MAGNI - IL TEATRO - RENATO RASCEL

I due si conobbero con i Caroselli, l’attore romano era stato il protagonista di alcuni di questi scritti proprio dal maestro. Si ritrovarono in teatro proprio per “Il Giorno della Tartaruga” La commedia segnò il tentativo degli autori di tentare sempre strade diverse per fare teatro musicale, di mettersi alla prova. Il pubblico del Sistina, abituato ai fasti del Rinaldo in campo, alla prima restò un po' sorpreso nel trovarsi di fronte solo una coppia di attori, peraltro piccoletti entrambi, circondati da ballerini e coro. Rimanendo i due sempre in scena, e interpretando anche altre parti, i camerini erano di fatto aboliti: utilizzando scenografie apposite, gli attori cambiavano costume sul palcoscenico stesso nel corso di cambi di scena. Anche questa commedia musicale fu tradotta e prodotta all'estero, al Théâtre Marigny di Parigi, con interpreti di primo piano come Annie Girardot e Philippe Nicaud.[Una versione televisiva, allestita con gli stessi attori con la regia di Carla Ragionieri, venne trasmessa sul Programma Nazionale della Rai il 7 agosto 1966. Nel giorno del proprio compleanno il geometra Lorenzo Lombardi (Renato Rascel) rientra a casa dal cantiere, dove lo aspetta la moglie Maria (Delia Scala). Già sa che Maria gli consegnerà uno splendido regalo. Impaziente, deve penare per averlo perché lei glielo vuole consegnare a un'ora stabilita, più tardi. Giunto il momento Lorenzo riceve solennemente il regalo, ma scopre che non è la cosa che desiderava e si aspettava, ma un oggettino insignificante. Delusione, rimprovero, discussione e ne nasce una rissa coniugale che si autoalimenta e si protrae per tutta le due ore e mezza dello spettacolo. Tutto della loro vita insieme, dal presente al momento in cui si sono conosciuti casualmente, viene richiamato e diventa motivo di bisticcio. E si litiga per una sequenza interminabile di cose: un tavolo da disegno, la cena del compleanno, l’orologio di Danton, una sigaretta, i parenti di lei, gli amici di lui, una serata al cinema, una gita al mare, un disco americano, un acquazzone d’aprile, un arcangelo radiante, una chiave, una telefonata interurbana, un panino, una febbre, un diario, un taxi, una visita notturna. E neppure evitano d'intromettersi gli invadenti parenti. Rinfacciandosi i momenti insopportabili che fanno parte della routine quotidiana, Maria e Lorenzo si trovano a ricostruire, fra rimpianti e nuove occasioni di bisticcio, anche gli episodi romantici che li hanno portati a unire le loro vite. Ciascuno, in un intreccio di simulazioni, ostenta verso l'altro un'inflessibilità che in realtà è debole, e gli nasconde il desiderio e la disponibilità a rappacificarsi, ma ogni tentativo fallisce e comporta la ricaduta nel risentimento reciproco. Finché non emerge una verità nascosta a chiarire il malinteso che ha scatenato tutto lo scontro.

Con Rascel si ritrovano ancora a collaborare in Venti Zecchini d’oro del 1968 commedia scritta da Magni con la regia di Franco Zeffirelli

La seconda opera rimasta nella storia del Teatro italiano, firmata  da Magni è come abbiamo detto Ciao Rudy del 1965, scritta con Garinei e Giovannini e con le musiche di Armando Trovajoli. Nel 1963, durante la tournée americana di Rugantino, i commediografi Garinei e Giovannini pensarono di portare in teatro la vita di Rodolfo Valentino. Per questo ruolo i due pensarono immediatamente all'attore italiano più famoso del momento, sia in patria che all'estero: Marcello Mastroianni, che accettò subito il ruolo e si cimentò nell'impresa con passione e abilità, mostrando non solo le sue doti di attore, ma anche quelle di ballerino e cantante. Il risultato fu eccezionale: lo spettacolo riscosse un enorme successo sia di pubblico che di critica ma, dopo alcuni mesi di tutto esaurito nei teatri, nonostante arrivassero offerte per portare lo spettacolo negli Stati Uniti, Marcello Mastroianni ruppe improvvisamente il contratto per poter lavorare con Federico Fellini nel film Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet, che non fu mai portato a termine. L'opera fu riproposta in una nuova edizione soltanto nel 1972, con Alberto Lionello come interprete principale.

Nel 1968 va in scena sempre al Sistina Viola Violino e Viola d’amore una commedia scritta con Garinei e Giovannini con le musiche di Bruno Canfora che ha visto il battesimo sul palcoscenico di Pippo Franco. Sul palco oltre a Pippo Franco le gemelle Alice ed Hellen Kessler ed Enrico Maria Salerno.  Arriviamo alla prima delle opere teatrali a sfondo storico romano e romanesco. Tema caro al maestro Luigi Magni, sul quale ha costruito tutta l’ossatura della sua filmografia. Con questa commedia dopo anni di cinema è stato restituito al Teatro il Brancaccio la storica sala di Via Merulana. Era il 1978, quando i tre Gigi ( Longobardi – Magni e Proietti) con una operazione culturale rimasta storica portarono in scena la commedia di Gaetanaccio.



La copertina del manoscritto della commedia di Ghetanaccio 



Una pagina del manoscritto 



La locandina dello spettacolo 


Una foto di Gigi Proietti nei panni di Ghetanaccio con dedica alla signora Lucia


La stessa commedia è stata riproposta nel 2018 a quarant’anni dalla prima edizione al Teatro Eliseo con nei panni del protagonista Giorgio Tirabassi e Carlotta Proietti nella parte della protagonista femminile. La città dei poteri forti, del sopruso legalizzato, la città sempre oltre il proprio limite, conosceva nell’Ottocento la sua massima espressione di impeto rivoltoso contro una società soverchiante, antilibertaria. È questo il contesto che Luigi Magni, autore della commedia, non sapeva di consegnare a un tempo come questo, oscuro e tenebroso forse più del tempo in cui l’ha scritta. C’è un attore, Gaetanaccio forse ritenuto fra i maggiori, che inizia la commedia avvinto in ceppi, imprigionato dai gendarmi per aver tentato di far teatro, in barba all’ordinanza imposta dal Santo Padre che ne vietava ad ogni livello la messa in scena. Ma Gaetanaccio sa, fin dal principio, che la vita dell’artista va in pari con la strada, che la rappresentazione è menzognera per chi non ne conosce l’intenzione, ma è verità per chi sa farne incanto e ribellione.

Innamorato, della vita e di Ninetta, vive di espedienti e attende alla luce delle gelosie ove l’amata si nasconde, è senza futuro se non di ore o di minuti, come un inviato della storia misura la distanza dei guitti e i poveracci dalla Roma del potere sovrumano, divino per mandato o per destino. Ma vive una società che costringe e pertanto crea una continua separazione tra chi si china di fronte al potere e chi reagisce e si dibatte, tuttavia creando una genia di personaggi ribelli non per vocazione ma per necessità.

La scrittura di Magni si avvale di un linguaggio allusivo e ironico, solo a volte troppo caricato sul piano della volgarità; la regia di Fares, che mescola al teatro la musica in scena e alcuni elementi di danza, è classica, come classica è la scenografia che riproduce un vicolo romano; il regista, che tuttavia la disperde un po’ verso il finale non molto a fuoco, propone una lettura  pulita e priva di contenuti sperimentali che non sembrano necessari a una simile operazione stilistica, contando sulla vena di Giorgio Tirabassi, abile a non cadere nella trappola del macchiettismo verso l’esempio Proietti (o di Manfredi, pensando al cinema di Magni) ma vitale e sapiente nel gestire lo spazio con il corpo e la voce, e sulla presenza di Carlotta Proietti che incarna un difficile ruolo di tradizione, senza perdere l’arduo confronto. Entrambi si caricano sulle spalle anche un repertorio di canzoni che corroborano la commedia rendendola briosa e talvolta emozionante.

Discreto, non altissimo, il livello del cast più allargato, con una punta di rilievo in Daniele Parisi cui spetta il prologo e il ruolo di governatore della città. Cos’è l’attore nella società? Sembra questa la domanda, perfettamente attuale, che passa per il corpo disgraziato di Gaetanaccio, come degli altri guitti vittime dell’ordinanza, un vinto dalla fame che però nell’amore riscopre una vitalità ulteriore, un nutrimento che può pure bastare all’esistenza. L’attore è un interprete del mondo, colui che sa acquisire i caratteri dell’esistenza per poi restituirli compiuti in una storia esemplare, in cui è definito il senso dell’essere al mondo. E di attori ne avrebbe bisogno questa società non più in grado di definire se stessa, che attraverso il passaggio in arte e l’impegno della trasformazione sarebbe rinfrancata, se non rinnovata. Ma se di artisti di teatro avrebbe bisogno, alimentati fin dalle fasi di ideazione e creazione dell’opera, stupisce un po’ trovarsi di fronte questo testo in un teatro di recente discusso per aver chiesto e ottenuto un grosso fondo ministeriale aggiuntivo, da utilizzare per la sola messa in scena e molto di rado per il monitoraggio e il sostegno alle compagnie più giovani e indipendenti, vittime di una indigente condizione che tanto somiglia alla vicenda di Gaetanaccio. Il teatro è un luogo di grande unità, di comunità tra gli uguali, ma c’è chi è un po’ più uguale degli altri.

Nel 1986, Magni torna in teatro con uno spettacolo sempre sulla sua Roma, quella Roma ottocentesca che conosceva come mai nessun’altro. Stiamo parlando della Santa sulla scopa. Divertente lavoro ambientato in una notte di San Giovanni (la notte delle streghe) nel seicento in piena controriforma. L’incontro di una presunta strega con una santa, è il filo conduttore della commedia teatrale. La vicenda si svolge nella seconda metà del XVI° secolo in piena Controriforma, epoca in cui tutto diventa blasfemo e stregoneria. Mentre si festeggia la notte di San Giovanni, rinchiusa in una prigione ascoltiamo la nostra Silvestra, una strega in attesa di essere portata al rogo. Poco dopo nella cella entra Apollonia, una suora chiamata ad assisterla nelle sue ultime ore. In un incontro-scontro si sveleranno le molte facce che caratterizzano l’animo femminile. La baruffa genererà una forte e dolce solidarietà femminile. La lotta tra il bene e il male, come in una favola che si rispetti, permette di guardare nel profondo dell’animo femminile e… apre le porte a risate assicurate in un testo tutto in romanesco.



Una celebre foto del primo allestimento de La Santa sulla Scopa teatro La Cometa 1986


Nel 1989 al Sistina vanno in scena i 7 Re di Roma, quello che può essere definito in assoluto il capolavoro teatrale di Magni. Si tratta di una leggenda musicale che racconta un particolare periodo della vita romana. Con le musiche di Nicola Piovani e protagonista assoluto Gigi Proietti gli spettatori che hanno affoltato lo storico teatro romano, hanno potuto godere di due ore mezza di musica e recitazione che hanno lasciato l’opera nella storia del teatro musicale.  Meravigliosi come sempre i costumi di Lucia Mirisola che hanno impreziosito non poco la rappresentazione.  I 7 sette re di Roma è una leggenda musicale in costume, scritta da Luigi Magni in due atti e venticinque quadri, che racconta le vicende della fondazione di Roma attraverso i suoi 7 Re: da Romolo a Tarquino il Superbo. In questo grande affresco storico, scorre la storia di Roma e dei suoi protagonisti, tutti magistralmente interpretati da un Gigi Proietti in stato di grazia capace di tenere la scena per oltre due ore e mezzo dando ad ognuno dei suoi personaggi simpatia, credibilità e fascino. Naturalmente, com’è nella tradizione di Magni, non mancavano allusioni e riferimenti alla realtà contemporanea. Al fianco di Proietti attore, che gioca magistralmente nell’interpretazione dei sette re e di altri personaggi della commedia, c’è il personaggio di Giano, l’attore Gianni Bonagura, che introduce e commenta gli avvenimenti e che spesso sembra avere il ruolo di regista dell’azione.

Ma il successo dello spettacolo era anche grazie al magnifico lavoro degli altri autori. Ad esempio Umberto Bertacca, che firmava le scene, che, costruite su due girevoli, furono capaci di strappare applausi a scena aperta come all’arrivo del carro del sole. O Lucia Mirisola, che ideò i costumi, coloratissimi e numerosissimi. O ancora Nicola Piovani che scrisse le musiche originali che accompagnavano tutto lo spettacolo alternando momenti di pura allegria a momenti più commoventi. O Micha Van Hocke, che, con il suo particolarissimo stile, ideò delle coreografie capaci di far muovere in maniera ammirevole la numerosissima compagnia che completava il cast.


                                         Gigi Proietti nei panni di "Tiberino" nei 7 Re di Roma

L’esperienza teatrale di Magni si chiude nel 2001 con i Figli della Lupa lo spettacolo andato in scena al Teatro Sistina è una favola con musica. Il mito delle origini viene riproposto dalla premessa: C’era una volta Roma che non c’era! In un contesto scrive Lucia Mirisola dominato solo dalla natura, si muovono insieme personaggi reali e fantastici: Romolo, Remo, la Lupa, fauni, ninfe e divinità del cielo, della terra e delle acque. Ma come vestirli senza potermi riferire alla civiltà romana che “non c’era”? Con molta fantasia, documentandomi con quanto ci è stato tramandato dalla pittura vascolare, dagli affreschi, le statue i bassorilievi delle civiltà greca ed etrusca, preesistente alla romana. Ho cercato, così di interpretare l’idea degli autori basata sul contrasto dei due fratelli: Romolo il costruttore e Remo il difensore della natura. L’amore della Lupa, la grande madre che sottintende la Dea Roma. E un cialtronesco Marte, dio della primavera e della guerra, presunto padre dei due gemelli. Il tutto in un gioco, comico e commovente che accompagna l’incanto di una favola. Protagonisti Valeria Moriconi, Maurizio Mattioli, Augusto Fornari, Michele La Ginestra strappato i ''Fatti vostri'' di Michele Guardi'. Scene di Uberto Bertacca e coreografie di Gino Landi, che guiderà uno scatenato corpo di ballo composto da venti ballerini. In tempi di glorie calcistiche e scudetti ancora caldi nulla di più appropriato a teatro, anche se Luigi Magni, cantore cinematografico della Roma papalina e risorgimentale si difende scherzando: '''I figli della Lupa'? Solo un pretesto spettacolare perché il lavoro nasce da uno struggente attacco di nostalgia. In tempi di revisionismo storico -precisa- siamo ritornati alle origini del mito e alle leggende legate a Roma''. Un universo popolato da divinità, quello di Luigi Magni. Ci saranno Romolo e Remo, naturalmente, la Lupa (Acca Larenzia, moglie del pastore Faustolo), Rea Silvia, Marte e Diana. ''Nel nostro spettacolo stravolgeremo certezze -aggiunge Magni- Si narra, per esempio, che Remo non fosse mai stato ucciso dal fratello e che morì di vecchiaia...''. Nicola Piovani, reduce dallo straordinario successo della 'Stanza del figlio'' di Nanni Moretti, si dichiara felice di questa nuova prova d'autore. ''Mi sento come quando da bambino cominciavo un quaderno nuovo. E poi mi affascina lavorare su ruoli e personaggi specifici. Una sorta di cantiere in progress che cresce durante le prove e l'incontro con gli artisti''. Alla sua prima prova d'attrice in un musical Valeria Moricone. La Moriconi, quasi 70 anni, di cui 40 passati a teatro, confessa di sentirsi orgogliosa. ''Una partecipazione, la mia, che mi consente di esplorare altre corde e di rimettermi in discussione -precisa- trasgredendo interpretazioni storiche. E poi non mi dispiace -conclude- poter rimanere nell'immaginario popolare nel ruolo della Lupa. Personaggio di grande fascino e indubbia presa''. Il musical sarà in cartellone al Sistina sino al 16 dicembre e poi in tournee a Milano, Napoli, Catania e Palermo.



 Un fermo immagine del servizio video sullo spettacolo


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