CONTRIBUTO DEL PROF. Federico Ognibene

 

Eccoci arrivati alla fine.

Come la fine? Di cosa?

Mettetevi comodi, è lunga.

 

Mi occupo di luce, un termine così ampio (o come mi piace dire, pieno) che racchiude una infinità di significati, tutti riconducibili alla vita, o almeno la vita come noi la conosciamo. Non c’è mai stato un singolo giorno in cui non siamo stati circondati dalla luce, ovvero, dalla percezione del visibile. Visibile: ciò che l’occhio vede. Ciò che vediamo è fondamentale per la nostra stessa esistenza, per la nostra storia, per i nostri ricordi, che diventano tali perché (spesso) li abbiamo visti. E li vediamo perché esiste la luce, da sempre. Chi si occupa di luce sa che spesso quest’ultima è trattata male, poco considerata o addirittura non considerata affatto, ma la luce è in realtà una forma di linguaggio, che riesce a farci provare sensazioni così forti che noi a volte non riusciamo a comprendere pienamente. E la luce, la nostra luce, si divide in due mondi distinti ma complementari: la luce naturale e la luce artificiale.

La luce naturale è quella del sole, ed è con essa che sono stati creati i ricordi dei nostri avi, fino all’alba dei tempi. Ed è anche grazie ad essa se 160 anni fa, durante un lungo tragitto in treno, i viaggiatori della nuova tratta Velletri-Roma provarono una sensazione che non si prova molto frequentemente: la meraviglia.

Grazie alla luce naturale, che ci accompagna (e che ci accompagnerà) sempre, proviamo sensazioni di meraviglia, così come proviamo una sensazione di vuoto, di tristezza, quando non siamo in sua compagnia.

Ma oltre alla luce naturale, esiste quella artificiale, ovvero quella prodotta dall’artificio dell’uomo. Ce ne sono state così tante di evoluzioni e di innovazioni, che sarebbe riduttivo anche solo ricordarne alcune, a discapito di altre, e quindi arriviamo direttamente (con un balzo di più di cento anni) ad oggi.

Comunicare è alla base della nostra società, e uno dei migliori modi di comunicare - e di raccontare -, è utilizzare la luce, che è a tutti gli effetti uno dei migliori linguaggi universali che possiamo riconoscere facendo un poco di attenzione guardandoci attorno.

Ai miei studenti dico spesso (anzi no, glielo dico sempre, a tutti) che la luce è come un pennello, mentre la tela è la superfice da illuminare, come illuminarla dipende solo da cosa si vuole raccontare.

Io creo gli strumenti per scrivere con la luce e attraverso di essa noi raccontiamo una storia, che potrebbe essere scritta su un monumento, in un ambiente, o che potrebbe essere utilizzata per veicolare altre sensazioni, come per esempio avviene nei film del Maestro Luigi Magni, che tra luce naturale e artificiale ha ricreato Roma, quella vera, quella popolare.

La luce è sicuramente una forma d’arte, ma occorre saper creare gli strumenti giusti, diversi per ogni contesto, attraverso i quali la luce diventa arte.

Il primo passo da fare per iniziare ad utilizzare la luce è semplicemente prendere coscienza che esiste un elemento che conosciamo da sempre, ma che solo in pochi sanno realmente maneggiare, poi bisogna iniziare a vedere.

L’inizio del viaggio verso la conoscenza è la curiosità. Il cammino verso la conoscenza è lo studio. La fine del viaggio è la consapevolezza.

 Cosa accomuna una ferrovia di 160 anni al cinema di Luigi Magni? La consapevolezza di saper creare meraviglia. Essere consapevoli di ciò che eravamo ci rende ciò che siamo oggi, ed è giusto celebrare ciò che eravamo unendo i racconti, quello di un Maestro del Cinema, e quello di una ferrovia che ha visto passare la Storia, quella vera, sui suoi binari. E per entrambi i casi, direi che la Luce qualcosa c’entra.

Fine del viaggio, motore, ciak, azione.



                                                            Federico Ognibene

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