previsione di quest’anno, poiché non sfamo ancora al bilancio

definitivo, la somma di 200,000 lire, già accordata ad alcune altre linee che hanno quasi la stessa importanza della Velletri - Terracina. Non ho altro a dire Aperta nel 1862 la ferrovia Roma - Velletri - Colleferro - Ceprano rimaneva la necessità di realizzare una linea che collegasse l’entroterra alla costa onde poter realizzare un rapido collegamento tra Roma ed i centri del Lazio Meridionale. Dopo anni di progetti, la linea Pontina, da Velletri a Terracina via Sezze Romano viene finalmente aperta il 27Maggio 1892 a cura della RM (Rete Mediterranea). É una linea di montagna, che sin dalla sua apertura si dimostra ampiamente inadatta alle reali necessità di movimento. Il suo tracciato, con pendenze fino al 29 %, infatti lasciava scoperti numerosi centri abitati, ed anche quelli dalla ferrovia erano posti spesso molto lontani dalle stazioni, lontani dal fondovalle malarico. Senza dimenticare che in quegli anni, tutta la zona costiera, era scarsamente popolata a causa della presenza di paludi.

Nonostante ciò la linea rappresenta il primo ed importante collegamento tra Roma ed i centri del Lazio meridionale: senza dimenticare che a Velletri, allora importante nodo ferroviario, si incontra la linea per Colleferro - Ceprano - Napoli. La linea aveva una lunghezza di 79 Km circa e lungo il percorso si incontravano otto stazioni (Giulianello, Roccamassima, Cori, Cisterna, Sermoneta, Norma, Bassiano, Sezze Romano, Piperno, Sonnino e Terracina) e due fermate (Ninfa e Frasso). Sin da subito il servizio ferroviario venne considerato inadeguato alle reali esigenze delle popolazioni locali e con orari giudicati alquanto scomodi, tanto che, già nel 1900 la RM deve fare fronte ad una prima protesta dei comuni interessati i cui echi sembra giunsero fino al Governo. Nel 1901 sempre i comuni locali si fanno promotori di una serie di manifestazioni volte alla realizzazione di una tranvia elettrica da Piperno (l’attuale Priverno) a Subiaco. Del progetto non se ne fece mai nulla e la ferrovia continuò con i suoi problemi di sempre, causati principalmente dall’eccessiva tortuosità del tracciato e da elevati tempi di percorrenza.

Ed i problemi non erano solo per i normali viaggiatori: a farne le spese fu, nel 1904, anche la Regina Margherita, che dovendo recarsi a Terracina fu costretta ad utilizzare un apposito treno messo a disposizione dalla RM in quanto il treno reale non poteva circolare sulle strette curve della linea. Il 1 Luglio1905 la gestione della linea passa alle neonate FS, ma nulla cambia. Nel 1913 troviamo però una richiesta del comune di Terracina di istituire un treno merci diretto per Velletri/Roma, richiesta che provoca però subito le proteste delle altre municipalità che temono di vedere danneggiata la loro economia.

Nel 1914 è invece il comune di Sermoneta a lamentarsi con le FS in quanto il binario singolo non era sufficiente a trasportare con celerità i prodotti agricoli ed il bestiame e spesso si verificano ritardi ne trasporto. Anche il piazzale della stazione di Sermoneta era, a loro dire, insufficiente per accogliere i carri necessari per il trasporto. A scorrere la storia della linea sembra che, proteste e visite dei reali a parte, non successe praticamente nulla. Ed in effetti fino agli anni '20 la linea visse la sua sonnacchiosa vita di ferrovia secondaria. Sfumato il progetto di dotare Terracina di un ampio porto, ed iniziata la bonifica delle Paludi Pontine, il nuovo governo italiano (di lì a poco sarebbe salito al potere Mussolini) iniziò a progettare una linea veloce che collegasse Roma con Napoli con un percorso più favorevole, in pianura, via Campoleone/Formia. Sempre in occasione della bonifica la ferrovia torna in primo piano in quanto viene creata una fitta rete di ferrovie decauville a servizio dei cantieri della bonifica, e tali linee avevano il loro punto d’incontro con la rete FS proprio nella stazione di Sermoneta. Il primo tronco della nuova linea direttissima entra in servizio il 17/02/1922 e viene raccordato alla linea Pontina tramite un allacciamento provvisorio , denominato. Bivio Sonnino posto al Km 86+97 .

I primi treni per Formia - Napoli seguono così l’tinerario via Velletri - Bivio Sonnino - Formia. Fu un breve periodo di intenso traffico per la linea, che si trovò ad essere parte del primo collegamento diretto con Napoli, e questo fece sperare in generici provvedimenti di potenziamento (venne addirittura ipotizzato un collegamento Terracina - Nettuno) ma la situazione fu di breve durata. Il 28/10/1927 viene completata la  nuova direttissima per Napoli, che comprende anche la nuova stazione di Priverno - Fossanova. Tutto il traffico diretto a Formia e Napoli viene così deviato via Campoleone - Sezze Romano – Priverno Fossanova. Sulla linea Pontina resta tutto il traffico locale che può immettersi nella nuova stazione di Priverno Fossanova tramite una nuova variante (con un’ansa molto marcata) Sonnino – Priverno Fossanova. Viene soppresso il vecchio tracciato da Sonnino al Bivio Sonnino. A partire dal 1928 la città di Piperno viene rinominata Piperno. E anche la stazione cambia ovviamente nome.

A partire dagli anni '30 alcuni servizi vengono affidati alle automotrici: le famose  serie ALn 56.2000 che anche su questa linea ottennero buoni risultati e permisero di abbreviare i tempi di percorrenza. Lo scoppio della seconda guerra mondiale, colpisce però duramente anche la ferrovia Pontina, che viene a trovarsi, tra l’altro in piena zona di operazioni (a seguito dello sbarco di Anzio): si riesce a mantenere attivo il servizio fino al 1944 quando i danni di guerra ne impongono la sospensione. Nonostante molti dubbi sull’utilità di ricostruzione  i lavori di ricostruzione iniziano rapidamente: il 31 Dicembre 1946 vengono riattivati i tronchi Velletri – Norma- Ninfa e Sezze Romano – Priverno - Fossanova. Resta interrotto il tratto da Sezze Romano a Norma – Ninfa che verrà riaperto solo il 4/05/1947. Completata la ricostruzione torna il traffico prettamente locale sulla ferrovia, che inizia a mostrare i primi segni della concorrenza da parte del nascente traffico su gomma.

Di anno in anno la ferrovia vede calare drasticamente il traffico viaggiatori e merci, tanto che alcuni servizi vengono addirittura svolti con le Ne 120. In pieno periodo di boom automobilistico e di politica di primi tagli alle linee secondarie, il futuro per la linea Pontina non è affatto roseo. L’elettrificazione della sola linea da Ciampino fino a Velletri, errori di valutazione ed errati tentativi di migliorare l’offerta (come la carrozza diretta Roma - Terracina via Campoleone Fossanova) diedero il colpo di grazia alla linea, che, dopo soli 10 anni dalla sua completa riapertura viene chiusa. I treni per Terracina, a partire dal 1/12/1957, vengono deviati via Campoleone /Fossanova, mentre i servizi locali Velletri - Sezze - Priverno venivano affidati ad autoservizi sostitutivi Neanche un anno dopo, il 7/10/1958 sulla Gazzetta Ufficiale viene pubblicato il decreto ufficiale di soppressione: in brevissimo tempo l’intera linea sarà smantellata, con una solerzia mai vista prima. Resta così aperto all’esercizio il solo tronco Priverno - Fossanova - Terracina il cui futuro è tutt’altro che roseo, specialmente per il breve tratto Fossanova - Priverno, interessato da un traffico essenzialmente locale e scarso, tanto che in breve il servizio viene ridotto a due coppie di treni effettuati da una motrice diesel Ne 120 (la odierna D143) inframmezzata da una carrozza a due assi BI 35.000 e da una a 3 assi BDiy 67.400 (mista passeggeri e bagagliaio).

Oltre a questo curioso servizio passeggeri sopravvive un discreto traffico merci generato da una cava di sabbia posta nei pressi di Sonnino che utilizza per il carico dei carri l’ex scalo merci della (ormai ex) stazione di Sonnino. Le cose vanno leggermente meglio nel tratto (di soli 18 Km) Fossanova - Terracina interessato da un discreto traffico passeggeri, che rimane però affidato alle ormai anziane ALn 56.2000. Gli anni 60 vedono arrivare le affidabili ALn 668.1400 del DL di Roma San Lorenzo che sostituiscono le ALn 56. Agli inizi degli anni '70 appare sempre più evidente l’inutilità del tratto Fossanova - Priverno, relegato ormai ad un modestissimo servizio pendolare, tanto che i treni sono ormai composti da una locomotiva da manovra del Gruppo 245 ed una carrozza BI 35.000. Inevitabile che da più parti si inizi ad ipotizzarne la chiusura... addirittura c’è chi, spingendosi oltre, vorrebbe anche la chiusura anche della linea per Terracina, ma visto l’ampio interesse locale ed il traffico discreto, se ne decide invece il potenziamento. Ma dovranno passare ancora alcuni anni prima di vedere l’inizio dei lavori.

Finalmente vengono intrapresi lavori di rinnovo dell’armamento e si decide anche di elettrificare la linea, in un primo momento fino a  Priverno, poi, visto il traffico Velletri – Colleferro all’altezza del casello di Giovanni Andreozzi e Pignataro praticamente nullo, si decide di limitarsi ad elettrificare la sola tratta Fossanova - Terracina. I lavori, rimandati di anno in anno si concludono finalmente il 26/09/1982, e con l’avvenuta elettrificazione migliorano anche i servizi pendolari, con le ALn 668.1400 che cedono il posto alle ALe803. Nel frattempo cessano anche i servizi su Priverno a causa della ormai scarsissima frequentazione, anche se la linea continua ad essere ancora ufficialmente aperta al traffico...la sospensione ufficiale arriverà con il famoso decreto Signorile, che non farà altro che ufficializzare una chiusura di fatto avvenuta già anni prima. A dire il vero l'esimio Ministro (passato alla storia solo per aver selvaggiamente chiudere Km e Km di binari) prevedeva la chiusura dell’intera linea fino a  Terracina, ma i lavori da poco completati e le proteste degli (allora) numerosi pendolari salvarono la linea. La linea fino a Priverno resta in vita ancora alcuni anni, esercitata in regime di raccordo, per il traffico merci di sabbia, caricata a Sonnino, finchè la ditta troverà molto più conveniente trasportare la sabbia direttamente presso la stazione di Priverno - Fossanova. Scampata al rischio chiusura la linea prosegue la sua di ferrovia secondaria, anche se la scarsa consistenza dei centri toccati fa si che il traffico passeggeri (quello merci ormai è scomparso da anni) sia solo ed esclusivamente dei pendolari diretti a Terracina, anche se nella stagione estiva la linea viene interessata da un discreto traffico di bagnanti. Alla fine degli anni '80 però, si assiste sempre più ad una drastica riduzione delle corse, mentre le ALe 801/940 sostituiscono le ALe 803. Nel 1995, per risparmiare sui costi di gestione, viene soppressa la Dirigenza Unica (ormai di fatto inutile), automatizzando tutti i PL presenti in linea ed impresenziando la stazione di Terracina.

La linea viene così gestita con il sistema a spola. Al contrario di molte altre località, che vedranno un taglio di tutti i binari non più utili all’esercizio, la stazione di Terracina viene lasciata così com’è, limitandosi a sopprimere il segnalamento esistente ed installando un paraurti al termine del binario 1. Sempre nel 1995, cessati i servizi merci su Sonnino, i primi Km della vecchia linea per Priverno diventano un immenso deposito di carri accantonati che in breve arriveranno ben oltre la stazione di Sonnino stessa.

 

Sempre in questo 1995 però le FS decidono di sopprimere i treni nel periodo estivo, da Luglio a Settembre sostituendoli con autocorse. Sembra il preludio ad una chiusura definitiva, ma subito si levano decise le proteste dei pendolari, che (a ragione) temono di non vedere più ripreso il servizio ferroviario Le vibrate proteste dei pendolari (una volta ogni tanto) riescono ad avere effetto e le FS fanno marcia indietro e decidono di riaprire la linea. Il 25/09/95 viene così istituita una coppia di treni regionali (numerati 34371/34370) da Roma Tiburtina - Terracina e vv. con fermate a Latina e Priverno - Fossanova. In seguito tale treno viene classificato come diretto (3377/3376). Questa coppia di treni è stata composta da diverso materiale nel corso degli anni: inizialmente si è partiti con una composizione di E 656 o E 646 + carrozze MDVC o carrozze a piano ribassato (a seconda della disponibilità di carrozze a Roma Smistamento); poi, a partire dall’inverno 1996-1997 lo vediamo formato da E.646 o E.656 + carrozze MDVE del DL Ancona; alla fine (a partire dall’inverno 1998-1999) questa coppia di treni è formata da ALe 801/940, o a volte da E646 + carrozze MDVC .

E’ da segnalare che, nonostante non fosse indicato in orario, già dall’estate 1996 tra Terracina e Fossanova il pomeriggio e tra Fossanova e Terracina la mattina il treno non era più classificato come da ma come infatti potevamo caricare senza problemi i (pochi) passeggeri .Nel mese di gennaio del 2002, anche a causa delle proteste degli abitanti della zona, la lunga fila di carri merci accantonati da anni che arrivava fino alla fermata di Sonnino è stata finalmente rimossa ed i carri inviati alla demolizione, inoltre la linea per Terracina è stata utilizzata per delle prove di frenatura, svolte a cura di RFI, di alcune locomotive Trenitalia.

Sempre nel 2002 vengono definitivamente soppresse le fermate di Gavotti e Ruderi di Sibilla, la cui utilità è stata sempre quasi prossima allo zero a causa della mancanza di centri abitati nelle vicinanze delle fermate. Una buona notizia la porta l’inverno del 2003. Il nuovo orario aggiunge altre due coppie di treni a quelli già esistenti, e la notizia ancora migliore è che entrambi i treni sono da/per Roma. Inoltre anche su questa relazione vengono immesse le nuove locomotive E 464. Intanto la vecchia linea per Priverno torna di nuovo ad essere un immenso deposito di carri merci. Un piccolo passo verso la salvezza è stato fatto, anche se siamo ben lontani dai periodi di massimo splendore della linea, e il pericolo di chiusura non è stato del tutto allontanato. Nei sogni degli appassionati del Lazio resta il ripristino della linea Priverno - Sezze...la sede c’è ancora tutta, le stazioni anche, ma mancano i soldi e la volontà, e, probabilmente, il tutto resterà solo un sogno, anche se ciclicamente saltano fuori faraonici progetti di ricostruzione della pedemontana: progetti che lasciano il tempo che trovano.

Sebbene il tracciato sia quasi del tutto intatto una riapertura su un percorso identico al passato non renderebbe affatto competitiva la ferrovia, mentre eventuali varianti di tracciato farebbero lievitare ancora di più i costi di riattivazione, costi che al momento nessuno sembra voler sostenere. La Roma – Velletri vede potenziare sempre di più il traffico passeggeri e calare quello merci che portò alla chiusura dello scalo veliterno negli anni settanta. Bisogna arrivare al 7 Settembre del 1980 per trovare l’ultimo evento storico degno di nota. Il Papa Giovanni Paolo II, accettando l’invito dell’allora Vescovo di Velletri Dante Bernini venne in visita in città. Ad accoglierlo in piazza Cairoli il Sindaco Patrizio Saraceni. La visita prevedeva un nutrito programma che lo vide presente anche alla stazione dove venne accolto dal capostazione Nello Fabei e dal balcone sulla piazza pronunciò un discorso di circostanza che riportiamo :

 

Illustri Signori, carissimi figli!

Nel rivolgerci il mio cordiale saluto, unito ad un vivo ringraziamento per l’accoglienza calorosa che mi è stata riservata, desidero esprimere la mia gioia per questo incontro, che mi consente di ricordare la sosta che qui fece il mio Predecessore Pio IX di v. m., in occasione del viaggio con cui inaugurò il tratto di ferrovia Roma - Velletri. La visita pontificia alla città di Velletri fu allora dovuta proprio a tale avvenimento di notevole rilevanza sia tecnologica che sociale. Mi piace interpretare la presenza in questo luogo del grande Papa, in tale circostanza, come una testimonianza significativa del favore con cui la Chiesa segue ogni scoperta dell’ingegno umano ed ogni realizzazione di autentico progresso. La Chiesa, infatti, si studia di sostenere e di incoraggiare l’impegno dell’uomo nella conquista del mondo in forza della missione che le è propria, quella cioè di illuminare con la luce del Vangelo ogni realtà dell’ordine temporale. Così è stato, nonostante momentanee incomprensioni, nel passato; così è anche oggi. Ecco il rapido pensiero che mi è caro lasciarvi come ricordo della mia visita, una visita che ho inserito volentieri nell’odierno programma, perché non volevo mancasse una particolare attestazione di stima e di apprezzamento per voi e per l’importante lavoro che quotidianamente svolgete. A conferma di questi sentimenti ed in auspicio di ogni desiderato favore celeste, vi concedo di cuore la propiziatrice Benedizione Apostolica, che estendo a tutti i vostri colleghi ed alle rispettive famiglie.

 

Nel mese di Gennaio del 1992, la vita della stazione di Velletri viene sconvolta dalla tragica notizia dello scontro frontale tra due treni avvenuto alla stazione di Casabianca. L’incidente è di quelli seri. Lo ricostruiamo attraverso un articolo di Valentina Leone pubblicato dalla testata online Velletri life diretta da Rocco Dalla Corte figlio di ferroviere:

“Era un lunedì di gennaio del 1992.

Lungo la via Appia sfrecciano le ambulanze, l’effetto Doppler anticipa la loro venuta insieme al lampeggio blu intenso, abbacinante nell’oscurità ancora profonda.  Un impatto inaspettato e non auspicabile per la sua violenza, frutto di un errore umano irraggia nell’immediato un senso di inquietudine per l’accaduto. Dall’archivio di Repubblica riemerge la voce di chi ha provocato l’incidente: «Che hai fatto? Non doveva partire! L’altro non è arrivato ancora. Dio mio si scontreranno!»

Quando ha visto quel treno allontanarsi sul binario della stazione di Ciampino, il mio collega, l’altro capostazione, è arrivato di corsa dal bar, urlando, e mi ha detto così. Allora ho capito che avevo fatto un errore tremendo. Sudavo freddo dalla tensione. Siamo corsi al telefono. Dovevamo fermare quel maledetto convoglio o l’altro. Abbiamo chiamato la stazione di Cecchina per bloccarlo, ma era già passato. Poi un casellante, ma non c’era, il numero suonava a vuoto...Ero terrorizzato. Alla fine ha risposto. Era passato anche lì. Ed è arrivata la notizia dello scontro, i morti, i feriti...Dio mio. 

Potrebbe sembrare l’inizio di un racconto eppure se lo appare è denso di una triste realtà, nasconde sotto le sue pieghe una brutale denuncia alla noncuranza e alla superficialità. Giunta la notizia il cinquantenne Sossio Dolce, ferroviere da trent’anni da poco promosso a capostazione, suda freddo, rimane immobilizzato e, consapevole di aver provocato un disastro non più rimediabile, si dà alla fuga, colto da un istinto difficile da contenere. Intanto lo scontro in velocità e l’inferno.

Quel treno, poco prima inconsapevolmente partito da Ciampino con tanta sicurezza, non avrebbe terminato la sua corsa a Velletri e avrebbe impattato, presso Casa Bianca, contro il treno proveniente dal senso opposto che aveva appena lasciato la stazione di Santa Maria della Mole. Così il 27 gennaio 1992 corrono le ambulanze per salvare le vite disperse e abbandonate sui binari, il numero dei feriti sale sempre più, rimangono incerte le morti. Intervengono i vigili del fuoco a soccorrere le persone rimaste intrappolate nel cruento scontro frontale, estraggono il corpo esanime di uno dei macchinisti illuminati solo dalle fotoelettriche perché il sole ancora è timido a gettare luce su un massacro. Sossio vaga per la campagna, contatta i suoi più cari amici e dopo un’ultima telefonata alla famiglia si costituisce al capitano dell’Arma di Castel Gandolfo. Centonovantadue feriti, sei morti e l’accusa di disastro ferroviario aggravato colposo e di omicidio colposo plurimo. Un unico istante, una distrazione minima ma essenziale, ha segnato e sconvolto la vita di sette uomini e delle persone che li amavano.

Le reazioni dell’opinione pubblica variano, si confondono tra loro comprensione verso i limiti dell’uomo e l’inaccettabilità di un simile errore negli anni ’90, nell’era di un progresso che si è rivelato troppe volte beffardo. Anzi, proprio i ferrovieri e soprattutto i sindacalisti pongono sotto accusa non l’uomo ma l’inadeguatezza della linea di collegamento tra Roma e Velletri.

Un solo binario non basta per controllare il traffico ferroviario, tutto è in uno stato precario: i macchinisti, privi di radiotelefono, non possono bloccare in caso di emergenza un convoglio; le partenze, gli arrivi sono affidati a una semplice corrispondenza telefonica tra capistazione ed è sufficiente uno squillo andato a vuoto per generare un’incomprensione, per innescare un’inutile strage. Ecco che il racconto intessuto di vero diventa realtà due volte perché oltre a testimoniare qualcosa che è successo nel passato, ormai ventiquattro anni fa, potrebbe avere ancora presa nel presente. I morti, i feriti, ci insegnano sempre a rimediare,a tentare di migliorare le cose nel momento immediato.

Ma dai disastri è veramente possibile imparare? Si può progredire sulla pelle degli altri e a scapito della loro esistenza? Forse no, ma probabilmente dobbiamo a quei sogni infranti qualcosa di più che vane speranze e progetti rimasti allo stadio di crisalide. Sarà, ma dal 1992 di tempo ne sembra passato, eppure sulla linea Roma – Velletri rimane indefesso, quasi ovunque, quello stesso binario unico - seppur con le innovazioni tecnologiche di sicurezza volte ad impedire simili episodi- che vide lo scontro mortale tra due treni.

 

Dall’Unità dell’29 Gennaio 1992

IN CARCERE IL CAPOSTAZIONE: “ E’ COLPA MIA?”

Fs sotto accusa non si è potuto fermare il treno della morte

di Claudia Arletti

 

ROMA. -È colpa mia», ha sussurrato davanti ai carabinieri il capostazione Sossio Dolce.

Gli occhi cerchiati, si è presentato ieri mattina all’alba in caserma, dopo una notte trascorsa senza sapere cosa fare. «Sono stato io»:

Lunedi alle 17,40, per errore, ha dato il via libera al diretto Roma - Velletri. Che, cosi, ha continuato la sua , corsa a cento all’ora, verso un «locale» fermo sui binari, appena qualche chilometro più in là . Ieri,è stata la giornata delle indagini, delle proteste, e del bilancio «definitivo». I morti sono sei: quattro ferrovieri e due passeggeri. Gli ultimi due cadaveri sono stati tirati fuori dalle lamiere all’alba, dodici ore. Dopo l’incidente. Tra loro, il macchinista Tommaso Cocuzzolo. morto «in diretta», davanti alle telecamere, dopo tre ore di agonia.

Nello scontro fra i due treni, violentissimo, molte persone sono rimaste ferite. Alcuni, però, hanno potuto tornare a casa. Negli ospedali di Roma e dintorni, ne restano una quarantina, almeno due ancora in gravi condizioni. Si è saputo anche di un fatto curioso: uno degli scampati è il vigile del fuoco che, la settimana -; scorsa, si è salvato per miracolo dal crollo di una scuola antiincendi, a Roma.

«Quel treno : l’avevo preso per caso, mi ero sbagliato», ha raccontato ieri, confusissimo, ai giornalisti. Un «errore umano», ma anche una serie di incredibili . coincidenze e disfunzioni. due treni avrebbero dovuto incrociarsi nella stazione di Ciampino. Invece, si sono scontrati in una stazione vicina. Che cosa è successo? A Ciampino, quando è arrivato il diretto da Roma; erano in servizio due capistazione. Sossio Dolce aveva il compito di accertarsi che la linea fosse libera, doveva tenersi in contatto con le altre stazioni del percorso e, dopo questo verifiche, fare un cenno al collega, perché  desse, dal marciapiedi, il via libera al diretto Ma qualcosa non ha funzionato. Mentre sopraggiungeva il treno, Alfredo Valente, l’altro capostazione, è andato a bere un caffè. E Sossio Dolce, rimasto solo, ha azionato il semaforo, dando la luce verde al convoglio. Forse, ha pensato che il «trenino» da Velletri (fosse già passato: i convogli, su queste linee, sono tutti dello stesso colore, gialli e arancioni. Il «locale», invece, era in ritardo di qualche minato, nella stazione di Ciampino doveva ancora arrivare, Quando fi stato dato il «via» al diretto, anzi, era (ermo nella vicina stazione di Casabianca. Due ferrovieri si sono accorti subito dell’errore. Alfredo Valente, vedendo passare il convoglio a tutta velocità, è uscito dal bar gridando al collega: «Perché non mi hai aspettato?». Poi, insieme, hanno cercato di evitare il disastro. Ma non ci sono radio, sui treni della vecchia linea Roma-Velletri, né telefoni. Impossibile comunicare. E, da Velletri a Ciampino, vi ò un solo binario: il diretto correva verso il «locale», senza che potesse essere «deviato». I due hanno tentato altre strade. Hanno chiamato una stazione vicina, dove ancora i binari sono doppi, sperando che i colleghi potessero azionare gli scambi e «deviare» il trenino. M

Ma il Velletri-Roma : era già partito da qualche minuto, ormai si trovava a Casabianca, una stazione in «disarmo», dove, per risparmiare, le Ferrovie, anni fa, hanno chiuso gli uffici. Altro tentativo; Hanno telefonato a un casellante che, forse, avrebbe potuto fermare il diretto. Nessuno - ha risposto alla chiamata. Ai due capistazione rimaneva, a questo punto, una sola, speranza: riuscire a levare la corrente a tutta la linea. Ma fi una cosa che si può fare solo ' da Roma. E il tempo per intervenire non c’era. I convogli si sono scontrati pochi minuti dopo che era stato dato il segnale «verde». Atterrito, Sossio Dolce è scappato. Ha preso l’automobile e, per tutta la notte, ha vagalo nei dintorni di Ciampino arrivando fino a Roma. Poi, in mattina all’alba, accompagnato dal sindaco del suo paese, si è costituito. Ora si trova nel carcere di Velletri. È accusato di disastro colposo ferroviario e omicidio plurimo. Anche Alfredo Valente, che si era assentato per il caffé, in giornata é stato sentito dal giudice. Non . ha ricevuto alcuna contestazione .

Nella stazione di Ciampino, ; i loro colleghi, mestissimi, ieri ; commentavano: «Sossio Dolce ha trent’anni di servizio alle spalle, è serio. La verità ò che chi lavora a Ciampino rischia ; la galera ogni giorno...». Rischia la galera? «SI, non ci sono ; garanzie tecnologiche, è tutto : affidato alla nostra capacità». E Alfredo Valente:

«Siamo l’unica stazione d’Italia dove, per gestire quattro linee, possiamo contare solo sulla nostra memoria e sulla vista, non abbiamo nemmeno il blocco per fermare le partenze in caso di emergenza... Una?- Forse no, - se ieri, per tutto il giorno, i sindacati, i pendolari, le associazioni di consumatori e di utenti, i politici di ogni partito, il Movimento federativo democratico hanno tempestato i giornali con comunicati che ripetono «La colpa è dell’Ente ferrovie, per risparmiare non garantisce nemmeno più la sicurezza» E cosa dicono le Ferrovie?

Dagli uffici romani, è uscito un fonogramma strano: «L’errore umano, anche nell’era del computer. Ma ciò non ci esime da responsabilità». Cioè: la colpa è di quei due capistazione, poi forse, in parte, c’entra l’Ente. Segue l’elenco delle decisioni, prese per «rinforzare» la rete Si scopre cosi che le Ferrovie prevedono di automatizzare le principali linee a binario unico (come quella dell’incidente) «entro i prossimi 24 mesi». E che fi stata varata una • campagna sulla sicurezza «per sensibilizzare i ferrovieri, della durata di tre mesi» Le accuse? Le proteste? Fantasie: il comunicato finisce cosi: «Non sono ammissibili speculazioni para-sindacali», «le ferrovie italiane

Rientravo dal lavoro in auto e il traffico sull’ Appia era bloccato sin dal GRA e non si capiva cosa potesse essere la causa. All’altezza di Ciampino si vedevano numerose muffole blu di ambulanze dentro l’aeroporto. Allo si pensò ad un aereo caduto; solo alla rotatoria della Via dei Laghi si capì che il problema interessava il treno. Mia cognata che viaggiava su quel treno venne proiettata contro la parete del passaggio tra carrozze e riportò serie ferite ma la raccontò. Altri non c’è la fecero

Giovanni Savelloni

Era il treno che ogni giorno prendevo per tornare a casa dall’Università, il diretto Roma Velletri delle 17.30 unica fermata Ciampino, che dire, quel giorno il professore, finì la lezione un’ora prima ed io presi il treno delle 16.30 … credo al fatto che ogni uno di noi ha il proprio destino segnato e sicuramente quel giorno qualcuno decise che io non dovevo rientrare con quel treno … mi vengono ancora i brividi a vedere quelle foto e ricordo ancora la corsa che feci all’ospedale di Velletri per avere notizie dei miei amici e di mio cugino che erano su quel treno

Eleonora Gasbarri

Ricordo l’urto che mi ha scaraventato contro la persona che mi stava seduta davanti e un pizzico forte dietro il collo. Ricordo che era tutto buio e la gente che sanguinava e piangeva. Dopo un po’ le ambulanze … un andirivieni che è durato ora. Non c’erano ancora i cellulari e molto gentilmente. Il titolare di un’agenzia immobiliare che stava lì subito dopo la stazione di Casabianca ci aveva messo a disposizione il suo telefono fisso per avvisare i parenti. Ricordo il buio. Il rosso delle luci fuori e il suono delle ambulanze. Ricordo urla e pianti

Lorella Karbon

Era il 27 Gennaio del 1992 avevo da poco smesso di lavorare a Roma, un mio collega mi accompagnò alla stazione laziale, arrivai all’ultimo minuto in prossimità dei binari convinto di non riuscire a prendere quel treno che andava a Velletri, ma la sfortuna quella sera ha voluto che riuscissi a prenderlo tante volte lo avevo perso. Quella sera faceva molto freddo salito sulla prima carrozza mi incamminai sul treno per trovare un posto, ed arrivai alla carrozza dietro i macchinisti trovai un posto e mi misi seduto, ma inspiegabilmente senza ragione dopo 5 o 6 minuti mi alzai e andai a sedermi due o tre carrozze più indietro riuscii a trovare un posto, essendo molto stanco e infreddolito mi sono seduto e assopito siamo arrivati a Ciampino. Dopo un po’ il treno riparte in prossimità della stazione di Casabianca sento un boato infernale. Io mi ritrovo scaraventato nel corridoio: gente che urlava e piangeva insanguinati altri imbambolati che erano riusciti a scendere andavano avanti e indietro. Avrei altro da raccontare ma mi fermo qui. Confermo scene infernali

 

Nicola Perciante

Dopo i fatti di Casabianca, molte cose cambiano sulla linea Roma – Velletri, viene potenziata la sicurezza prima affidata alle telefonate tra capistazione. Le belle stazioni della linea vedono il loro depotenziamento, man mano che i Capistazione fanno in pensione non vengono sostituiti e il presidio si riduce sempre di più. A Velletri nel 1995 con il pensionamento dell’ultimo titolare resta solo il bigliettaio Antonio Dalla Corte ma mantenere il controllo della stazione che con il pensionamento di questo resta senza presidio.

Sono gli anni in cui è avvolta dal degrado e in preda a continui atti vandalici che l’hanno ridotta ad essere terra di nessuno. Ma durante l’estate del 2021, un incontro tra la Fondazione Museo Luigi Magni e Lucia Mirisola e l’Associazione Apassiferrati nelle persone dei rispettivi presidenti Alessandro Filippi e Paolo Silvi sotto gli occhi attenti di Roberto Azzolina ha fatto nascere un progetto mirato alla valorizzazione e al recupero degli ambienti ormai dismessi del nodo ferroviario veliterno. Progetto immediatamente sposato da R.F.I. ente proprietario della struttura che attraverso gli architetti Francesca Alati e Matteo Mocci con la determinante collaborazione del Dr. Antonio Tomao ha portato in breve tempo alla concessione in comodato d’uso gratuito di quelli che sono stati gli alloggi del personale e la vecchia sala d’attesa alla Fondazione Museo Luigi Magni e Lucia Mirisola. Questo con la collaborazione dell’Architetto Umberto Magni e del Geometra Marco Silvagni con la sua Onefacility ha portato ad una attenta opera di restauro e riqualificazione degli ambienti concessi facendo nascere un polo culturale e turistico che ha portato in occasione del 160 anniversario dell’inaugurazione avvenuta come abbiamo detto il 27 Febbraio 1862 alla restituzione alla città dell’importante struttura.

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