RUGANTINO di Luigi Magni

Rugantino sta in cantina. Vaccepiano – che sarebbe l’oste – s’affaccia dalla botola e lo chiama:

-              Rugantino

-              Chi me vo?

-              Vié su

-              Nun posso

-              Viè su, te dico.

-              Nun posso: sto a vità er vino.

-              C’è uno che te vò dà ‘na cortellata

-              E’ giovane o vecchio?

-              E’ giovane

-              E’arto o basso?

-              E’ un gigante

-              Ecchime che vengo.

        E così detto, posa il boccale e viene fuori.

Rugantino è attaccabrighe o – come diciamo a Roma – je puzza de campà.  Difatti, appena fuori, il gigante incomincia a dargli un sacco di botte. Lui se le piglia tutte e scappa via; scappa per essere romano classico chè è risaputo, pure gli Orazi scappavano; ma per strategia. A Rugantino le botte non gli fanno paura perché è avvezzo a pigliarne. E mentre quell’ lo scocuzza, gli da per ricevuta, tante altre chiacchiere.

-              Panza da vermini !

-              Io me te magno er fritto !

-              Te metto le budella in mano ….

 Insomma gli snocciola il suo rosario d’improperi, fino a quando quell’altro non si stufa di sentirlo, e lo lascia perdere. Rimasto solo, Rugantino si rialza da per terra, e con un grugno da impunito dice tutto beato:

          - Me n’ha date, ma je no dette!

E’ la rivincita dell’intelligenza in un modo manesco, di mala grinta, qual’era Roma ai vecchi tempi della nostra storia, un mondo popolato di greci, svelti più di coltello che di lingua. Difatti che dice er greve?

-              Chi vò parlà co’ me, caccia er cortello!

Ed in fondo è giusto: le chiacchiere stanno sempre a zero. Il coltello invece, farà qualche morto, ma intanto dimiusce le disgrazie ; e l’ordine civile si regge appunto perché – come diceva quello – “ er mejo amico suo ce l’ha in saccoccia” Rugantino invece ha la saccoccia moscia, che del coltello, lui, ha sempre avuto una paura buggerosa. Ma siccome ha pure il grugno duro, e passa per un greve, gli tocca essere, lo stesso tipo tosto ma a parole. E, a parole, è d’un coraggio da leone. Anche questo, però, non è un merito da niente; la chiacchiera ha sempre fatto effetto con le donne. E in quanto a Donne, Rugantino bisogna lasciarlo perdere. Eccolo lì, tutto impaianato col cappello a due pizzi, il gilè e il frak rosso, alla moda dei magazesi, le scarpe con le fibbie e l’aria fumantina. Sta di punta sul cantone della strada. Se passa una ragazza – fosse pure brutta come il peccato – lui ha sempre la galanteria, il complimento ciovile e lo stornello:

“fiore d’argento

la camminata tua me piace tanto …”

E bisogna vedere quella come diventa rossa, e come se lo mangia con gli occhi, pure se intanto, dice schizzignosa:

-              ‘ A Rugantì, lassame perde.

E passa via.

Gli amici dell’Osteria del Tempo Perso dicono a Rugantino:

-              Va bè, nun c’è questione, con le donne sei bravo. Però com’è che cò Rosetta nun ciai provato mai? Che, gniente gniente, te metterebbe scrupolo er marito?

-              A chi? A Rugantino gli salta subito la mosca al naso.

-              Quanto ce scommettete che cò Rosetta me ce metto a letto?

Dice Rubbastracci:

-              Bada, che a letto te ce mette er marito.

Dice Ciancaribella:

-              A panza per aria, cò quattro ceri intorno.

-              Quanto ce scommettete? – intigna Rugantino. E siccome nessuno ci scommette niente, quello si arrabbia anche peggio.

-              Sta bono, Rugantì. Nun te compromette …

Gli dice un tipo buffo tutto azzimato come un abatino; con la cravatta e le scarpette scollate neanche fosse venuto lì a ballare il minuetto.

Invece è Mastro Titta, carnefice di Roma, che sé fermato a bere una fojetta prima di andare a messa.

E Rugantino, tanto per cambiare, cerca proprio rogna, che il marito di Rosetta, Gnecco Sturbacapoccia detto er Matriciano, è un greve che, a vederlo, metterebbe scrupolo a chiunque. Con la bombetta alta di ramoshè appoggiata sulla testa, la giacchetta di velluto buttata sulla spalla dritta, la fascia di velluto buttata sulla spalla dritta, la fascia di “uso romano”, rossa fiammante intorcinata ai fianchi, le scarpe di pelle con certe fibbie che quando cammina gli suonano sui selci come se fossero speroni, gira per Roma con la faccia amara sottobraccio a Rosetta. E guai a chi, sia per sbaglio, le butta gli occhi addosso! Lascia la moglie e piglia di petto il poveraccio.

 

Che ciai da gaurdà?

-              Io ? E chi te conosce … li porci?

-              Abbottate! 

 Gli intima er Matriciano e quello, vista la mal parata, si abbotta; cioè gonfia le guance con tutto il fiato che cià in corpo, tenendo la bocca chiusa, senza rifiatare. Er Matriciano gliela sgonfia con uno schiaffone.

-              Avvò

Lo rigira per le spalle, gli da un lattone sul cilindro, e un calcio in culo.

-              Vattene a casa, zitto! E se t’arivorti te sottero.

Ma se il martito ruga e fa il grevaccio, Rosetta se ne frega e passa via. Cammina superbiosa e guarda dritto avanti, senza dare confidenza a nessuno. E tutta Roma resta a bocca aperta davanti alla bellezza che ha ispirato un mezzo centinaro di quadri e d’altrettante statue.

Difatti Rosetta “posa” da modella e classici e romantici, pagani e nazzareni, a forza di pennelli e di scalpelli si ammazzano ogni giorno a riprodurre le sue forme perfette.

Dicono che davanti a Rosetta nuda. Davanti a quel capolavoro di natura, pure il Divino Canova, in un giorno di sconforto, abbia sentito la pochezza della propria arte e, amareggiato,abbia buttato il trapano e il martello. Un quadro dell’Agricola, raffigura la Vergine Camilla, cui Rosetta le ha prestato le sembianze, si ammira in casa Bonacorsi. E’ una bella notte romana, illuminata dai tizzoni accesi che valletti in gran livrea reggono sulle scale del palazzo. Dai saloni, rallegrati dalla musica di Cimarosa, vengono le voci degli invitati, signore, cardinali, diplomatici, addetti d’ambasciata e via discorrendo. Il Cardinale De Gregorio, presenta suo nipote arrivato fresco fresco da Parigi; Monsù è bel zitello dall’aria piacevole e libertina che magari stuzzicherebbe pure la curiosità di qualche nobildonna. Senochè quello, come un allocco, resta tutta la sera a contemplare il quadro. Poi, prima di andarsene si informa:

-              Chi è? Domanda al Cardinale Spina.

E quello, in buona fede:

-              Mi faccio meraviglia! E’ la Vergine Camilla.

-              Dicevo chi è la modella.

-              Come, non lo sapete? Ah. già … voi siete forastiero.

Questa è la famosa Rosetta che abita a li Tre Arci trentasei … Ma, dico, giovanotto non vi mettete niente in testa, che quella cià un marito greve assai !... Monsù si mette a ridere, che, al suo paese, quando un gentiluomo piglia interesse ad una popolana, il marito ne è contento come una Pasqua:anzi favorisce in ogni modo la relazione perché da queste ha sempre da cavarci il proprio tornaconto.

Voi direte, “ ma è un cornuto!”. E che significa? I maganzesi sono gente civile che, non a caso, ha fatto la rivoluzione, e di certe fregnacce se ne frega. I Romani invece sono tutta un’altra musica. Pigliate er Matriciano, per esempio. E’ vero che manda la moglie in giro per gli studi di pittura e di scultura, a spogliarsi nuda sotto gli occhi degli artisti; e con questo? Gli artisti ricopiano Rosetta: punto e basta. Però nessuno la tocca con un dito. E in cambio lui riscuote dei baiocchi. Basta, succede che Monsù si mette in testa di conoscere Rosetta di persona e, tanto per conformarsi al costume dei romani, dice

-              Una sera di queste voglio dedicarle una serenata.

Quando la moglie “posa”, er Matriaciano monta di sentinella fuori della porta. Oggi pare la Lupa di Campidoglio: passeggia avanti e indietro sulla porta dello studio di Thorvaldsen, lo scultore danese che s’è fatto romano, e la sera piglia le sbornie fisse a Ponte Mollo, all’Osteria dei Paciocconi. Nello Studio lo scultore, dritto in piedi su una scaletta, schizza a carbone su una tela, il contorno di una fanciulla stesa in gran cordoglio sopra lo scalino di un monumento funebre. Rosetta, tutta nuda, e con i capelli neri contornati di ramoscelli d’edera, che le cascano sulle spalle bianche e sopra il seno, “posa” immobile in mezzo alla stanza. Ma abbozzata sulla tela vicino alla figura della fanciulla, c’è pure la figura di un uomo; un angelo pare, a prima vista, o un genio, sotto il catafalco, che fa da piedistallo alla statua di Monsignor Governatore di Roma, chè lo scultore sta appunto studiando il cenotafio da innalzare a Sua Eminenza Reverendissima, morta giusto in quei giorni.

 

E intanto si arrabbia:

-              Ma Bellachioma quando arriva?

-              Ecchine!

Si sente dire, un modello nudo, lungo e secco come il malanno, esce di corsa da una porticina accomodandosi le ciavatte da gladiatore, e un serto di alloro che gli spennica sulla fronte. Corre vicino a Rosetta e si mette in posa. Lei lo guarda un attimo, e accorgendosi che non lo ha visto mai, ha un gesto di pudore, e si copre il seno con la mano dritta

-              Ma voi chi siete?

Gli strilla lo scultore dalla scala, discorrendo romano come  uno di nojaltri, ma con l’accento buffo.

-              So Rugantino

replica il modello da burla, per piazzarsi a fianco di Rosetta nuda, s’è fatto complice il modello vero. – Bellachioma s’è inteso male, e m’ha mandato a me.

E Thorvaldesn a brutto muso:

-              E mo’ ve ce mando io pure … a moriammazzato! Me dispiace assai ma er fisico nun ve se presta. Difatti Rugantino è troppo secco per “posare” da genio della Fede: e lo scultore gliene spiega le ragioni.

 

-              Famo così – propone Rugantino – tajamo er male a mezzo: visto che quello è il monumento a Monsignor Governatore, lassate perde er “Genio della Fede” che ciazzecca poco, ew schiaffatece sotto er “Genio della fame”

Gonfia il petto e mette in mostra le costole – Guardate che bel mucchio d’ossa! Basta lo scultore taglia corto: è

-              Bè, va bene. Mettetevi la. Vorrà dire che farò qualche studio di composizione. – E mentre quello disegna, Rugantino, appoggiato a una colonnetta, comincia a guardarsi le forme di Rosetta con gli occhi spudorati.

Lei diventa rossa come un peperone e se le copre. Ma lo scultore, che pensa al suo lavoro, la richiama:

-              Bona Rosetta. Nun te move!

E allora quelle deve rimette in mostra. Rugantino s’ingrifa e s’affissa a guardarla peggio. Rosetta schizza veleno.

-              Io me te magnerebbe er core! – gli diced piano per non farsi sentire dall’artista.

-              Io me te magnerebbe de baci! Replica Rugantino con gli occhi da pesce fracico.

Poi, un movimento di Thorvaldsen sceso dalla scala. Lo scultore esce per prendere una cosa e Rugantino le zompa addosso che Rosetta nuda e cruda com’è,oltre che indifesa, pare un boccone facile. Ma tutt’un botto, quella si mette una mano tra i capelli e, da una treccia sciolta, caccia fuori un coltello “uso misericordia”. Rugantino fa appena in tempo a scansarsi che, dio salvati fratello, un altro po’ una botta lo stende morto.

-              Abbada che te spanzo!

Una mano al coltello, e l’altra a coprirsi il petto. Rosetta lo minaccia, con gli occhi neri spalancati; tanto che Rugantino con rispetto abbassa subito la cresta. E per quel giorno finisce lì

 

Da dietro ai Coronari, San Trifone batte il mattutino. Non passa un cane. Alla luce di una madonnella inalberata su un cantone, tre o quattro grevi, sotto la loggetta chiusa, armano gli strumenti: chi una chitarra, chi un fischietto, chi una mandola. Monsù sta riparati dentro un portoncino; guarda la finestra, e sospira che finalmente adesso vedrà al naturale la Vergine Camilla che l’ha stregato dalla tela del pittore. Da il segnale e i suonatori attaccano. Uno canta:

“Fiore d’erba bella

Più cresce fiume e più legna viè a galla

Più t’arimiro e più me pari bella!

La finestra resta chiusa e la voce riattacca. Non ha finito il ritornello quando, in fondo alla strada, si sente un fischio. Viene Strappalenzola di corsa:

“ Squajateve, regazzi. Arriva er Matriciano!”

Monsù esce dal portoncino con la flemma.

-              Fermi! Niente paura!

Lui si crede che un omaggio così, una serenata, non può far dispiacere nemmanco al più geloso dei mariti. Difatti, come arriva er Matriciano gli va incontro con la bocca risarella:

-              Ben arrivato.

E quello zitto. Si leva la giacchetta, se la intorcina al braccio poi, tutt’un botto, caccia il coltello

      Monsù ci resta come un pizzico si sale!

-              Ma che famo? E’uno scherzo?

Si guarda intorno con gli occhi stralunati. E i suonatori zitti: ma pare che non si fanno meraviglia. Anzi Scariotto posa la chitarra, caccia pure lui il coltello e, senza aprire bocca, lo porge a Monsù, reggendolo per la lama. E solo adesso il maganzese capisce che gli tocca battersi a duello. Siccome è gentiluomo, zitto zitto si leva la mersina, dà di guanto al coltello di Scariotto e si mette in guardia.

Un attimo dopo:

-              Mamma … Madonna mia …

Il maganzese lascia il coltello, e con la mano in petto casca a bocca sotto nella fanga, mentre er Matriciano fa un passo addietro, e si ripulisce la lama sulla fodera della giacca.

-              Ajo, oddio …

rantola il meganzese con gli occhi invetriati. I suonatori gli vanno vicino, l’alzano su di peso e l’appoggiano al muro. Quello, piano piano, apre gli occhi, e, mentre il sangue gli scola giù dal petto, indica la loggetta poi dice:

-              Almeno fatemela vedere una volta ….

Scariotto guarda er Matriciano non ha il coraggio di muoversi. Allora quello – visto che il maganzese cià la bocca storta per l’agonia – s’avvicina al portoncino di Rosetta e bussa; bussa sempre di seguito finché la moglie non apre la loggetta:

-              Ma chi è?

Rosetta si affaccia al davanzale e, come vede l’uomo tutto insanguinato addosso al muro, resta di sasso. Eccola lì, con i capelli sparsi sulle spalle nude, e la camicia da notte smerlettata, calda ancora di letto, con quegli occhi neri e profondi come l’abisso dentro il quale il maganzese si sprofonda adesso tutto beato.

-              Dio, quanto è bella!

Dice rifiatando appena. Poi, la testa gli ricasca sul petto.

-              E’ schiattato! – dice Scariotto, e si fa il segno della croce.

Dopo il fattacccio, Sua Eccellenza il presidente del Rione, manda a chiamare er  Matriciano notte tempo.

-              Stavolta, Gnecco mio l’hai fatta grossa assai. Non lo sai che il duello è proibito?

-              Sissignore, Eccellenza. Ma dovrebbe esse pure proibito de dà fastidio alla moje dell’antri

-              E anche questo è proibito. Sta scritto nei dieci comandamenti!

-              E allora se vede che er Maganzese nun sapeva legge.

Er Matriciano ruga perché sa che il Presidente del Rione non può fargli niente. C’è sempre di mezzo la benedett’anima di Corsetti, lo speziale a Sant’Andrea della Valle. Difatti chi informò la Giustizia che quello era carbonaro, e cospirava contro il sovrano? Dice: ci voleva assai a capirlo! Portava i baffi, dunque era liberale! E dicevano pure che la notte andava ad appiccicare satire sul torso di Pasquino: ma la pattuglia, l’aveva perso mai? Fu Gnecco che, un bel giorno, gli rubò la parannanza da framassone, quelle col compasso ricamato sul davanti. E fu solo grazie a questa prova che gli poterono tagliare la capoccia a Piazza del Popolo. Basta, siccome la Giustizia non è ingrata, er Matriciano ha salva la vita perché sparisca da Roma e non ci torni più. Accomiatandolo Sua Eccellenza, tanto per chiarire gli dice:

-              Figlio, adesso di quello che facesti per amore nostro, stiamo pari e patta ..

Ma se er Matriciano s’era fatto spia era stato per amore di Rosetta. Gliene fregava assai dei carbonari! Corsetti era bello, biondo, con una faccia da Sansebastiano che le donne si ammalavano a posta: solo per andare giù a bottega a rimirarselo, con la scusa di chiedergli un intruglio. Pure Rosetta ci aveva perso la capoccia ma Corsetti, grazie a Dio, non se n’era accorto. Lei aveva troppo orgoglio per farglielo capire: e intanto che la moglie faceva le lontananze allo speziale, senza nemmanco avere il coraggio di salutarlo, er Matriciano si convinceva:

-              Se lo pijo de petto è come dì alla gente so cornuto! Mejo fallo ammazzà da quarche antro.

Ma il giorno che Mastro Titta buttò il cadavere decollato di Corsetti giù dal muro Torto, Rosetta fece a suo marito questo discorsetto:

-              Tu te credi che non lo so chi è stato a portà la parannanza a Palazzo? Zozzo, spia, carogna guercia! Si tu eri n’omo, a me me dovevi ammazzà, perché ero io che je volevo bene. E ce sarebbe annata a letto subbito: bastava che m’avesse chiesto! Ma lui nemmanco ce lo sapeva …

Da più di un anno, adesso er Matriciano fa a Rosetta da marito solo de nome. E pare, la notte, che il cadavere di Corsetti si metta a letto in mezzo a loro. Tanto che se, per sbaglio quello si avvicina alla moglie, quell’altra che dorme col coltello sotto il cuscino, gli si rivolta come una vipera.

-              Metti giù le mano, me fai schifo …

Basta, dopo il colloquio col presidente del rione, er Matriciano se ne va da Roma, col sacco al collo come un pellegrino. E prima di partire dice alla moglie:

-              Abbada a rigà diritta che se tu non stati con me non devi stàà nemmanco cò nessun’altro

Si, stai fresco! Rugantino, dopo quel fatto allo studio Thorvaldsen, mica l’ha piantata. Anzi, la vista della donna nuda, bella e bona, pudica e violenta, gli ha messo addosso il ballo di San Vito. Corre  tutto il giorno da uno studio all’altro a farle la posta e, come esce, le se accoda dietro zitto zitto.

-              Ma che fano, San Rocco er cane? –

si stufa Rosetta –

-              Te ne voi annà?

-              E lo caccia via.

All’ Osteria del Tempo Perso gli amici pigliano in giro Rugantino.

-              Allora, co’ Rosetta, ha combinato?

dice Ciancaribella

-              Tempo al tempo

 borbotta Rugantino

Ma la partenza del Matriciano, invece di spianargli la strada gli aveva complicato le cose; chè adesso intorno a quella, senza più paura del marito, i mosconi si sprecavano. C’è pure un Milordo inglese che viene, tutte le sere a fare il cascamorto sotto la loggetta. Dicono che sia un poeta, e il preconcetto che il poeta sia, di solito , un uomo effeminato, fa pigliare un allagerò a Rugantino.

-              Io me lo magno vivo!

Dichiara a tutti quanti all’Osteria.

-              Boni

lo ammonisce Mastro Titta.

Voi ve scannate e poi tocca a me guarivi per sempre dar male der dolor di testa.

E con la mano dritta si fa un segno sul gargarozzo ad indicare la mannaia. Ma Rugantino non sente ragioni.

Rosetta sta finestra e annaffia le piante di mentuccia. Sotto, il poeta sta in contemplazione come un santo davanti alla Madonna, quand’ ecco Rugantino, duro, duro, uscire dal cantone e far si sotto:

 

-              Abbottate !

intima all’inglese cercando di copiare er Matriciano. Ma quello non capisce.

-              Como ?... Please?

-              Abbottate! Intigna Rugantino. Così!

E, per capire all’inglese come deve fare,gonfia le guance che pare il dio dei venti.

Ma, come lui s’abbotta, quel baron – fottuto, che non aspetta altro, gli lascia andare una sgaramella tale che Rugantino, oltre a sgonfiarsi un altro po’ si sfracella addosso al muro.

Rosetta, su in finestra, sbotta a ridere e Rugantino con gli occhi da matto, strilla all’inglese:

-              Li mortacci tua!

Quello che, si vede, capisce la parlata romanesca più del necessario, zompa addosso a Rugantino che, come il solito, piglia e scappa via. Si corrono appresso intorno alla casa di Rosetta e, mentre fugge come il vento, Rugantino attacca la solita sequela di improperi.

-              Te possino bacià freddo …

-              A grugno sfranto!

Basta, continua il carosello intorno alla casa, e Rugantino fugge veloce che un altro po’ doppia l’inseguitore. Gli amici dell’ Osteria del Tempo Perso, si fermano a guardare. Allora Rugantino, sempre scappando, la pianta con le parolacce, e comincia ad accusare l’inglese di precederlo.

-              Fermate, ‘a carogna …

-              Nun scappà, a vigliacco ….

Basta, da inseguito Rugantino – con un a piccola astuzia – si maschera da inseguitore; e gli amici, impressionati, commentano:

-              Hai visto, Rugantino? Fa fuggire via er Milordo.

Ma Rosetta, che restando affacciata, ha visto tutto il principio, si mette a ridere. Poi, fra sé, pensa che in quel mondo di bestie vestite e calzate se non altro, Rugantino, è un uomo di capoccia, un uomo fino … E prima di serrare le persiane gli dedica uno sguardo…

A forza de sospiri, Rugantino, da secco che era, s’è ridotto una alice.

-              Rosè, te vojo bene,

le dice un giorno buttandosi in ginocchione davanti a lei.

-              Scansate che te do un carcio in panza …

-              - No, Rosè  intigna Rugantino – tu me devi sentì: io te vojo bene. E sai che da solo che lo so ? Che me t’ero messo appresso, solo perché l’amichi me dicevano, che cò te nun c’era trippa pè gatti, e io nun credevo ….

E qui confessa, con la voce moscia, quell’impegno che s’era preso all’Osteria. Le dice che avrebbe voluto sedurla solo per raccontarlo agli amici di modo, che fosse chiaro a chiunque che Rugantino, con le donne, bisognava lasciarlo perdere, ma invece …

-              Invece, - dice Rugantino guardando per terra – se  tu me dicessi de sì, io sarebbe capace de stamme zitto, io sarebbe capace de nun dì gente a nessuno

-              Ah è così?

Rosetta selo guarda un momento. Poi d’un botto diventa tenera.

-              Un giorno o l’altro, te vojo mette alla prova … dice e scappa via.

I giorni di festa, i popolani dei Monti, della Regola e di Ponte vanno fuori porta, a Testaccio a fare la vignata. Ci vanno in carrettella tutti vestiti bizzarri,con le donne che suonano le tamburelle e gli uomini le chitarre e i mandolini. I Cavalkli infiocchettati si mangiano la strada e sopra ai legni concerti, stamburata, strilli, risate …

Arrivati sul monte di Testaccio, la vignata dura tutto il giorno, tra pranzi, balli di saltarello e canto di stornelli:poi tutti a pancia all’aria, stesi sopra i prati con le braghe sbottonate a dormire, a fare rutti a fare l’amore. Per passatempo, prima di pranzo, i popolani di rioni diversi si scontrano a sassate e fanno la sassaiolata. Questo è un giovo proibito, ma i gendarmi che sorvegliano chiudono un occhio, perché se si immischiassero, i combattimenti farebbero subito lega contro di loro, contro la giustizia.

Verso sera invece grevetti fabbo la cicciata, che sarebbe una prova di coraggio coi coltelli: si battono e cercano di colpirsi alla pancia: chi si sdraia per terra e si arrende non può essere colpito; ma dopo il duello, tutti amici come prima. E’ vero che qualche volta ci scappa il morto, ma nessuno ci fa caso.

Basta, ecco Rosetta e Rugantino con tutti gli altri amici dell’ Osteria del Tempo Perso che vanno in carrettella, fuori porta. Rosetta, che per l’occasione s’è messa una bombetta grigia, col pelo dritto, contornata di rose, sfolgora sul trono della carrozza.

Rugantino che si strugge d’amore la rimira e sfioretta uno stornello:

Fiore de lino

E’ la più bella accanto ar vetturino …

Lesi si gira a guardarlo un tantino, poi gli canta maliziosa:

Fiore de ricotta

Me vojo divertì come na matta

cantanno ritornelli for del porta …

E difatti dopo mangiato – che tutti stamo stesi sopra un prato – a un certo punto Rosetta piglia Rugantino per un braccio, e gli dice

-              Annamo … - e con gli occhi lustri gli indica una fratta, mezza nascosta dietro una scarpata.

Rugantino ha uno scrupolo: gli amici dell’osteria stanno tutti lì intorno; sono tutti ubriachi fracichi, ma potrebbero accorgersene lo stesso.

Rosetta capisce

-              Ma che te frega … Annamo!

Allora Rugantino s’alza zitto zitto  e la piglia per la mano. Si allontanano senza che nessuno ci fa caso.

Una volta arrivati alla fratta, si allungano al coperto, tra le fronde ….

Da quel giorno Rugantino diventa l’amante di Rosetta ma, tenendo fede a quanto le ha promesso, nessuno viene a sapere niente. Lei adesso gli lascia sempre aperta la finestrella al mezzanino, quella che dà sul cortile; e lui di notte, la va a trovare … Poi restano ore e ore sul letto, con la finestra spalancata, senza accendere la luce. Guardano il cielo, i bacarozzi, che il calore della notte estiva caccia fuori dalle crepe dei vecchi muri, e vanno su è giù per le pareti … Basta, viene l’autunno, viene l’inverno e, con l’inverno arrivano i pifferai; scendono dalle montagne d’Abruzzo e vengono a Roma, per le feste di Natale, a fare serenate alle Madonne. Una serenata di nove giorni – una novena costa solo due paoli.

E chi vuole essere stimato dai vicini, chi vuole evitare di essere denunciato dal parroco, e chi ha paura di passare per la liberale si abbona per un paio di novene…

Rosetta e Rugantino continuano ad amarsi di nascosto, Lei, aspra e diffidente aveva cominciato quasi per scherzo; tanto per cacciarsi uno sfizio, poi era partita;aveva preso fuoco. Aveva raccontato a Rugantino la sua vita; di Gnecco, di Corsetti e del disprezzo che, dopo, aveva sempre avuto per il marito.

-              Mò che ho trovato a te – aveva detto un giorno a Rugantino in un momento di esaltazione, se caso mai tornasse lo sbudello!

Rugantino pure era innamorato di Rosetta; ma moriva di pizzichi. Gli amici all’Osteria gli davano il pilotto:

-              E allora, cò Rosetta?

-              Gnente – faceva lui con il grugno di bronzo, Me so stufato de provacce. Nun c’è gnente da fa …

-              E dio solo lo da quanto glie costava la bugia.

-              Che gusto c’è a spassarsela con una donna tanto bella che  ala grinta e pure Sant’Antonio – si chiedeva spesse volte, discorrendo solo come un matto – se poi nun ne sa gnente nessuno?

E questa, per un chiacchierone come lui, era peggio di un martirio, Però teneva il punto, e stava zitto.

Un’usanza civile e gentile del Carnevale Romano è quella di tirarsi in faccia l’ova fraciche  invece dei soliti coriandoli. Tra gli spassi preferiti da tutti, nobili e plebei, le corse dei bipedi e dei quadrupedi. Si perché oltre ai cavalli berberi, sul corso, corrono pure i giudii. E si fanno correre a pancia piena, in modo che il movimento della corsa sia lento e faticoso, tanto che qualcuno schiatta pure. Un decreto di Monsignor Governatore proibisce che ai corridori vengano tirate pietre, o altri oggetti che fanno male. E questo è bello e civile. Poi corrono gli sgorbi di matura, e veder correre gli stroppi, i gobbi e – quel che è peggio i vecchi sguallarati che a ogni zompo cascano per terra a bocca sotto, è uno spasso incredibile per tutti.

E il Carnevale – che qui da noi è più simile a una samba sotto il noce di Benevento, che a una festa di gente cristiana – va vanti così fino ai “moccheletti”; fino cioè alla fiaccolata, con la quale tutta Roma in maschera accompagna lo straporto funebre che ne simboleggia la morte.

Rosetta e Rugantino vanno appresso ai “zoccoletti”. Pure loro stanno in maschera. E nessuno li riconoscerebbe se Rugantino non “rugasse” tanto. Difatti, a un certo punto, gli amici dell’Osteria del Tempo Perso, mascherati chi da Diavolo, chi da Pulcinella e chi da Traccagnino, gli zompano addosso:

-              A Rugantì, facce vede chi è?

E indicano Rosetta che, sotto la battuta veneziana non si riconosce.

-              Che gnente gnente fosse lei?

Alludono a Rosetta.

Per Rugantino la tentazione è grossa assai.

Se qualcuno strappasse a Rosetta la maschera di prepotenza, la faccenda verrebbe a galla senza che fosse colpa sua. E per un momento ci spera. Ma Rosetta non è tipo di farsi mettere le mani addosso. Ciancaribella che ci prova si busca subito il  ala grint accesso in mezzo al grugno.

-              Sanguinaccio d’un cane! – strilla quello andando a fuoco in tutti i sensi.

E Rugantino, visto che quello è impicciato a tastarsi con le mani gli occhi brucianti ci mette il carico da undici, e lo prende a calci in culo …

-              Ma ve volete impiccià dell’ affaracci vostri? – si mette a urlare e , siccome la gente si raduna, gli amici la piantano li

Ma la loro curiosità è tanta che una sera, all’osteria decidono di mettere alla prova Rugantino, e fanno la passatella. Questo è un gioco nonostante il nome leggiadro, saltellante, è sempre un pretesto per pigliare di petto qualcuno e, quasi sempre finisce a coltellate. Seduti, ci stanno tutti: c’è Rubbastracci, Ciancaribella, Masticabrodo, Ciancicagnocchi, Fischietto e Rugantino. Vaccepiano, l’oste, porta il vino e i bicchieri. Gli amici fanno la conta e Rubbastracci favorito dalla sorte – acquista il diritto della prima bevuta. Ma prima di bere, chiede il permesso a Fischietto.

-              Posso?

E con questa domanda vuole indicare che ha scelto Fischietto come sottopadrone. Poi si rivolge a Ciancicagnocchi e gli dice:

-              Comadate

E questo diventa il padrone. Adesso, Cianciagnocchi – che è il padrone – dispone del vino e volendo, se lo può bere tutto lui. Ma Fischietto essendo il sottopadrone – dispone la passatella. Ed è lui che, come gli pare, accorda, nega, o trasferisce la bevuta a un altro.

E sta al sottopadrone lasciare a boccasciutta – o come si dice fare “olmo” chi gli pare a lui.

Gli amici vogliono fare “olmo” Rugantino che adesso chiede licenza.

-              Posso beve?

-              Chi te lo po’ negà? Gli fa il sottopadrone.

-              Tu, che comandi.

-              Mi fa piacere che ce lo sai. Ma adesso beve Ciarcaribella.

E trasferisce la bevuta che, siccome va fatta d’un fiato, gli occhi di tutti si fissano sul Gargarozzo di Ciancaribella che va su e giù. Se ripigliasse fiato mentre beve, sarebbe condannato a pagare tutto il vino.

Ma a Ciancaribella il fiato gli regge bene; anzi si fa pure riempire il bicchiere via via che si svuota. E così se ne scola un par de litri.

Poi il sottopadrone si fa insidioso e chiede a Rugantino

-              Ciai Sete

-              Ciò sete, ma nun so me darai da beve …

-              Ma quanto te ne va ?

-              Ma quanto te ne basta?

-              Un bicchiere

-              Giusto quanto me ne basta a me.

E se lo beve.

Insomma gli amici lo sfottono tanto, lo provocano fino al punto che Rugantino non ne può più. Zompa in piedi e sbatte la sedia sul tavolino. La cosa finirebbe a coltellate se Rubastracci non chiarisse il punto.

-              Noi nun te famo beve perché sei un buffone. Avevi detto che cò Rosetta combinavi, e invece che ch’ai combinato? N’accidente che te pja…

E allora Rugantino, che non ne può più di tenersi in corpo il suo segreto, sbotta e racconta tutto.

-              Ma, sangue dell’uva, nessuno ci crede!

-              Ma non di fregnacce, a Rugantì, che nun è vero gnente.

-              Mo’ dice che è vero perché l’avemo fatto “olmo”!

-              E tutti si sbudellano dalle risate.

Allora Rugantino, serio serio, dice:

-              Va bè, stasera venite tutti cò me che ve lo provo ….

Difatti quella notte Rugantino fa entrare gli amici nel cortile di Rosetta.

-              Zitti, per carità. Nun fate cagnara…

E a lume della luna, li manda tutti a nascondersi dietro certi carretti che stanno ammucchiati in un cantone. La finestrella è aperta ma allo scuro, Rosetta – che quando aspetta l’amante conta l’ore – vede quelli gattoni gattoni che vanno a pigliare posto; e sente pure Rugantino mentre dice loro piano piano:

-              Mo? Vedrete chi se la pappa quella … Zitti, me raccomando!

Rosetta aggrincia la fronte intanto che Rugantino, coi piedi di bambagia, s’arrampica fino sopra al davanzale. Lo scavalca con una cianca, e appizza gli occhi allo scuro … Ma subito due mani lo agguantano per il bavero, e si sente sul grugno il fiato rovente di Rosetta:

-              A giuda, a digraziato… Ma ha da nasce ancora che me spubblica pe’ Roma! ..

E così detto, gli da una botta tale che lo scapicolla di sotto. Poi si affaccia al davanzale e comincia a strillare per farsi sentire da tutto il vicinato:

-              A ladro … Aiuto, mamma mia ce so li ladri …

Rugantino, mezzo intontito dalla sbiossa,resta un attimo col culo per terra, poi siccome già qualche finestra si apre, si sente scattare la molla di qualche serratura di portone, zompa in piedi e fugge, mentre intorno si sentono voci che chiamano allo scuro.

-              Che è ?

-              Ma che è successo?

-              Ce so li ladri!

-              Cristogesumaria!

Rugantino vorrebbe andarsi a nascondere per la vergogna perché gli amici lo sfottono a morte.

-              ‘A buciardo!

-              Così te pappavi tu, Rosetta, eh? …

Tenta una scusa che non regge:

-              Se vede che allo scuro, nun m’ha riconosciuto …

E giù tutti a ridere come matti.

-              Ma che ciai presi pè micchi?

-              A fregnò, ce piove a Roma?

Ormai non gli crederebbero più nemmanco se ce lo vedessero, a letto co quella !

La finestrella sul cortile s’è richiusa per sempre, e Rugantino può pure andare a piangersi l’anima là sotto, che tanto non gli riapre più. Allora Rugantino va a cercare Rosetta, come un matto, per tutti gli studi di Roma. E la ritrova a Villa Medici che con il panno in testa, un braccio appoggiato alla fontana, e un altro stretto intorno a una conca di rame, posa da ciociara, per il sor Orazio Vernet direttore dell’ Accademia Maganzese. E un momento che può andarle vicino cerca di discolparsi:

-              Io me so stato zitto finché ho potuto. Ma poi quelli hanno riconosciuto a di che ero un fregnone e allora ho dovuto dillo pè forza … Mica potevo passà pè micco. So Rugantino io, so Rugantino er greve, e se nun je dicevo come stavano le cose nessuno me portava rispetto …

 

-              Insomma la fa tanto lunga che quando incomincia a sperare di averla persuasa, e si azzitta un momento per ripigliare fiato, quella fredda fredda gli fa

 

-              Hai finito?

Lui fa segno di si con la capoccia e allora Rosetta gli sputa in faccia.

-              E pussa via! – gli dice

 

Un passo addietro. Dopo la giustizia di Corsetti, la farmacia di Sant’Andrea della Valle ha cambiato padrone. Adesso c’è un certo Nardelli, un frascatano. Però si vede proprio che il lupo perde il pelo e non il vizio perché pure quest’altro porta i baffoni “alla giacobina”. Ma gli esercenti dell’arte salutare sono stati sempre in ogni tempo, gente scellerata, nemica della fede e del sovrano. Difatti Nardelli insieme ad un altro paro di dottori, tutti baffuti e con la faccia gialla famo complotto in gran segreto:

-              Avete inteso? E’ ritornato Gnecco er Matriciano.

-              Sangue de Giuda! Quando!

-              Stamattina. Pare senza moje nun che poteva sta.

-              Si, ma stavolta l’ha fatto in pizzo ar cornicione! Er sangue de Corsetti strilla ancora vendetta

-              Zitti, per carità …

Nardelli abbassa la voce

-              Stasera c’è consijio, e sarà estratto a sorte er nome de chi anderà a daje er benevenuto. E magara sortisse er mio!

-              S’apre la marsina e mostra ai dottori un manico di coltello, tempestato di coralli, che gli sbuca fuori dalla cinta dei calzoni.

Nemmanco quando è notte, Rugantino trova requie. Gira e rigira sotto casa di Rosetta e pare un gatto nero che si porta appresso il malaugurio. Si affaccia nel cortile addormentato; la finestrella è chiusa, serrata di catenaccio. Riesce per la strada, e solo lui cammina, non si sente una voce, un rumore, niente.

Tutt’un botto uno strillo:

-              Aiuto … Gesù mio!

Viene da lì, dietro il cantone. Rugantino, con due zompi si fa avanti; e proprio sotto le finestre di Rosetta, quelle che guardano sulla strada, c’è un uomo steso per terra, a bocca sotto. Gli si mette vicino in ginocchione, lo rigira. Per la Madonna, è er Matriciano!

E in mezzo al petto cià piantato un coltello con il manico tempestato di coralli. D’impulso, Ruganyino glielo strappa; un fiotto di sangue gli schizza addosso, frattanto che lassù, s’apre una finestrella. E’ Rosetta che, come vede Rugantino tutto insanguinato, col coltello in mano e steso nella fanga, il marito morto, caccia uno strillo:

-              Ma tu de che t’impicci? Perché l’hai fatto?

Al che, Rugantino, provocato, senza nemmanco pensare a quello che dice, le replica impunito:

-              L’ho fatto pecchè mannava! O dovevo chiedere er permesso a qualcheduno?

Gli piace assai che Rosetta lo pensi tanto greve da aver scannato er Matriciano come una pecorella.

Ma mentre dice questo non s’accorge – il povero cazzaccio – che pure il vicinato l’ha sentito. La gente si mettere a discorrere fitto fitto dalle finestre:

-              Che è successo ?

-              Rugantino ha fatto er Matriciano!

-              Er Matriciano? Ma nun stava fora?

-              Chi è stato? Rugantino? Nun che posso crede …

-              Scappa,a  Rugantì – gli strilla uno da sopra le lenzola stese – che se te becca la pattuglia so dolori!

 

Ma  Rugantino scappa solo dopo che Rosetta, senza nemmanco avergli dato un tantino di soddisfazione, gli sbatte le persiane in faccia.

Mannaggia a me e quando nun me strappo la lingua! – pensa Rugantino che s’è subito pentito di quella spacconata. E intanto scappa. Scappa come una saetta, che già gli corre appresso una pattuglia di sbirri. E fanno tanto cagnara che la gente si affaccia alle finestre, poi esce per strada e si accorda alla Forza. Insomma a un certi punto la strada è piena zeppa che pare mezzogiorno.

Rugantino con la lingua di fuori sente gli sbirri, lì alle tacche, che guadagnano terreno. E stanno già per agguantarlo alle spalle quando con due zompi lui si scapicolla sugli scalini di Santa Maria dell’Anima.

Salvo! Almeno per il momento, che per arrestare qualcuno sugli scalini di una chiesa, ci vuole la licenza speciale. Difatti gli sbirri piazzano vicino al fuggitivo una sentinella e vanno a farsi rilasciare il permesso. La gente allora, sorniona e indifferente incomincia a passeggiare sul sagrato. La sentinella, messa in diffidenza, spiana il cacafoco e intima:

-              Addietro! Addietro, porco cane!

E si mette lo scarcarcio, che trovarsi solo in mezzo a quella folla di facce amare e taciturne farebbe impressione pure al Padreterno. Mano mano che la gente aumenta di numero e si stringe, per tutta la strada, non si sente volare una mosca.

Po si sente ancora la voce della sentinella che però ha cambiato musica.

-              Andate a letto su, che è tardi …

Ma, tutto un botto, il sagrato e gli scalini si riempiono di folla, para,para, come solo si vede la notte di Natale, Naturalmente c’è pure chi s’è cacciato tra Rugantino e la sentinella dimodo che, quando la gente dirada, “ l’assassino” è sparito.

La sentinella, rimasta sola come un’allocco,si guarda intorno e rifiata di sollievo, che per un momento ha avuto paura di beccarsi pure qualche coltellata. La gente ritorna a casa tutta beata che, a Roma, quando si può dare una mano a qualcuno che cià una rogna con la giustizia, si fa sempre con piacere e spassionatamente.

Scannocchia è un carrettiere a vino marinese col cappello a pan di zucchero, ornato di penne di cappone. Stanotte va i Castelli a caricare, per cui mette le botti vuote sul carretto, tirandole fuori, una per una, dalla cantina di Vaccepiano. Lavora allo scuro e da dentro all’osteria vengono le voci e le risate degli amici. Prima di cacciare l’ultima botte, ci si ferma davanti e poi dice:

-              A mezzonotte, ammamo via.

La botte si scoperchia e sorte fuori il gruppo di Rugantino e sorte fuori il grugno di Rugantino bianco come un morto.

-              Che ciai? – gli fa Sconocchia – Te senti male?

E quello tartagliando

-              Ciò paura …

-              Potevi pensacce prima!

Rugantino si arrabbia

-              Ah, ma sei duro! Te l’ho detto che so innocente, no?

E quello con la flemma

-              Si, lallèro … Ma poi a me che me frega? Vado a magnà un boccone. Quanno torno te carico e partimo

Rimasto solo Rugantino comincia a darsi certi cazzotti in testa da far rintronare tutta la cantina.

-              Io nun ho fatto gnente, per cristo! …

E incomincia a piangere. Ma tutt’un botto, sente un passo sulla scaletta. Alza la testa e vede Rosetta che viene giù con la candela in mano.

-              Rugantì – lo cerca con la voce tenera. E quello zompa fuori dalla botte, che si vergognerebbe a farsi pizzuccare nascosto come una carogna.

-              Che voi? – le fa, col grugno duro. Poi ci aggiunge con sospetto : - Chi t’ha detto che stavo qua?

-              L’oste – replica Rosetta appicciando la candela su un tavolaccio – Nun avè paura.

-              Paura? Solo a nominarla Rugantino suda freddo, per cui reagisce subito, cattivo – E da chi? Se c’è quarcuno che vò annà appresso ar Matriciano lo dica pure …

-              E assume una posa da duellante.

-              Senza comprimenti!

-              Ancora nun te basta?

-              D’avello scannato? Ma sai quanti ne vojo come quello!

E’ più forte di lui. Davanti a Rosetta diventa subito bugiardo e ammazzasette. E la cosa ha il suo effetto perché quella all’improvviso sbotta a piangere. Poi gli agguanta le mani e incomincia a coprirgliele di baci.

-              Ma perché te voluto sporcà le mano cò quer boja – fiotta la povera donna – perché?

Rugantino ci resta un pizzico di sale.

Rosetta piange? E quando mai sìè visto?

-              A Rosè – le dice cercando di ritirare le mani – A Rosè, nun piagne su.

E quella, alzando gli occhioni neri tutti pieni di lacrime:

-              Mica piagno io …

Rugantino cerca di buttarla a ridere:

-              Noi, hai capato la cipolla.

Rosetta, con impeto lo piglia tra le braccia.

-              Pianta de rugà. Stamme vicino. – E se lo stringe al petto. – Core mio, angelo mio …

Stanno un attimo zitti, allacciati, poi Rosetta si fa una risatella.

-              Che te ridi?

-              Cò quer cortello in mano, per davvero, me parevi l’Angelo de Castello!

-              L’Angelo de Castello cià la spada …

-              Rosetta soffia sulla candela e restano allo scuro

-              Rugantino intigna

-              Però m’hai sbattuto la finestra sul grugno!

-              Me facevi rabbia

Si sentono solo le voci e quella di Rosetta si mischia a un sospiro.

Dopo il dolce, l’amaro. Nascosto nel barile Rugantino viaggia verso i castelli. Sconocchia, a pancia per aria sulle botti, si scola una cupelletta di vino e non regge nemmanco le briglie che tanto il cavallo e la strada la sa a memoria. Il cielo è pieno zeppo di stelle.

Il carrettiere si rifiata alla serena e canta una villereccia del paese suo:

-              E la ragazza mia è marinese

Sopra ar cappello ce porta le rose

sopra le rose le viole accese …

-              A sconò – gli strilla Rugantino da dentro la botte.

-              Zitto, che tra poco arrivamo a San Giovanni …

-              Ma sei proprio sicuro che passamo?

-              Nun te incaricà

  Ma alla porta de Roma incominciano i dolori.

-              Dove andate? Chiedono i Gendarmi a Sconocchia

-              A Genzano

-              Portate gnente?

-              Botti vuote.

-              Manco un goccio de vino?

-              Avvò – dice Sconocchia e passa la cupella al brigadiere.

Quello beve poi guarda Sconocchia che, con aria indifferente, mette la mano sulla botte dentro la quale c’è nascosto Rugantino. Il brigadiere capisce al volo e riattacca:

-              Ciavete gnente de contrabbando?

-              Me faccio meravija!

-              Bè , mi dispiace assai, ma devo controllare.

E i due lazzaroni parlano forte dimodo che tutto risulti pulito, pure gli altri gendarmi, che non hanno visto il segno.

Difatti il brigadiere si rivolge a loro e dice:

 

-              Guardate sul carretto, e pure nelle botti ….

Quelli si meravigliano

-              Dovemo da guardà dentro tutte quante?

-              No … dentro qualcuna, così , per formalità. Per esempio, questa ..

Ne indica una scelta a caso. Quelli ci guardano dentro. Non c’è niente.

-              Dentro quest’altra …

-              Ancora niente

-              E dentro a questa, indica per ultima quella segnata da Sconocchia. I gendarmi ci guardano dentro e – indovinace un po’ – nun ci trovano nascosto Rugantino?

-              Tò, chi se vede! – il brigadiere ipocrita – Me sbajo o sete voi che l’antra notte ciavete fatto sputà li pormoni a correve appresso pè tutta Roma?

-              Per carità, sor brigadiere mio – fiotta Rugantino buttandosi in ginocchione – io so innocente, nun ho fatto gnente! … E disperato sbatte la capoccia per terra.

Ma quelli nemmanco lo sentono, gli mettono le manette e, di peso lo portano a palazzo .

-              Così sete innocente! Gli fa il giudice guardandolo storto.

-              Sissignore, eccellenza – replica Rugantino sbattendo i denti dalla paura.

-              Er matriciano allora chi l’ha steso?

-              Nun se so un’acca. Eccellenza mia.

-              E com’è che tutto er vicinato v’ha inteso strillà che eravate stato voi?

-              “ Pè ride” davanti a un morto?

-              Me so sbajato … volevo dì: pè scherzo …

-              Fate entrare la donna – dice il Giudice a due gendarmi

-              A Rugantino un altro po’ gli piglia un accidente.

-              Mò che c’entra Rosetta? – si chiede spaventato – Quella se crede davero che er Matriciano l’ho ammazzato io! Mannaggia a me! …

Entra Rosetta in mezzo a due gendarmi.

-              Sete voi Rosetta Cipolloni, domiciliata a Roma, via de li tre archi numero trentasei

-              Sissignore Eccellenza

-              Conoscete quell’omo?

-              E’ Rugantino.

Il giudice si fa insinuante.

-              E … come lo conoscete?

E Rosetta dura:

-              Come ve pare a voi.

-              Badate a come rispondete, figlia mia, che la giustizia ve Guarda.

Rosetta alza gli occhi e vede la statua in nicchia con la spada, la stadera e gli occhi bendati

-              E come fa a vedemme così orba?

E il giudice con santa pazienza:

-              Quella benda vor dì che la Giustizia nun sia passioni e non guarda in faccia a nessuno …

-              E qui lo sbajo, Eccellenza mia, perché si caso mai guardasse in faccia a Rugantino, vedrebbe subito che omini così, in giro pè Roma, ce ne stanno pochi assai!

-              E grazie a dio, quanno je avremo tajata la capoccia, ce ne staremo ancora meno, perché se tutti fossero buciardi come lui

-              Rosetta si rivolta come una vipera.

-              Buciardo a chi? Rugantino è reale e cià ‘na parola sola!

-              E il giudice sornione:

-              E allora com’è che adesso dice che er Matriciano nun l’ha ammazzato lui?

Rosetta guarda Rugantino e per un momento resta indecisa, ma Rugantino subito, facendo uno sfarzo madornale su se stesso, sente il dovere di salvare la faccia davanti a Rosetta.

-              Io? – strilla come un matto – E quando ma l’hai detto? Ma se un’ora che ve sto a dì l’ho ammazzato io !

-              Dunque, voi l’affermate?

-              Se capisce …

-              Salva così la faccia mia, nel frattempo, si gioca la capoccia.

Le campane di Santa Maria del Popolo battono a morto. Sul sagrato hanno esposto il Santissimo con sotto la tavoletta recante il nome del condannato a morte, Rugantino. La ghigliottina è inalberata sul cantone della piazza, e pattuglie di gendarmi – a piedi e cavallo – reggono la folla che urla, strilla e strepita ammucchiata sotto il palco. Ci sono popolani in camiciola, nobili coi vestiti ricamati, monache e frati, donne e ragazzini, vecchi romiti, pellegrini, soldati del papa, serve, giudei e via discorrendo. Tutti cercano di passare tra i cordoni della truppa per pigliarsi i posti migliori ma chi ce la fa meglio sono i ragazzini, che, a quattro zampe, passano tra le cianche dei soldati. E difatti, proprio sotto il palco, c’è radunata una pipinaraa che guarda la ghigliottina con naso per aria manco fosse la baracca dei burattini. Quando arriva il corteo della giustizia, piano piano, la cagnara si smorza; e su tutta la piazza del Popolo, nera di capocce, si sente solo il tintinnare delle bussolette che i due frati q      uestuanti, mascherati sotto il cappuccio bianco, sbattono venendo avanti, locchi locchi. Appresso ai frati, quattro gendarmi a cavallo con le giubbe verdi e le spade sfoderate; e appresso a questi, l’Arciconfraternita di Nostro Signore degli Agonizzanti al gran completo con le tonache nere e i cappucci in testa, pure neri. I Confratelli vengono avanti, piano, due a due, braccia conserte e barbozzo in petto. Uno solo che sta in testa a tutti, regge un gesucristo di legno sormontato dallo stendardo nero con le frange. Poi c’è Mastro Titta, come sempre lavato e pettinato, con la cravatta bianca e le scarpette di vernice. Per l’occasione porta, sul braccio intorcinata, la cappa rossa da Gran Carnefice. Poi viene un inserviente, tutto zozzo, che regge a cavezza il cavallo, attaccato alla carretta del condannato a morte, guardata a vista da due pattuglie di gendarmi, col cacafuoco a spallarma. E appresso, ancora gendarmi a cavallo e gente mascherata …

Rugantino sta dritto in piedi in mezzo al legno e, ogni tanto bacia un gesucriosto che un confortatore seduto, gli sbatte sotto il grugno. Mischiati tra la folla, i carbonari di Sant’Andrea della Valle guardano in silenzio. Nardelli dice agli altri:

-              Ma chi glielo fa fa?

E gli altri che non lo sanno allargano le braccia in un gesto sconsolato.

Tutt’un botto la gente si anima e invece di guardare Rugantino che, duro duro, sta montando sul palco, si gira a guardare Rosetta che viene avanti svelta facendosi largo senza troppa fatica.

-              E’ la moje dell’ammazzato! – si sente dire.

-              E’ quella che je ha messo er cortello in mano!

-              Freghela quant’è bella!

E tutti la lasciano passare. Rosetta, con la carmagnola aperta, sul bustino di seta, allacciato sul davanti, un gran pettine d’argento a metà della testa, e due pendenti lunghi all’orecchie che le arrivano sulle spalle dritte, incede che pare una regina.

E tutti si scansano, per farla passare.

-              S’è venuta a godè la festa – dice uno.

-              Statte zitti, nun vedi che sta in pena? – dice un altro

Pure Rugantino che ha visto Rosetta, e da lontano, con gli occhi che già si annebbiano di pianto le dedica un pensiero.

-              Hai fatto bene a venì, Rosetta – le dice piano in cor suo, e senza nemmeno aprire bocca – Hai fatto bene, che almeno, se me stavi davanti, nun divento carogna all’ultimo momento, nun me metto a strillà che so innocente.

Certo che se sta gente sapesse che moro pè na bravata … Ma no, un momento, chi t’ha detto che è ‘na bravata? Rosetta te vò bene perché t’ha visto cor cortello in mano, t’ha visto che eri ‘n’omo, e invece nun lo sa che ei na pecora … E tu mò che ciai n’occasione de fa er Leone, nun lo voi fa? …. Dici: te costa la capoccia? Va be. Ma mo’ fa conto che questio te rimannano a casa; all’occhi suoi che ridiventi? Quer fregnone che sei sempre stato? Se invece mori, quella te ricorderà sempre così; come l’Angelo dè Castello!

Rosetta è sotto il palco; sta ferma come un muro con gli occhi fissi in faccia a Rugantino. Poi tutt’un botto spalanca gli occhi e gli dice con voce accorata:

-              C’è un antro mondo pè li poverelli … Se rivedemo là … Te vojo bene …

E Rugantino, mentre il boia gli toglie la camicia, le risponde con un sorriso moscio, pieno d’amore.

-              Io pure te vojo bene – riattacca a bocca chiusa senza nemmeno rifiatare – ma è mejio che me sbrigo a morì. Tnato che campo a fa? Si campo, cò sta linguaccia zozza, gira gira, me te rigioco … per cui è mejo a morì subito … Ma continua a guardarmi cò quell’occhi, pè carità … me danno tanta forza… Nun me lo scorso sa, che m’hai detto che tre parevo l’Angelo de Castello … Rugantino, l’Angelo de Castello! …

-              - Che te ridi? Gli chiede Mastro Titta.

-              Gnente – replica lui – pensavo ‘na cosa curiosa.

-              Beato te – fa quello.

La folla tira il fiato, che raramente a Roma si vede uno che va al macello sereno come un Santo. Gli amici dell’Osteria del Tempo Perso, stanno tutti in prima fila; e Masticabrodo che in fondo è il meno sgherro si asciuga la lacrimuccia. Tutt’un botto Rugantino – che è stato bravo sino a quel momento – diventa bianco con un panno di bucato. Fissa gli occhi nel canestro che l’inserviente ha messo sotto la ghigliottina e caccia uno strillo. Fa per buttarsi giù dal palco, ma Mastro Titta che forse se l’aspettava lo agguanta al volo e lo piega fino a metterlo in ginocchio.

La folla, allora preoccupata che il condannato, col suo comportamento, possa rovinare lo spettacolo, comincia a tumultare; tanto che i gendarmi spianano subito le armi. Ma allora Rosetta per salvare la dignità di Rugantino, gli strilla disperata:

-              A Rugantì’, faje vedè chi sei! Faje vede come se more! ..

E l’incitamento di Rosetta coglie nel segno. Rugantino si rialza e, per cancellare la brutta impressione, fa un inchino galante verso il popolo, e un altro verso il boja.

-              Così’ va mejo, fijio mio – gli dice Mastro Titta – Nun vale la pena mettese a far er matto.

Tanto è ‘na botta, e via!

Pure la fossa si riconsola.

-              Bravo Rugantino! – gli strillano da per tutto, ma se qualcuno lo vedesse in faccia da vicino come lo vede il boja, non strillerebbe tanto …

-              Che vi dicevo? – dice fra la folla un frate pacioccone a Nardelli che guarda sul palco ritirando il fiato – E’ stato un momento di paura .. E’ già passato.

-              Mejio pè noi – scappa detto allo speziale

-              No, figlio lo corregge il frate – mejio pè lui, che chi more cò l’animo sereno more in grazia de Dio.

Sul palco Rugantino si fa legare le mani dietro il groppone e intanto confessa a Mastro Titta:

-              E’ proprio vero . ne ammazza più la lingua che er cortello …

-              Adesso pensa all’anima – replica il boia.

E intanto Rugantino si inginocchia quello si mette la mano in saccoccia e tira fuori una tabacchiera.

-              Voi un pizzico de tabacco?

Ma Rugantino non gli risponde nemmanco e guarda Rosetta per l’ultima volta:

-              Amore bello … addio! Le dice piano. E quella, come se avesse inteso gli risponde con gli occhi:

-              Amore, amore mio …

Mastro Titta si stura le froce del maso e Rugantino mette giù la capoccia

-              Pronto? Gli domanda il boja.

Nessuna risposta

-              Allora, bon viaggio

La lama della ghigliottina viene giù di botto e la testa di Rugantino ruzzola nel canestro cogli occhi invetriati.

 

 


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