1969 NELL'ANNO DEL SIGNORE costumi di Lucia Mirisola ( l'esordio di Maurizio Millenotti)

 

Nell’anno del Signore è stato l’unico film di Magni, in cui Lucia Mirisola non cura anche la scenografia, affidata dalla produzione a Carlo Egidi. Lucia si occupa solamente dei costumi che vengono realizzati in parte dalla GP11 di Gabriele Mayer e in parte dalla Tirelli.

Racconta la Signora Mirisola nel volume commemorativo per il 50° anniversario della Tirelli :

“Ma quando mi è capitato di dover fare Nell’Anno del Signore, che è stato il mio primo film in costume e per di più a colori, l’ho vissuta come una sfida tremenda: non sapevo come fare e sono andata da Tirelli, che intanto aveva aperto la sua sartoria. In realtà è stata proprio la produzione che mi ha mandato da Tirelli, forse non fidandosi pienamente di me, per “spalleggiarmi”. E li ho trovato il regno, si, il regno c’era una organizzazione incredibile, un repertorio meraviglioso, stanze adibite alla pittura, all’invecchiamento dei costumi, una cosa incredibile, grande. Umberto è stato sempre grande … Un grande di Spagna, mi viene da dire … la cultura messa al servizio dello spettacolo … una meraviglia. E li ho conosciuto Maurizio Millenotti, cioè ho conosciuto un ragazzino pieno di ricci con un camicione nero che faceva le tinture che Tirelli mi ha presentato mentre mi faceva vedere la Sartoria.

Dopodiché durante il film, Maurizio è stato così carino, finito il lavoro in Sartoria, quando giravamo a Piazza del Popolo e in Ghetto, ad aiutarmi a vestire la gente; cosa credo che Tirelli non mi abbia mai perdonato, perché poi è da li che Maurizio ha lasciato il lavoro in Sartoria, è diventato assistente e infine Maurizio Millenotti, cioè uno dei più bravi costumisti che abbiamo oggi.

Mi dava continuamente lezione Maurizio, senza saperlo; anzi no, sapendolo e come, perché io sono stata sempre … insomma, un po' me ne fregavo delle cose più “precise”, più storicamente rigorose, e andavo più con la fantasia. Un giorno mentre giravamo In nome del Papa Re mi ha visto che piegavo i pantaloni di Manfredi, che faceva il prete, e li piegavo come si piegano oggi, che viene fuori la riga: “Non si può con la riga, per l’amor di Dio!” Io sono rimasta: “Non lo facciamo, non lo facciamo, va bene”. Però sono sicura che se glielo avessi chiesto mi avrebbe detto esattamente la data e il giorno in cui si è inaugurata la riga sui pantaloni.

La sartoria Tirelli mi ha fatto da seconda scuola, proprio per il modo di lavorare. E poi la miriade di stoffe che aveva … Umberto ha comprato i magazzini di mezza Roma, di mezza Italia, d’Europa, di stoffe di arredamento, di tappezzerie, di sete, e li potevi spaziare quando volevi.

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Si tratta dell’opera che ha consacrato Gigi Magni come regista, film che ebbe un successo ancora ineguagliato sia per il cast che per la qualità del prodotto, tanto che a distanza di oltre mezzo secolo dalla sua uscita, figura ancora tra le cento pellicole campioni d’incasso in Italia. Questa è l’unica volta in cui Lucia Mirisola, cura solo i costumi mentre la scenografia è opera dell’architetto milanese Carlo Egidi. E’ il primo a tema storico, con il quale Magni apre il racconto degli ultimi cinquant’anni del potere temporale dei Papi che porteranno alla presa di Roma il 20 Settembre 1870. Basato su una storia vera quella di Targhini e Montanari decapitati a Piazza del Popolo il 23 Novembre 1825 è ambientato nella Roma durante quell’anno che venne proclamato da Leone XII anno Giubilare. Le riprese si sono svolte in prevalenza in luoghi reali, come Castel S.Angelo – Lungo Tevere di Tor di Nona – Piazza Capizucchi – i vicoli intorno al teatro di Marcello – il Ghetto. L’unica parte rifatta in teatro è la scena dell’esecuzione dei due carboni interamente ricostruita negli studi della De Laurentis sulla Pontina dove oggi si trova il parco di Cinecittà Word. Racconta Gigi Magni: “La mia era una famiglia romana vecchissima, mio nonno era un papalino e mi mandava ogni giorno a prendere “L’Osservatore Romano”, non credo abbia mai letto nessun altro giornale in vita sua. Apparteneva alla Confraternita del SS.mo Sacramento, era “un fratellone”, come si dice qui, e quindi c’è qualcosa intorno a me che puzza di sacrestia. Si vede che ho una certa tendenza al martirologio laico perché “Nell’anno del Signore” era la storia di Targhini e Montanari decapitati dai preti mentre nel film successivo.

In nome del Papa Re, veniva raccontata quella di Monti e Tognetti, due martiri, insomma due bricconi che mettevano pure la dinamite, fecero saltare una caserma, e furono condannati a morte dal Papa. A scuola, quando ci insegnavano il Risorgimento noi abbiamo studiato martiri molto meno illustri di questi, ci hanno raccontato la storia soltanto di quelli di Belfiore, di Silvio Pellico che tra l’altro era un tanghero perché si deve tener conto che è morto austricante e papalino. Invece questi martiri anticlericali romani non li conosce nessuno, nessuno te li insegna perché evidentemente, noi dobbiamo ricordarci bene i nomi di quelli che sono stati ammazzati dagli austriaci ma di quelli fatti fuori dai preti no! E non è che la vicenda umana di Monti e Tognetti si perda nella notte dei tempi, è piuttosto recente. Beh, ci fosse stato che abbia riconosciuto il pallido merito di questo cinematografaro che faticosamente cerca di riproporre, sia pure attraverso vicende molto romanzate, fatti realmente accaduti e di indicarne le responsabilità. Macchè, non se ne è accorto nessuno. Qui a Piazza del Popolo, appiccicata in alto vicino alla caserma e posta lì all’inizio del secolo da un’associazione libetaria, c’è la lapide di Targhini e Montanari che vi furono decapitati nel 1825. La gente non ci credeva, e quando usciva dal cinema faceva la fila per andare a vedere, a constatare. Al tempo del fascismo era stata cancellata dalla lapide la dicitura “la pena di morte ordinata dal papa” e fu Antonello Trombatori, dopo la liberazione, a battersi affinché venisse riportato il testo primitivo”           

I COSTUMI

Nell’Anno del Signore è stata la prima grande sfida della carriera della Signora Mirisola, per la prima volta si trova davanti ad un film storico e soprattutto a colori, lei che fin’ora aveva lavorato solo ad opere di ambientazione moderna e soprattutto in bianco e nero, inizia a svolgere una lunga ricerca sulla foggia e lo stile dell’epoca, ricerca che l’ha avvicinata per la prima volta al costume storico che da questo momento in poi sarà l’asse portante di tutta la sua carriera.

Anche se accuratamente studiata la moda e i dettagli ovvero accessori e gioielli la signora Mirisola ha messo del suo in ogni abito realizzato facendo attenzione al carattere del personaggio e all’attore da vestire. Nell’ archivio della Fondazione Museo Luigi Magni e Lucia Mirisola dove è versato l’archivio personale della costumista abbiamo stampe – immagini e appunti sulla Roma degli anni venti del XIX secolo che sono la testimonianza di una ricerca durata quasi quart’anni. Ricerca che ha permesso a Lucia di diventare l’assoluto architetto del cinema di Magni.














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